“THE SHIP”. IL RITORNO DEL NON-MUSICISTA

 

Brian Eno The ship1_musicaintornoThe Ship di Brian Eno è un grande album. Un lavoro cerebrale, profondamente umano e ideologico, il cui suono proviene dal magmatico e profondo blu dell’oceano, abitato da lamenti di spiriti tormentati che echeggiano tra luci disciolte nell’acqua, in un moto che si fa ora gorgogliante, ora impetuoso, per lamiere di ricordi assordanti come le campane dell’apocalisse.

L’artista ha dichiarato: «L’album fuoriesce dalla normale struttura ritmica e dalle progressioni di accordi, permettendo alle voci di esistere nel loro spazio e tempo, come eventi in un paesaggio.» La voce di Eno rinasce come essere vivente autonomo ma al contempo in simbiosi con lo Stratega Obliquo, una voce inedita e cavernosa, tutta modulata dal diaframma: «Ultimamente mi sono accorto di riuscire a raggiungere il Do basso e questa è diventata la base di un nuovo pezzo.»

Brian Eno1_musicaintornoPubblicato dallo stesso Eno per Warp Records, The ship è un’opera divisa in due parti: la title track di 21 minuti e la splendida tripartizione di Fickle sun. La prima nasce come registrazione per un’installazione ambient commissionata dall’artista a Stoccolma, successivamente dotata della voce che drammatica spazza via la pesante polvere della storia, iniziata tra oblunghe onde di synth gelatinosi e glitch elettronici frizzanti.

«Uno dei punti di partenza è stata la passione per la prima Guerra mondiale, quella straordinaria follia trans-culturale che è nata da uno scontro di hybris tra imperi. È successa poco dopo l’affondamento del Titanic , che per me è il suo analogo. Il Titanic era la nave inaffondabile, l’apice del potere tecnico umano, creato per essere il più grande trionfo dell’uomo sulla natura. La prima Guerra mondiale è stata la guerra della tecnologia militare, nata per essere il trionfo della volontà dell’acciaio sull’umanità. Il fallimento catastrofico dei due ha posto le basi per un secolo di esperimenti drammatici sulle relazioni tra gli esseri umani e i mondi che essi creano per se stessi. Stavo pensando a quei vasti campi di terra agonizzante in Belgio durante la prima Guerra mondiale e l’immenso e profondo oceano dove il Titanic affondò, e a quanta poca differenza fece tutta quella speranza e delusione umana. Esse persistono e noi passiamo in una nuvola di chiacchiere.»

Brian Eno The ship2_musicaintorno

Eno parla dell’hybris greca, quella superbia tracotante che l’Occidente europeo ha introiettato e enfatizzato con la dialettica della banalità del male, qui esemplificata dal Titanic, assurto a simbolo dell’illusione della belle époque che sfocerà nella guerra: «Arrivati all’apice ci rendiamo conto di dover scendere di nuovo. Sappiamo che abbiamo più di ciò che meritiamo o che possiamo difendere, e così diventiamo nervosi. Qualcuno, qualcosa sta per prenderci tutto: questo è il terrore dei ricchi. La paranoia porta alla difensiva, e finiamo tutti in trincea, uno di fronte all’altro, nel fango.»

Un sole volubile e primitivo che martella con una maestosa sessione di fiati, il primo movimento viene inghiottito da onde di dimensioni bibliche, adunate dalla voce abissale e mortifera dello Stratega, passando tra filtri vocoder, spari e glitch bomba. Fickle sun (II) è The hour is thin, una poesia composta mediante il Markov Chain Generator (software prodotto dal genio di Peter Chilvers) e recitata dall’attore Peter Serafinowicz accompagnato da un pianoforte minimale. La tecnica utilizzata per comporre i 2 minuti e 50 del secondo movimento è pura sintesi generativa, infatti all’interno del software sono state inserite canzoni della Grande Guerra, relazioni sul naufragio del Titanic e avvisi di hacking, in modo che il programma generasse migliaia di righe di testo poi selezionate e riordinate dall’artista che ricorda il metodo e l’approccio dada delle Strategie Oblique ideate insieme a Peter Schmidt nel 1975.

L’opera si conclude con la sublime esecuzione del terzo movimento di Fickle sun, rappresentato da una cover di I’m set free di Lou Reed estrapolata dal terzo album dei Velvet Underground.

Brian Eno3_musicaintornoChiunque abbia letto Sapiens di Yuval Noah Harari riconoscerà la sottile ironia di “I’m set free to find a new illusion” e la sua implicazione: quando usciamo dalla storia non entriamo nella “verità”, qualsiasi cosa sia, ma semplicemente in un’altra storia.

Mirabile e struggente torna anche l’inconfondibile forma canzone di Brian Eno assente dai tempi di Before and after science a chiudere questo concept che non potremmo far altro che ammirare tra le centinaia di costellazioni del capolavoro di questo artista unico al mondo.

 

 

Alberto Sparacino

 

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