ALEXANDER LAYER, LE DIVERSE SFUMATURE DI METALLO PESANTE

Occhi all’insù impegnati in un ricordo. Aveva dodici anni e quell’oggetto lucido, destinato a diventare un’estensione di sé stesso, lo irretì come per un prodigioso incantesimo.

«Da allora io e la mia chitarra siamo inscindibili!» con enfasi Alexander Layer, al secolo Alessandro De Fusco, giovanissimo chitarrista casertano che incontro in un torrido pomeriggio domenicale.

Uno di quei pomeriggi indolenti in cui l’aria condizionata del locale è down e le cicale friniscono… ma Alexander conosce i trucchi per tenerti sveglia!

Lo immaginiamo con la dolcezza che si riserva agli esordienti, poco più che bimbo, a pizzicare in maniera impacciata le corde… poi imbraccia la chitarra, inizia a suonare e quel delicato stato d’animo si trasforma in una vertigine oscura che trascina in un regno di fate, folletti, dei, animali mitologici. A bando le certezze della razionalità, dame e cavalieri, ci ritroviamo nelle terre nordiche di Ragnarok! Siamo in presenza di un artista che fa denotare l’altissimo tasso di sideremia nel suo sangue e io pretendo di scoprirne i misteri, gente!

Partiamo da “Fenrir”, il tuo primo disco da solista. Un lavoro sui generis per un chitarrista metal poiché riesce a combinare la massima espressione del virtuosismo tecnico ai temi della mitologia celtica e norrena. Due passioni forti che, combinate, dovrebbero destabilizzare eppure io – da ascoltatrice – ne sono stata sorprendentemente ammaliata. Alessandro, se c’è un segreto celato dietro tutto questo, rivelamelo subito!

«Segreti veri e propri non ce ne sono ma degli elementi insoliti per la musica metal, forse sì. In realtà, prendendo spunto dalla musica classica, ho cercato di rendere protagonista la storia: un racconto di una vera e propria tematica, senza l’ausilio di voci, mettendo lievemente da parte la tecnica estrema della chitarra. In questo modo l’ascoltatore è concentrato sulle sfumature della musica che narrano storie della mitologia norrena e celtica, mie grandi passioni da sempre. Adoro prendere un tema e stravolgerlo con sfaccettature, colori e virtuosismi utilizzati come temi melodici. La musica classica è il massimo riferimento nelle mie composizioni, la studio da circa otto anni e mi piace molto l’effetto che creano tutti gli strumenti insieme, per il quale, anche suonando poche note, si attribuisce forza e risalto a uno strumento in particolare. Nel mio caso, la chitarra. Nessun segreto, solo uno studio semplice ma d’impatto.»

Ti confesso che il risultato è davvero sorprendente.

«Unendo le storie mitologiche a questo genere di musica, ne risulta un ascolto piacevole e non impegnativo per chi è solo un appassionato ma, al tempo stesso, fortemente apprezzato dai veri cultori che amano l’elaborazione dello studio e della tecnica che c’è dietro. Ho riscontrato, inoltre, con immenso piacere che i cinefili e gli amanti dei fumetti sono particolarmente protesi verso il tipo di musica che faccio, apprezzando anche il racconto visivo che propongo nei miei video. Del resto, disegni e didascalie sono sempre presenti nei videoclip ai quali lavoro: adoro l’arte in tue le sue sfaccettature.»

The heart of Angrboda è una sorta di prequel della storia del lupo Fenrir. Anche qui troviamo power metal e medieval fantasy che, associati a immagini d’impatto, lasciano in bocca il sapore della suspence. Ti sarai accorto che stai forgiando un nuovo stile nel mondo del metal…

«Ogni traccia del mio ultimo album racconta la storia di un personaggio o un aneddoto legato al lupo Fenrir, animale mitologico dalla storia oscura e misteriosa. Il genere è una combinazione di power metal con il celtico e il medieval fantasy, una sorta di fusione melodico-tecnica. A livello di stile musicale mi sono ispirato ad altri autori che hanno fatto qualcosa di simile. La vera innovazione è la storia legata alla musica strumentale: è l’idea ad essere inusuale. Il più delle volte un solista è portato ad ostentare la sua tecnica ma io vorrei andare oltre. Ciò che ho acquisito negli anni di studio è indubbio ma vorrei riuscire a trasmettere anche qualcosa a livello visivo, in modo che lo spettatore sia portato ad osservarmi, oltre che ad ascoltarmi. Nei live stravolgo completamente i pezzi che eseguo: non suono mai allo stesso modo e mai con lo stesso finale. Mi piace incredibilmente sorprendere!»

Galeotta fu la chitarra dello zio che ti ammaliò all’età di 12 anni e, per mezzo della quale, si diede inizio alla formazione artistica di Alexander Layer. Ti andrebbe di raccontarci i tuoi ricordi legati a quei momenti di prime scoperte sulla musica?

«Mio zio suona chitarra classica ed elettrica da autodidatta. Da bambino mi incantavo a guardare quegli strumenti e mi perdevo nelle sue esecuzioni. Un giorno cominciai a imitarlo fino a chiedergli di insegnarmi a suonare. Lui notava, entusiasta, che ottenevo velocemente dei risultati e consigliò a mia madre di iniziarmi allo studio. Da allora non ho più smesso e la chitarra è diventata “il tutto” per me. Attualmente sono iscritto da 8 anni al conservatorio e sto terminando il percorso di studi classici.»

Considerato il fatto che ami così tanto il mondo fantasy, ti propongo un gioco: una mattina ti svegli e, tra uno sbadiglio e l’altro, ti cade lo sguardo sulle mani. Tra lo stupore e l’incredulità, realizzi che quelle mani non appartengono di fatto a te ma a quel famoso chitarrista che ami da sempre. Una manciata di secondi e sei giù dal letto, precipitandoti a recuperare la chitarra per testare le tue nuove, magiche capacità. A chi appartengono realmente quelle mani?

«Che domande… a Steve Vai! Il mio più grande idolo! Un chitarrista eccezionale che – a mio avviso – non ha eguali nel suo genere. Qui richiamo in causa il famoso zio artista a cui devo tanto. Un bel giorno lo vidi entrare in camera mia con un dvd tra le mani, invitandomi a guardarlo con lui. “Questo sì che è un chitarrista serio!” mi disse. Era la registrazione “Live at the Astoria” del concerto a Londra nel 2001. Beh, inutile dirti che mi incantai a osservare quelle mani che si muovevano con maestria, sognando di diventare un giorno come lui.»

Mi piace definire Alexander Layer come un chitarrista influenzato dalle diverse sfumature del metal che non disdegna di concedere uno sguardo romantico alla classical music. Stai a vedere che il dark possiede un cuore tenero!?

«Neanche un po’!» ridendo divertito. «Anche se devo ammettere che quanto hai detto ha un fondo di verità. Un artista ha l’animo sensibile, toccato da quello che gli succede intorno: un dolore, un momento di tristezza o di gioia, ed è bello riversarlo in ciò che suoni. E, quando si suona in collaborazione con altri musicisti, è fondamentale ascoltare tutti e considerare le idee di ognuno. Non bisogna mai accantonare i suggerimenti del singolo! Ho imparato che spesso le proposte migliori arrivano da chi meno te lo aspetti. Ecco perché considero l’essere protesi verso gli altri di primaria importanza. Inoltre, amo moltissimo la natura: faccio lunghe escursioni per rigenerarmi e nella solitudine ritrovo me stesso. Quando ritorno a casa ho mille idee: compongo, leggo, scrivo. Sento la necessità di eliminare le distrazioni del caos per respirare dei momenti che potremmo definire “bucolici”. Quindi, ritornando alla tua domanda, diciamo che il cuore è tenero quanto basta!»

Da questo pentolone magico, da cui esalano odori pungenti e penetranti, e crepitii di note dai molteplici colori musicali, quali piatti prelibati ci servirai?

«Ho in programma diversi live che mi impegneranno parecchio, non tralasciando però i progetti con i “Quasar h7”, il gruppo col quale suono prog metal e i cui componenti sono gli stessi con cui ho registrato Fenrir. Con la band siamo in uscita con un nuovo disco a dicembre! Nel frattempo, porto avanti anche un altro progetto parallelo con i “Cinematti”: riproponiamo le colonne sonore dei film più noti in stile rock-pop. Riserbo assoluto, invece, per i progetti discografici da solista. Ci sono lavori in corso importantissimi e voglio dare loro il giusto valore. È probabile che cambierò rotta e orizzonti… ma io non ti ho detto niente!»

 

Brigida Buonfiglio

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