WOODSTOCK 2019, A 50 ANNI DA UN FUTURO CHE NON È ANCORA ARRIVATO

Dal 15 al 18 agosto 1969 si svolse il celeberrimo festival di Woodstock. Un gigantesco palco venne montato a Bethel, nello stato di New York, tra infinite distese di campi erbosi e un bellissimo stagno. Quelle memorabili giornate vennero correttamente denominate “Tre giorni di pace, amore e musica”.

Il simbolo stesso del festival (il manico di una chitarra con sopra una colomba) intendeva fare riferimento agli intenti ispirativi dell’evento. Woodstock era in effetti il nome di una città vicina. Il giorno 18 non era stato inizialmente previsto, e dunque la manifestazione durò in realtà quattro giorni.

 

Nel 1967 si era già svolto il Monterey Pop Festival, con l’iconica immagine di Jimi Hendrix che bruciava la sua chitarra. E molti altri eventi simili, con numerosi artisti in cartellone, si erano svolti in quegli anni negli Stati Uniti. Eppure quello di Woodstock fu l’evento culminante del crescente movimento hippy, contrario alla guerra in Vietnam, all’epoca in corso e alla cultura dominante imposta dalla generazione precedente, che quei giovani desideravano fortemente lasciarsi alle spalle, credendo davvero di poter realizzare il sogno di un mondo nuovo. L’afflusso di pubblico fu superiore ad ogni aspettativa, al punto che il festival si trasformò in una manifestazione gratuita e che tutta la zona venne ritenuta dalle autorità competenti “zona sinistrata”. Migliaia di automobili si riversarono in direzione della zona del concerto e, viste dall’alto, somigliavano ad altrettante macchinine per bambini ammassate una sopra l’altra.

All’inizio dell’omonimo film del 1970 Max Yasgur, che aveva offerto il suo terreno, si stupì di come mezzo milione di persone potessero aver vissuto in pace, nonostante la situazione avrebbe potuto provocare facilmente risse o saccheggi. Un cronista del New York Times presente al festival si rifiutò di adeguarsi alle richieste dei suoi redattori, che volevano si sottolineasse soltanto un clima da catastrofe, con blocchi stradali e uso di droghe, scrivendo invece dell’affascinante atmosfera di cooperazione, premura e serenità della quale era testimone oculare. Naturalmente non mancarono i problemi, dal momento che quell’afflusso inaspettato di persone aveva trovato impreparati gli organizzatori in termini di strutture sanitarie e igieniche. Ci si mise anche la pioggia e c’erano ragazze che chiamavano a casa piangendo, non sapendo come rientrare, bloccate da quella marea di persone.

Eppure nessun fatto violento si verificò e gli stessi abitanti della zona, intervistati nel film, parlarono dell’educazione di tutti quei giovani, che, per quanto capelloni e abbigliati in maniera stravagante, non facevano altro che ringraziare o chiedere “per favore”. L’unico incidente fu dovuto al caso: un ragazzo che dormiva dentro il sacco a pelo sotto un trattore perse la vita quando, la mattina dopo, il mezzo si rimise in moto. Per il resto tutti cooperarono affinché nessuno si facesse male. Nel film si vede Bill Graham, il famoso proprietario del Fillmore West di San Francisco e del Fillmore East di New York, proporre scherzosamente un’idea per fermare quell’invasione di automobili impiegando il metodo in uso contro le formiche: scavare una lunga buca e appiccarvi il fuoco!

Sempre a proposito del film, con riferimento alla pubblicazione originaria, solo parte dei tantissimi musicisti in cartellone per quei quattro giorni di musica comparvero sulla pellicola. E il più delle volte per un brano soltanto, nonostante ciascuno di essi avesse tenuto su quel palco un mini-concerto. Incredibilmente Janis Joplin, che si esibì, si vede solo tra il pubblico, con i suoi grandi occhiali colorati, stupefatta da quella marea umana. Anche Jerry Garcia, che suonava con i Grateful Dead, si intravede per un attimo mentre porge una canna di marijuana alla cinepresa. Bellissime le immagini iniziali del grande palco in costruzione prima dell’evento, di giorno e tra vasti campi verdeggianti.

 

Degli artisti che compaiono nel film rimane nell’immaginario collettivo la fenomenale performance di Joe Cocker nella sua strabiliante versione di With a little help from my friends dei Beatles, il brano con il quale aveva chiuso il suo set, così come Soul sacrifice dei Santana, più le esibizioni di Who, Ten Years After e Jimi Hendrix. Quest’ultimo però salì sul palco alla fine del festival e si ritrovò a suonare in un clima di smobilitazione generale. Per contro, la sua intera esibizione a Woodstock è stata pubblicata ufficialmente su dvd. Leggendaria sarebbe rimasta la sua versione stravolta dell’inno americano, con le urla e i rumori della chitarra a simulare i bombardamenti della guerra in Vietnam. Crosby, Stills & Nash manifestano al microfono la loro grande emozione, dal momento che si stavano esibendo dal vivo per la prima volta (e davanti a quel pubblico!). Con loro c’era anche Neil Young, che però non volle essere filmato, ritenendo che le cineprese avrebbero distratto, sia i musicisti che la platea.

Dopo lo show di Joe Cocker un violento temporale interruppe per diverse ore la manifestazione. Tutti si divertirono poi a lanciarsi in corse spericolate nel fango, cantando in coro e utilizzando strumenti a percussione assemblati sul momento. La musica del primo disco dei Jethro Tull venne mandata in diffusione mentre il regista del film intervistava uno degli organizzatori. Richie Havens si ritrovò ad aprire il festival semplicemente perché il suo era il gruppo più “piccolo”. Paradossalmente Freedom, il brano che chiuse il suo set e che finì nel film, fu un pezzo del tutto improvvisato a seguito delle continue richieste di bis. John Sebastian pare sia stato chiamato sul palco nonostante fosse soltanto un componente del pubblico. E in ogni caso sospese anzitempo la propria esibizione quando venne a sapere che la moglie aveva appena partorito.

I Grateful Dead ebbero dei problemi tecnici dovuti a una presa a terra difettosa e presero più volte la scossa non appena toccarono le loro chitarre. Con Sly and the Family Stone arrivò anche la musica funky. In occasione delle successive edizioni del film, artisti che erano rimasti fuori dalla pellicola del 1970 (quali Janis Joplin, Canned Heat, Credence Clearwater Revival e Johnny Winter) possono finalmente vedersi, con immagini di ottima qualità e audio stereo. Il film originario presentava quasi sempre le riprese separate in due, con possibilità di seguire quelle a destra o quelle a sinistra, diverse tra loro. Nel caso di queste esibizioni recuperate più di recente, invece, le immagini sono a tutto schermo.

Al festival suonarono pure i Blood, Sweet & Tears. Anche di musicisti che erano presenti nel film con un solo brano sono riemersi altri pezzi di ottima qualità, come nel caso di Joe Cocker (Something’s coming home e Let’s go get stoned), Jefferson Airplane e i Santana (con una fantastica versione di Evil ways). Gli Who cominciarono a suonare alle quattro del mattino e presentarono l’intero concept album Tommy, pubblicato quello stesso anno (anche se nel film è presente solo la sezione finale). Il loro chitarrista Pete Townshend scaraventò giù dal palco Abbie Hoffman, che aveva interrotto la loro esibizione prendendo possesso di un microfono per urlare la sua rabbia contro l’arresto dell’attivista politico John Sinclair. E alla fine dello show Pete sbattè più volte la chitarra sul palco, per poi gettarla al pubblico. Carlos Santana, che aveva assunto qualche sostanza prima di suonare, si esibì avendo l’impressione che la sua chitarra fosse un serpente che tentasse di sfuggirgli tra le mani.

Joan Baez cantò mentre era al sesto mese di gravidanza e parlò anche del marito David Harris, arrestato in quanto obiettore di coscienza. Joni Mitchell avrebbe voluto raggiungere il luogo del concerto, ma si trovò imbottigliata tra tutte quelle automobili e rinunciò: quando, il giorno dopo, vide alla tivù quale occasione si era persa, si disperò. Ma in qualche modo si rifece, scrivendo la canzone intitolata proprio Woodstock che, cantata dai suoi amici Crosby, Stills, Nash & Young, si sarebbe potuta ascoltare all’inizio dell’omonimo film insieme alla bellissima Wooden ships. Bob Dylan, invece, pur abitando nelle vicinanze, preferì partecipare all’edizione del festival dell’Isola di Wight di quello stesso anno. In scaletta c’era anche il Jeff Beck Group (con Rod Stewart alla voce), che però si era sciolto una settimana prima. Vennero invitati anche i Led Zeppelin, i Procol Harum, Frank Zappa, i Free, i Byrds, i Moody Blues, gli Spirit e i Jethro Tull, che per diverse ragioni non parteciparono: non sapendo certo che si sarebbe trattato del festival più famoso di tutti i tempi!

Anche i Beatles, per quanto di fatto non più attivi, vennero contattati. I Doors non furono presenti a causa dei guai con la legge nei quali era incorso Jim Morrison dopo lo scandalo al concerto di Miami, ma al festival andò il loro batterista John Densmore. Il film di Michael Wadleigh tende a cogliere più l’evento come fatto culturale che musicale: per questo le immagini dei musicisti sul palco sono intercalate da interviste ai giovani presenti al festival, alle scivolate nel fango e ai bagni nello stagno. Spazio alla musica viene tolto anche per intervistare il tizio addetto a lavare i bagni chimici, che risponde alle domande del regista parlando di suo figlio in Vietnam. Ma si tratta di un’idea giusta, dal momento che ci viene così restituito il clima dell’epoca, con ragazzi dalle idee molto chiare e protagonisti del movimento tanto quanto i gruppi impegnati sul palcoscenico. In seguito, rendendosi conto della notevole quantità di persone coinvolte, le case discografiche fiutarono l’affare: tutto si tramutò in business, e il sogno svanì.

A mezzo secolo da quei giorni dell’agosto 1969, ci rendiamo conto che questa non è una retrospettiva. Quei ragazzi, sopra o attorno al palco, erano avanti a noi. Ancora oggi rappresentavano il futuro che non è ancora arrivato.

 

Giuseppe Scaravilli

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