TERESA DE SIO, I LABIRINTI DELL’ANIMA

Teresa, occhi scuri di una ragazza inquieta come la tempesta. Come il mare di Napoli, quando duro è il gioco delle onde, a spazzar gli inganni e le sporcizie che non possono appartenere a così tanta bellezza.

Teresa, a ricercar in ogni respiro ottavi e quarti. Vibrati, glissati, tre quarti; a far battere le lacrime di chi cerca felicità o gioia; a farsi “pizzicare dal ragno” tarantolato come il profondo Sud, come la vera ricerca: spasmodica, affamata, assetata di vibrazioni oltre il grido silenzioso dell’anima che cerca anime.

Teresa, sempre parlando d’amore, speranza; di tempi lontani, a farli avvicinar nella e per la memoria di chi ci ha lasciato, ma anche un segno di storia e non solo di corpo in polvere.

Teresa De Sio, li ricorda tutti i suoi percorsi. I collaboratori, gli incontri, i grandi artisti diventati colleghi dell’anima.

«Camminai dentro i Musicanova e mi accorsi che mi stavo formando, plasmando. Mi si rivelò il potere del mio dialetto, della più autentica tradizione napoletana, e compresi che grande era il patrimonio che si lasciava arricchire dai giochi della mia voce. Così tanto folk, tanta tradizione; non solo usare i miei vibrati, le mie note a volte estreme per la musica leggera…»

… O farsi “scimmia” per la musica americana.

«Questo a me non interessava. Mi resi conto che la musica era entrata nella mia essenza, nella mia vita, nel mio linguaggio. Cominciai a camminare da sola, “Sulla terra sulla luna”. Erano gli anni ‘80 quando iniziai ad usare il mio linguaggio. Sonorità più originali, più personali, ma senza abbandonare mai la tradizione. Ricordo che con i Musicanova imparai anche ad essere gruppo, a saper collaborare. Imparai ad essere me stessa, contemporanea, vera; a scrivere i miei brani, la mia essenza: Teresa.»

Vivendo il cambiamento dei propri giorni, della propria rivelazione. Per arrivare al cuore della gente, nella loro memoria, dentro il loro canticchiare. Così fu essenza l’album “Teresa De Sio”.

«Esplose in me tutto quello che avevo imparato, portandolo al popolo italiano, a Napoli, Roma… ovunque! Tutti cantavano i miei brani. Tutti avevano imparato a comprendere il mio linguaggio.»

Senza fermarsi mai, senza indugiare nella contemplazione della propria immagine riflessa. Senza vantarsi di sé stessa. Vivendo ancora e più di ricerca, di intuizione, collaborazioni che magnificarono nuovi panorami. Incamminandosi con Pino, con Ivano, con Fabrizio… ma soprattutto con Brian Eno.

«Mi riconobbero di un livello che a loro già apparteneva. Brian fece due dischi con me. Vissi la sua umiltà, la sua semplicità e vidi come la grandezza è nell’umiltà, nel voler essere dell’altro. Mi disse: “Non ho mai sentito una voce cantare così tante note.”. Siamo ancora amici. Quando viene in Italia, ci incontriamo, ci confrontiamo, sappiamo chi siamo e che apparteniamo all’arte. Come del resto con Fabrizio, una mente immensamente aperta, così aperta che fu lui a cantare una mia canzone… L’umiltà di un grande.»

Come grande è l’universo, che si fregia della sua stessa meraviglia. In un viaggio emozionale che approda a “Craj”. Quel domani fatto di occhi bruni affamati di vibrazioni, affamati di lacrime che urlano al passato gioia e dolore, senso dell’essere e del divenire.

«Craj che significa domani, una meravigliosa ed entusiasmante avventura nata dall’esigenza di non dimenticare. Misi insieme le vibrazioni dei mastri cantanti della tradizione pugliese, per donare dal vivo ciò che è vivo e non morirà mai. Da brava antropologa scavai in quell’essenza popolare… i grandi scritti di Ernesto De Martino, che meraviglia! Quei racconti illuminarono l’incredibile universo della Puglia. Così li portai sul palco i miei “vecchiarelli”, gli immensi maestri che ci donarono tanta meraviglia… i Cantori di Carpino, che rappresentavano la tradizione del nord marittimo della Puglia; Matteo Salvatore, anche lui cantautore, non soltanto della tradizione; Uccio Aloisi, l’ultimo cantore della pizzica… Immaginai questo spettacolo immenso su quasi 1000 metri quadri di palco: circo, musica… l’essenza dell’arte in uno spettacolo. E io me li curai quei “vecchiarelli”, soli, malati… per un anno me li coccolai, li curai…»

… E alla fine salirono sul palco per raccontarci l’essere umano, per raccontarci il sapore delle vibrazioni della musica tradizionale pugliese.

«Davide Marengo ci fece un film con “Craj”, questo spettacolo, premiato, amato. Ed è l’unico documento dei miei “vecchiarelli”. Ma come sempre non mi fermo e camminai talmente tanto da imbattermi nel diavolo. Scrissi “Metti il diavolo a ballare”, il mio romanzo che visse e che vive ancora dell’anima della tradizione pugliese.»

Ora i sapori e i profumi di un tempo che fu sono tutti racchiusi nell’essenza di un “puro desiderio”, a formarne parole e respiro. Una delizia dell’anima, un lavoro di una qualità artistica elevatissima.

«“Puro desiderio”, così si chiama questa delizia della mia anima. È un nuovo inizio. Scrissi il disco dopo essere uscita da un periodo duro: sofferenza, lutti, abbandoni… ma il mio carattere mi portò alla luce, invece di restare nel buio. Ho guardato me stessa e ho raccontato la mia anima. Ci ho messo dentro il mio urlo, le lacrime versate come una bambina che non ha più lacrime. Ho passato l’inferno e l’inferno era in me. Ma io ne spensi le fiamme, per donare l’aspetto del mio essere: “Sono solo una bambina che ha perso il cielo, ma sono ancora puro desiderio”.»

 

Gino Morabito e Fabio Fiorina

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