SIMONE RUGIATI, UNCONVENTIONAL CHEF

Di Gino Morabito

Dieci extravergini di altissima qualità per sentirsi a casa. Un po’ di sano relax, qualche peccato di gola, un dito di liquore… il tutto condito con anni di esperienza nel settore. C’è arte nei suoi piatti, ma non solo.

Peculiare, visionario, integro. A chi prova le esperienze di gusto di Simone Rugiati viene in mente una e una sola espressione: anticonvenzionale.

Stagionalità, tracciabilità e km zero. Le keyword sulle quali edificare il concetto di cucina made in Italy.

«Mi piace fare cucina fusion con ingredienti prodotti nel nostro territorio. Il km zero dovrebbe diventare sempre più un concetto di shop local. Bisognerebbe capire che stiamo facendo la spesa con il nostro carrello virtuale. Non si tratta solo di quello che mangiamo, ma è come lo coltiviamo ad incidere sul nostro pianeta.»

Un pianeta in cui far progredire le attività di tutela per l’ambiente.

«Torno dal Kenya dove, con la mia associazione benefica, portiamo avanti il progetto #Schef. Frequento da anni quella terra cercando di sostenere la popolazione locale. Consegniamo loro prodotti alimentari, farmaci e giocattoli per bambini. Inoltre, lì abbiamo svolto attività di raccolta della plastica, dai villaggi alle spiagge della costa. Lo scopo era quello di riciclare i rifiuti e riutilizzarli per la produzione, ad esempio, di tessuti, calzature e vere e proprie opere d’arte.»

La riflessione sul futuro che stiamo lasciando alle prossime generazioni non può prescindere dal modo di nutrirsi.

«Il must è e dev’essere la salubrità del piatto. Noi siamo quello che mangiamo – è vero – ma anche gli ingredienti sono quello che mangiano mentre crescono. Se voglio il massimo da un piatto, devo metterci dentro quelle materie prime che contengono il miglior apporto nutrizionale possibile.»

Il pioniere dello show cooking in Italia fornisce consulenze e crea nuovi menu per ristoranti di prestigio. Si impegna in numerosi progetti d’imprenditorialità bio-green, di social/urban farming e di agricoltura 2.0 utilizzando la sua immagine pubblica come strumento di sensibilizzazione sociale.

«Se faccio una cosa che mi piace, ne divento il primo sponsor. Fin da piccolo la cucina è sempre stata una sorta di magia: giocare con gli ingredienti, elaborare il cibo e poi portarlo in bocca. Questo gesto l’ho sempre visto come un grandissimo atto di fiducia nei confronti di chi lo prepara.»

Un atto di fiducia da una parte, l’esercizio di un potere dall’altra.

«Da bambino c’era una vicina di casa che badava a me perché i miei lavoravano fino a tardi. Lei e mia nonna ai fornelli erano bravissime: quando preparavano da mangiare, vedevo che tutti erano alle loro dipendenze. Soprattutto la domenica e per le feste. Mi rendevo conto che chi cucinava aveva in mano la gestione della casa, esercitava un potere. Da lì ho sempre voluto fare il cuoco.»

Food Loft è la “factory house” dello chef originario di Santa Croce sull’Arno, uno spazio multifunzionale di 350 mq dedicati al mondo del food & beverage, ma non solo. È il quartier generale milanese per la sua creatività, il luogo di massima espressione del carattere e dell’essenza di Simone Rugiati.

«Il Loft è stato una mia esigenza. È innanzitutto una “sala giochi” che permette alla mia creatività di espandersi il più possibile. Poi è anche il mio ufficio e una base operativa; un laboratorio per produrre, fare eventi, catering.»

Le storie dei piatti raccontano il costume di un Paese così straordinariamente ricco di contraddizioni come il nostro.

«Il piatto che più di ogni altro ci racconta è la pastasciutta. Sì, ma quale? Dove? L’Italia è una ma, quando si parla di cucina, è la più capillarizzata che esista al mondo, con una differenziazione così ampia e sfaccettata delle ricette che cambiano, non solo da regione a regione ma anche da paese a paese, talvolta persino da porta a porta.»

La televisione può essere considerata la sua seconda casa. Il grande pubblico ha potuto apprezzarne la vulcanicità alla conduzione di Cuochi e fiamme su La7 e per dieci anni l’abbiamo visto impegnato in Io, Simone e il loft e Nudo e crudo su Gambero Rosso Channel. E ancora su Food Network Italia, in un format nel quale gira i ristoranti dei paesi e borghi d’Italia alla scoperta delle tipicità del territorio.

«Sarei un bugiardo se dicessi che la gente non mi riconosce e che non ho avuto un discreto successo nel mio campo. Ma le soddisfazioni lavorative non possono essere quelle che passano per il riconoscimento televisivo. La televisione è arrivata per caso nella mia vita e, negli anni, parlando esclusivamente di ciò che so e forte della mia schiettezza, sono riuscito a crearmi una credibilità e uno zoccolo duro di sostenitori. A dispetto di tutto e tutti.»

Una crescita professionale ragguardevole cominciata a Parma, in una casa editrice che pubblicava prevalentemente libri e riviste di cucina.

«In quei cinque anni sono entrato in contatto con i più importanti chef italiani e internazionali. All’inizio come assistente, ero il loro commis. La svolta è arrivata quando un giorno il mio editore mi chiese di fare una lista di tutti i cuochi famosi con cui avevo lavorato, su richiesta di un ufficio di Milano per fare un casting televisivo. La compilai ed inviai il fax, spiegando perché li conoscessi così bene. Qualche tempo dopo mi chiamarono dalla Bongiorno Production perché avevano bisogno di un ragazzo giovane per un programma. Tutto ad un tratto mi ritrovai con il microfono addosso davanti a Mike Bongiorno (la produzione era sua) in studio con la Zanicchi. Quando partiva la sigla mi veniva l’ansia. Però non potevo fare a meno di manifestare apertamente il mio pensiero, soprattutto se ero in disaccordo con quello che si stava esprimendo in trasmissione. Accesa o spenta la telecamera non importava. Dicevo la mia senza filtri, diretto. Da lì è partito tutto.»

Conduttore, autore, produttore, speaker radiofonico, web infuencer. Oggi anche imprenditore e consulente per molte aziende e brand italiani. Ha quarantadue anni e sente forte la necessità di cambiare.

«Cambiare continuamente, fare qualcosa di nuovo, gestire più cose contemporaneamente. Ho una trottola tatuata perché, più va veloce, più trova il suo punto di equilibrio. Se rallenta, tutto comincia a ondulare e sballa. E io lo stesso.»

www.musicaintorno.it

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