“TUTTO PASSA”, ANCHE IL SUO CONTRARIO. UMANAMENTE ALESSIO DARI IN ARTE ARTÙ

artu01_musicaintornoAl via il 28 ottobre dal Piper Club di Roma “Tutto passa tour”, la tournée di Artù.

Il cantautore romano (voce e chitarre) sarà accompagnato sul palco da Andrea Inglese (chitarra elettrica), Giuliano Urbini (basso e contrabbasso) e Mauro Ciolfi (batteria).

On stage “Tutto passa” e il suo contrario, ovvero “l’espressione più democratica al mondo, e non è affatto pessimistica”.

Ironico e pungente, il Nostro affronta tematiche legate alle difficoltà esistenziali, dal malcontento sociale alle ipocrisie di una società conformista; tematiche con cui confrontarsi quotidianamente.

«È un album in cui ho cucito addosso un vestito semplice, adatto per tutti i giorni, ma non per questo scontato.»

La malinconia celata nelle sue “filastrocche d’autore” apre tuttavia le porte alla speranza, al sogno e alla capacità di credere che il cambiamento sia davvero possibile.

Amiche e amici: umanamente Alessio Dari in arte Artù. L’intervista.

“Tutto passa” e non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume (Eraclito, “Panta rei”, ndr). Se avessi il potere di ripetere esattamente qualcosa, da che cosa cominceresti?

artu02_musicaintorno«… Dalla prima volta che ho cominciato a suonare la chitarra… quello è stato uno dei giorni che mi ha cambiato la vita. Ho trovato una chitarra in cantina, nella casa di mia nonna – a raccontarlo, lo so, sembrerebbe finto, ma è andata proprio così – avrò avuto 7 anni… Poi mio padre mi confessò che, quand’era giovane, suonava la chitarra… Insomma, me ne innamorai. Quel giorno lì…»

Passano la famiglia, la scuola, gli affetti, le imposizioni, la voglia di fuggire… Riempiono il magico box de le cose perdute? O di quelle da salvare?

«Riempiono un po’ tutto. Credo che “Tutto passa” sia l’espressione più democratica al mondo, e non è affatto pessimistica: passano le cose belle, ma anche le brutte. Passa tutto! Si tratta di una presa di coscienza del fatto che l’uomo, per quanto possa dannarsi nella vita, poi alla fine… tutto passa.»

Giusto per restare in tema, quali sono stati i momenti – quello più bello e il più brutto – che sono passati?

«Il più bello, sicuramente l’adolescenza, verso i 18… Il momento più brutto, invece, l’ansia…»

… Quindi tu non soffri di ansia da prestazione…

«… Ansia da prestazione no; avverto un po’ d’ansia, invece, quando sto insieme ad altra gente. Diciamo che mi sento molto solo con gli altri.»

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Il tuo è un album fatto di brani che hanno scelto i vestiti da cucirsi addosso. Che tipo di “abito” hai realizzato?

«È un album in cui ho cucito addosso un vestito semplice, adatto per tutti i giorni, ma non per questo scontato. Venivo da un disco, in cui ho collaborato con Stefano Profeta: c’eravamo seduti a tavolino, per capire davvero che cosa avremmo voluto realizzare, che tipo di sound… Invece, in questo con Francesco Cataldo, c’è venuto tutto molto spontaneo: abbiamo lasciato che il pezzo ci guidasse la mano.»

Qual è il tuo pubblico?

«Mi rivolgo a un pubblico stanco di un mondo in cui sembra sempre tutto così difficile e complicato. Partendo dalla politica, per finire con la musica, il cinema, la famiglia, l’amore… sembra che ci si trovi in presenza di qualcosa di estremamente complesso. Io, invece, cerco di rendere il tutto un po’ più semplice: se devo dirti “Ti voglio bene”, non ci giro attorno, lo dico senza mezzi termini. Un po’ come quando si parla tra amici, con schiettezza, in modo diretto.»

artu08_musicaintornoLa musica sta andando proprio nella direzione della semplicità, se non addirittura della estrema facilità… Rispetto ai testi che si scrivevano, ad esempio, negli anni Settanta, sembrerebbe che oggi ci sia la ricerca di un linguaggio atto a evitare di pensare troppo…

«Nel mainstream, oggi, purtroppo, è tutto così semplice, che non c’è niente dentro. Prima, invece, facevo riferimento soprattutto all’indie, dove “semplice” deve far necessariamente rima con “pieno di roba” (e “ci si complica il pane”, ndr).

Francesco De Gregori – giusto per citarti un esempio lampante degli anni Settanta – era complicato ma diretto, e la sua – come quella di Rino Gaetano e di Lucio Battisti – veniva considerata musica popolare. Io non sono mai stato considerato un cantautore appartenente a quei mondi lì, facevo sempre il giro di do… e tutti continuavano a ripetermi che non ero né indie né mainstream. Sono un folletto in mezzo a questi due mondi, dove l’indie – a mio avviso – difficilmente riuscirà a produrre della “musica popolare”, che la gente percepirà come propria fin dall’inizio. Una canzone rimane nella storia, non perché è bella, quanto piuttosto, poiché chi la ascolta la sente già sua!»

Alessio Dari, in arte Artù. A che cosa si deve la scelta del nome?

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«Prima non volevo cantare, facevo solamente il chitarrista e scrivevo canzoni. Poi, un giorno, incontrai Alberto Quartana (produttore), gli feci sentire dei brani, che gli piacquero subito, e mi propose di lavoraci insieme, a patto che a cantarli fossi io… Mi lasciai convincere, a condizione però di scegliermi un nome d’arte e il primo che mi venne in mente fu Artù. Il motivo profondamente vero, invece, non posso rivelartelo, perché è molto intimo.»

In “Tutti a scuola” esordisci con “La scuola non serve nemmeno per fare l’amore”. Quale insegnamento avresti voluto ricevere?

«Avrei voluto ricevere un insegnamento libero da ogni pregiudizio. Ed è un po’ quello che cerco di fare io, sforzandomi di descrivere ciò che vedo nel modo più oggettivo possibile, senza esprimere giudizi.»

Quale, invece, vorresti trasmettere?

«… Che la vita è tua, e nessuno può dirti quello che è giusto e quello che è sbagliato per te. Bisogna andare avanti per la propria strada. Sempre!»

Alessio, il circo se n’è andato. Hai mai provato a rincorrerlo?

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«Non saprei, perché – in quella canzone – in realtà, ancora il circo non se n’è davvero andato. Ma se ne andrà. E, quando, come il protagonista del brano, sarò rimasto solo per colpa della musica, credo che mi rincuorerò, poiché mi sarò liberato di un peso.»

 

 

Gino Morabito

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