MYSS KETA, GIÙ LA MASCHERA!

Usa il plurale presentandoci Il cielo non è un limite (Island/Universal), e parla di sé alla terza persona. È infatti una collaborazione tra i vari personaggi reali che ruotano attorno alla famiglia Myss Keta e Motel Forlanini, da Riva a Populos al featuring di Priestess. E, tra i vari personaggi fittizi impersonati, emanazioni di una Myss Keta a sua volta alias di una misteriosa cantante di cui tanto si è detto e poco si sa.

La maschera è, per scelta, il volto che le permette di essere chi vuole. Come un supereroe che si trasforma indossando il proprio abito di scena, spogliandosi di qualsiasi limite.

Myss Keta, da sempre milanocentrica e italocentrica.

«Vengo da Milano e non dimentico la vita notturna, la prima esibizione al Glitter, il Plastic. Sono nata qua; è il mio mondo, inevitabilmente mi ha formata. Ma suonare nei club delle altre città, spostarmi per l’Europa, ha allargato i miei orizzonti e ha fatto sì che affrontassi altre tematiche. Io rimango milanocentrica, però una milanocentricità nel mondo.»

Un universo mondo sovrastato dal cielo che non è un limite. Un EP coerente, sperimentale, istintivo; con sonorità abbastanza spinte e paradossalmente più clubbing, in un momento in cui nei club non si può andare.

«C’è un doppelgänger di Myss Keta per ogni brano. È stato creato un nuovo personaggio con un proprio tipo di voce e una caratterizzazione teatrale. Abbiamo iniziato con Giovanna Hardcore e ci è sembrato potentissimo riuscire a farla parlare e cantare in un determinato modo, studiarla nei dettagli fino ai passi di ballo. Poi ci siamo affezionati a questo giochetto e l’abbiamo riprodotto nelle altre canzoni.»

Ogni brano una Miss Keta e il suo alter ego.

«Giovanna Hardcore arriva direttamente dal primo Medioevo a questo secondo Medioevo, passando dai roghi ai fuochi che si accendono nei rave per tenere caldo. La sua è una danza primitiva, tribale, liberatoria, istintiva; un mantra che si ripete per arrivare all’estasi e alla liberazione. In GMBH troviamo una Myss un po’ più signora; una mystress felina, tagliente, misteriosa, che osserva dall’alto di un palazzo vetro e acciaio con il suo bicchiere di champagne. Riflette e dà le sue valutazioni, in un gioco di seduzione.»

Con Rider bitch si affronta il tema decisamente attuale dei runner.

«È una Myss che fa la rider, i grandi protagonisti di quest’anno. Da un lato angeli di un momento tremendo, dall’altro schiacciati dal feudalesimo di questo nuovo Medioevo che li porta ad essere sottomessi e sfruttati. L’argomento è affrontato nella maniera di Myss, cioè quella di immergersi in un mondo e parlarne dal suo punto di vista.»

Tante Myss in cui calarsi, a seconda dei concetti da esprimere. Come le molteplici sfaccettature di una medesima personalità.

«Nell’era contemporanea è inevitabile essere un po’ contraddittori, avere molteplici punti di vista. Mi piace sempre di più immergermi in ogni canzone; trovare la corretta gestualità, la giusta voce, il modo migliore di approcciarmi all’altro. È un gioco, un divertissement. Calibro il mio personaggio in base a quello che vuole dire, a ciò che rappresenta. È il mio modo di teatralizzare. Tante personalità, tante parti di me interiori che si scontrano tra loro.»

Ne viene fuori Due, una canzone assurda, matta, satura.

«Una Myss sguaiata che non si tiene assolutamente, su una base densa che finisce con una superaccelerata nel jungle-rave. L’abbiamo inserita come canzone finale, perché riassume un po’ il nostro pensiero sul mondo contemporaneo.»

Un altro tema contemporaneo è quello dell’immagine e dei social.

«In Photoshock Myss diventa una modella anni Novanta davanti all’occhio di una telecamera. Il brano contiene dei suggerimenti sul rapporto tra chi osserva e chi è osservato. Dov’è il potere? È l’osservato che vuole ammaliare o è l’osservatore? Quanto è giusto, quanto è sbagliato? È una lotta che stiamo vivendo, in versione estremizzata.»

Dal contemporaneo a un personaggio preso in prestito dalla mitologia greca.

«L’ambientazione di Diana è una Magna Grecia futurista con alberi, alieni, boschi blu, fate, divinità. Io e Priestess, come moderne dee della caccia, andiamo per i boschi a cantare i nostri versi in greco antico, in una situazione fuori dal tempo e dallo spazio. È una sospensione; un mondo immaginifico, onirico, in cui sono affiancata da una Priestess che ci regala una parte di cantato speciale e magica e che entra perfettamente in connessione con il mondo che volevamo comunicare.»

Ogni personaggio è stato creato e fatto parlare in un modo peculiare, sia a livello di testo che di vocalità. Nessun limite neanche nelle lingue.

«Per la prima volta, sono così esploratrice che accenno al tedesco, all’inglese, addirittura al greco antico. Perché il cielo non è un limite, la lingua non è un limite, la musica non è un limite. Niente dev’essere un limite!»

In un momento in cui viene meno la nostra libertà, un disco sull’assenza di limiti.

«Il modo in cui ho sempre trattato le tematiche è quello di superare il limite e descriverle in maniera impattante, forte. Forse perché è il modo in cui descrivo la realtà: un linguaggio satirico con un istinto di protezione nei confronti di un reale, il cui significato ci sfugge sempre più. Negli ultimi tempi il vogueing mi ha ispirato tantissimo, come attitudine, e sono felice ci siano serie come Pose che ha messo in luce questo universo, per comprendere la libertà del dancefloor rispetto alla vita normale.»

Musicalmente il richiamo è alla house anni ‘90/‘00, molte le fonti di ispirazione.

«È il sound che mi ha sempre accompagnato, talvolta salvato nei momenti più bui. Troviamo elementi ghetto-house; tanta techno-house un po’ più fredda, più tirata, un po’ Green Velvet come mondo. Tantissime ispirazioni: da Madonna a Raffaella Carrà, Britney Spears, le Spice Girls, Loredana Berté… Forse la madrina spirituale di questo EP è Grace Jones, un po’ il santino del progetto.»

Tra le varie chiavi di lettura troviamo riferimenti letterari e cinematografici.

«In questo momento sono molto attratta dalla coppia Ballard-Cronemberg, che esprime benissimo il contemporaneo. Un contemporaneo esagerato, saturo, carico di eroi ed eroine che, per liberarsi, spingono all’estremo le loro passioni e ciò in cui credono, senza paura di sbagliare.»

Da sempre, se qualcuno chiede di avere il proprio spazio, di essere rispettato, troppo spesso viene limitato. Perché fa paura, perché dice cose che gli altri non vogliono sentir dire, perché esprime dei concetti che possono risultare fastidiosi.

«Ognuno deve proseguire per la propria strada. L’universo valoriale di Myss è semplicemente l’espressione personale del sentirsi liberi di essere sé stessi, nel pieno rispetto degli altri. Se qualcuno vuole limitarmi, troverà pane per i suoi denti!»

Il personaggio di Myss Keta indossa la maschera da un punto di vista concettuale, per nascondere il viso, per svelare l’interiorità. Una maschera che permette a tutte le persone di immergersi nel suo personaggio e non darle un volto vero e proprio.

«Sono contenta di vedere tutti con la mascherina, perché è un presidio di salute che denota rispetto; non ci spaventa più come prima, quando era vissuta come un disturbo. Oggi la mascherina è inevitabilmente diventata di uso comune e questo mi ha offerto tanti spunti di riflessione: per esempio, ho capito quanto sia complicato parlare con qualcuno senza vederne l’espressione e mi rendo conto della difficoltà in cui metto le persone quando mi presento con maschera e occhiali.»

In un universo libero e senza limiti, la maschera come rifugio.

«Quello della maschera è un concetto che approfondisco con il personaggio. Ti fa sentire più libero sotto tanti punti di vista: “Datemi una maschera e vi dirò la verità”. La frase di Oscar Wilde è reale: da una parte mi fa sentire più libera, dall’altra mi fa essere ancora di più il personaggio di Myss. È la maschera del teatro greco. Ci sono i vari personaggi, e c’è anche il personaggio di Myss Keta.»

Una maschera può nasconderne altre mille, con mille altre verità.

«È paradossale che una maschera mi abbia dato l’opportunità di fare questo mestiere. Nei live ho sempre visto molti ragazzi e ragazze indossare la maschera, e lo fanno in maniera del tutto spontanea: si sentono più liberi di essere sé stessi, e per me è una grandissima vittoria. Diciamo che è un po’ un esercizio spirituale.»

Il ritorno al live “in presenza”, utilizzando un’espressione di stringente attualità.

«Per i futuri live l’immaginario a cui penso è legato ad alcuni elementi del cielo, del vetro e dell’acciaio. È questo che vorrei riuscire a trasmettere! Scenografie riportabili in un ambiente club, che possano rispettare le mie immagini visive. Ancora non abbiamo pensato come renderle effettive e tradurre le idee pragmaticamente. Chissà cosa può succedere!»

 

Ginevra Baldassari

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