23 febbraio 2017, la data di inizio del suo nuovo progetto artistico, “The bodyguard. Il musical”, con Ettore Bassi. Lei, nei panni di una seducente e raffinata voce da proteggere.
Ma la storia di Karima Ammar in arte Karima affonda le proprie radici nei talent; è un chiaro esempio di come quell’esperienza andrebbe affrontata: trampolino di lancio, non condanna artistica.
Terza classificata alla sesta edizione di Amici (2006), Karima ha conosciuto un momento di successo che l’ha portata sul palco del Festival di Sanremo con la hit “Come in ogni ora” (2009). La sua carriera è però andata oltre, complice anche l’incontro con il maestro Burt Bacharach. Arriva quindi la riscoperta del jazz, prima incarnazione dell’artista livornese. È proprio in questo contesto che nasce il progetto “Lifetime”, in cui Karima reinterpreta alcuni brani del proprio repertorio in chiave jazz di fianco ai classici del genere, accompagnata dal pianista Dado Moroni e dal suo trio, composto da Riccardo Fioravanti al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria.
All’interno della rassegna Class Club, a Catania, viene omaggiata Whitney Huston, la più grande influenza e faro della cantante, con il classico “The greatest love of all”, così come Burt Bacharach, “ago della bilancia” della propria carriera, con diversi brani fra cui “Just walk away”, scritto per lei. Troviamo anche tracce del trascorso gospel (“His eye on the sparrow”) e momenti tipicamente jazz (“My favourite things”), intervallate dalle parentesi solistiche che ognuno dei musicisti ritaglia per sé.
La Karima che si presenta al pubblico catanese è senza dubbio diversa da quella della televisione, ma le doti e le espressività artistiche sono invariate. Al contrario, chi aveva apprezzato la cantante toscana proprio per l’eleganza tutta americana della propria voce ha ricevuto un’ulteriore conferma del suo valore. A colpire maggiormente è il fatto che, a differenza di gran parte delle colleghe, riesca a non esagerare, evitando ogni ghiribizzo a favore di una performance votata alla precisione e all’interazione con gli altri musicisti.
L’atmosfera di un concerto jazz di tale spessore fa il paio con il mood sereno e sobrio della performance, tipico dei più grandi, e non è riproducibile facilmente per iscritto. Dunque, non possiamo fare a meno di invitare i lettori, anche i non appassionati al genere proposto, a non lasciarsi sfuggire la nuova veste di Karima, artista poliedrica e versatile, che ha rilasciato un’intervista per Musica Intorno.
Karima, dai talent al jazz. Come consideri questo passaggio? Si tratta di un ritorno o di una scoperta?
«Giustamente per il grande pubblico io sono partita dal talent, ma in realtà sono partita molto prima: con la televisione – a dodici anni ho fatto “Bravo Bravissimo” – e con la gavetta, ho fatto parte per tre anni di un coro gospel e per altri tre anni di una compagnia di musical; ho fatto tante serate e concerti jazz nei club, per cui la gavetta è partita da molto prima. Il talent per me non è stata una tappa iniziale ma una tappa di un percorso, percorso che va un po’ a “s”: parti dai live, poi vai in televisione e poi ritorni; credo che serva tutto per formare l’artista e la persona. Inoltre io sono estremamente versatile, per cui mi diverto a mettermi in gioco, come è successo qualche mese fa con “Tale e Quale”, che non c’entra niente con quello che faccio però è stato divertente.»
Quanto ha pesato, per il corso della tua carriera, l’incontro col maestro Burt Bacharach?
«Tantissimo! Già prima di conoscere di persona Burt Bacharach conoscevo lui come artista e il suo repertorio, per cui una volta incontrato all’età di 22/23 anni per me era come avere un mostro sacro davanti. Lui è stato l’ago della bilancia, la sua influenza è stata molto pesante in maniera positiva. È stata un’esperienza fondamentale per la mia crescita artistica, per i consigli che lui mi ha dato e per farmi conoscere al grande pubblico come quella che è stata accanto a un grandissimo, quindi porta anche il nome della credibilità e della qualità per quanto riguarda questo tipo di musica.»
Veniamo al presente. Come è nata la collaborazione con Dado Moroni?
«Conosco Dado Moroni da poco, la collaborazione è nata a dicembre dell’anno scorso. Tramite la mia nuova manager, con cui lavoro da un anno e mezzo, che è nel jazz da molti anni; ho incontrato quest’artista che prima conoscevo solo di fama. Poi l’ho conosciuto musicalmente e devo dire che, sin dal secondo concerto, sembrava di suonare insieme da sempre; è scattata la famosa scintilla. Poi la cosa fondamentale è che oltre la scintilla musicale c’è una bella armonia d’amicizia: stiamo bene insieme, viaggiamo bene insieme. Alla fine, in rapporto a un concerto la maggior parte del tempo che passiamo insieme non è quello sul palco ma è quello fuori. Se fuori non c’è armonia, è difficile poter fare questo lavoro con serenità. Per cui, devo dire che ci sono tutte le carte in regola per proseguire con questa bellissima collaborazione.»
Quali sono le origini e gli obbiettivi del progetto “Lifetime”?
«L’idea originale è di raccontare appunto la mia vita (“lifetime” significa “racconto di vita”). Ho iniziato a cantare prestissimo, ho fatto la prima registrazione a sei anni, in studio di registrazione, cantando un inedito. Raccontare, quindi, le tappe importanti della mia vita: lavorare in televisione, fare un provino per un coro gospel o per un musical, cantare brani che mi hanno accompagnato durante l’infanzia e che ascoltavo quando mia madre metteva i vinili e io ero lì a casa, a colorare. Una vera e propria ricerca di brani di questo tipo, riarrangiati poi in chiave jazz da Dado Moroni. Devo dire che quest’idea è piaciuta tantissimo ai ragazzi, che ne sono stati subito partecipi. Ad esempio “When did you leave heaven” è un brano che io non conoscevo. Ho chiesto loro di suggerirmi un brano che sarebbe stato bene addosso a me, e Dado ha proposto proprio questo. È poi diventato uno dei miei preferiti. Insomma, interagiamo molto sulle scelte e anche sugli arrangiamenti, è proprio un lavoro di squadra.»
Francesco Paladino