HARRISON FORD, QUARANT’ANNI DA INDIANA JONES

Di Gino Morabito

In un’intervista alla Cbs del ‘98 dichiarava che “il solo interesse riguardo la sua immagine è la possibilità di confonderla”. Il volto di chi, sul grande schermo, è stato credibile nei panni di Han Solo, Rick Deckard, Jack Ryan e naturalmente Indiana Jones, ha resistito alla prova del tempo.

A ottantuno anni compiuti Harrison Ford indossa ancora il cappello e la frusta per dar vita all’ultimo eroe romantico, nell’atto finale di congedo. Almeno fino al prossimo film.

In quelle lunghe pause, tra un inseguimento a bordo treno e una fuga a cavallo, ha riempito i vuoti nella vita di Indy e gli ha permesso di invecchiare.

«Volevo affrontare la sfida dell’età. Perché è la sfida che riguarda anche me in questa fase della vita. Ed è quello che mi commuove e che stimola la mia immaginazione. È un territorio che i film avevano già esplorato e continueranno a esplorare, ma non l’avevano mai fatto con questa capacità di intrattenimento. Non è roba per il cinema popolare questa!»

Una storia durata quarant’anni.

«Di solito questo accade quando c’è una connessione forte con il regista. Sono stato fortunato, perché ho lavorato con la vecchia scuola e con la nuova. Sono andato all’asilo e all’università con dei giganti. Nel frattempo il mondo cambiava e ora c’è una nuova generazione di gente di talento. La storia della mia carriera è stata sempre: quanto c’è da imparare? Chi sono gli insegnanti? Come l’esperienza mi cambierà? Ogni volta mi sono reinventato, ogni volta ho riorganizzato le mie ambizioni.»

Le sue ferite, pubbliche e private, molto probabilmente stanno negli interstizi tra una puntata e l’altra della saga, iniziata nel 1981 con I predatori dell’arca perduta. Un mondo che oggi non esiste più e che si fa molta fatica a decifrare.

«Non ho quarant’anni, il mio corpo non reagisce alla stessa maniera e il mondo non mi presenta più quelle opportunità. Indy deve confrontarsi col fatto che tutto intorno a lui è cambiato, suo figlio è morto, sua moglie l’ha lasciato, c’è il rock’n’roll. Un’altra era ha fatto il suo ingresso e lui si trova in una nuova fase della vita. L’America è andata nello spazio e i nemici di un tempo, i nazisti, sono diventati amici. È un mondo che non capisce più, ma vorrebbe ancora provarci.»

Un eroe d’azione che si presenta carico di emozioni.

«Credo che questa maggiore percezione dell’emotività sia una conseguenza del fatto che è l’ultimo film della saga: dunque un maggiore investimento emotivo da parte degli attori ma anche del pubblico. Abbiamo avuto una sceneggiatura molto ambiziosa, scritta egregiamente, dove i rapporti tra i personaggi erano chiari sin dalla prima lettura. Per il resto, l’energia sul set era incredibile e, una volta cominciate le riprese, bisognava solo fare attenzione a non inciampare sulle luci.»

Interpreta un archeologo, ovvero una persona normale che, in circostanze particolari, si comporta in un modo straordinario.

«Ho sempre ritenuto essenziale che il pubblico, anche nel bel mezzo di una scazzottata o di una scena d’azione, mi trovasse comunque coerente con il personaggio. Volevo che sentisse il suo trionfo, la sua paura, il suo tentativo di trovare una soluzione al problema. Indiana Jones, con il suo vigore giovanile, si sarebbe comportato in un determinato modo. Adesso, al tramonto della vita, si comporta in modo diverso.»

La chiave del successo di un personaggio così amato da intere generazioni.

«Indiana Jones è un prodotto di puro intrattenimento ed è stato concepito proprio per questo scopo. È un film d’azione, divertente, che si rivolge alle famiglie e racconta una storia basata sui rapporti umani. Le persone amano i personaggi perché amano i film e, senza una storia, non si ha un personaggio da amare.»

Per la quinta e ultima volta incarna l’avventuriero cui forse ha deciso di appaltare la propria immortalità.

«Non rivisito i personaggi. Se l’ho fatto, talvolta, è solo perché ho pensato che stessero realizzando un film parimenti buono o addirittura meglio di quello girato in precedenza. Io, Spielberg e Lucas abbiamo sempre avuto l’ambizione di apportare al personaggio qualcosa di nuovo e correlare quel dato aspetto alla storia. Così, con “Indiana Jones e il quadrante del destino”, siamo arrivati a un buon finale o almeno a quello che noi abbiamo ritenuto essere il finale giusto per concludere tutti e cinque i capitoli della storia.»

Titoli di coda, luci in sala e il tema principale che esce dallo schermo per entrare nelle vite della gente comune. Comune come quel “tizio” con cui Harrison Ford ha passato metà della sua vita.

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