ELENA DI CIOCCIO: FUORI SCINTILLIAMO, DENTRO INCENERIAMO

Di Gino Morabito

Relazioni tossiche, violenze fisiche, abuso di sostanze, rischiando tutto, tutti i giorni. Attrice e conduttrice radiofonica e televisiva, Elena Di Cioccio ci mostra a cuore aperto ogni indelebile ferita. Dalla drammatica scoperta della sieropositività (nascosta per metà della sua vita) al superamento della dipendenza da cocaina, passando per la perdita della madre e del fratello fino alla chiusura del rapporto con il padre Franz.

La testimonianza, forte e senza reticenze, di una donna che, per stare finalmente bene, ha dovuto raccontare la sua verità: quando fuori scintilliamo e dentro inceneriamo.

Era giovane, abitava con il fidanzato in una piccola casa sul Naviglio di Milano.

«Avevo mille sogni nel cassetto e tutta una vita davanti. Ma una mattina mi sono svegliata senza sapere che da lì a poche ore la mia vita sarebbe cambiata per sempre.»

Edito da Vallardi, pubblica Cattivo sangue. Un romanzo-testimonianza, nel quale l’autrice racconta l’accettazione della propria vulnerabilità e la trasformazione di una condanna in un atto di amore per sé stessa e per gli altri.

«Ho quarantotto anni e da ventuno sono sieropositiva. “Cattivo sangue” è la narrazione di una vita al limite segnata dalla convivenza con l’Hiv, stigmatizzante. Con quei fantasmi interiori troppo spesso schiacciati dietro le apparenze, anche quando il corpo urla e la felicità sembra sparita dall’orizzonte.»

Una psicoterapeuta le ha spiegato che il trauma è come una ferita che sotto suppura anche se l’hai chiusa.

«Quindi devi riaprirla, tagliare la pelle, e fa male, ripulire e poi richiudere. La cicatrice resta, e devi accettarla.»

Anni passati tra la paura e la rabbia, ma oggi non si sente più in difetto.

«Oggi non ho rimpianti e non sono più arrabbiata. Io sono questa cosa qui e non voglio più nascondermi. Quando incontravo ogni singola persona mi domandavo se, come e quando dire che ero sieropositiva. Lasciando la mia parola scritta ora lo do per fatto, una volta per tutte.»

I biglietti per Axl and Co. li conserva ancora intatti, con la matrice attaccata, in mezzo ai brutti ricordi.

«Un pomeriggio chiamai da un bar l’ufficio dei miei per avvisare che sarei partita per Modena. Avevo trovato un passaggio e sarei andata a vedere il concerto dei Guns N’Roses. La voce antipatica dell’assistente del mio patrigno mi annunciò fredda: “C’è stato un incidente, tuo fratello Giacomo è in rianimazione a Varese. Raggiungi i tuoi, ti spiegheranno loro.”.»

Giacomo era il piccolo fratellastro.

«Aveva poco meno di tre anni quando una ciliegia andata di traverso gli si era incastrata nella trachea, soffocandolo in pochi minuti. Ormai intubato, restò in coma per circa una settimana prima che il suo corpicino, pompato a forza dai respiratori, smettesse di dare segni vitali.»

Come tutte le Marylin del mondo, la madre Anita Ferrari ha bevuto “quelle dannate goccine” accompagnata dal pianto di cera di candele inermi.

«Delorazepam, Xanax, Minias, Trittico, Tavor, Valium, Gardenale, Zoloft. Un mix di quelle sue maledette medicine che non faceva nessuna fatica a procurarsi – e i cui racconti facevano tanto ridere nei backstage dei concerti, alle cene o in spiaggia a Porto Cervo -, ma che l’avevano addormentata per sempre.»

Per Elena Maria Ida Di Cioccio un’infanzia in cui si è spesso ritrovata sola, travolta dalle liti in famiglia.

«Sono cresciuta prima del dovuto, dei buchi sono rimasti. La separazione, non facile, tra i miei non ha aiutato. Il mio intento, tuttavia, non era sparare contro i miei genitori, come contro nessun altro.»

Prima della generazione di suo padre non c’erano i giovani, non esistevano come categoria.

«Esistevano solo gli adulti e i vecchi. La letteratura giuridica sulle separazioni in tema di protezione dei bambini nasce solo negli anni Novanta. Prima ci spostavano come i comodini.»

La figlia di una leggenda del prog rock italiano, in un ricordo dolceamaro.

«Per me mio padre non è stato una leggenda. La leggenda ho iniziato a scorgerla solo da qualche anno. La difficoltà più grande è stata con la gente che, prima di vederti come persona, ti identifica come la figlia di. Lui professionalmente è bravissimo, è uno che il suo mestiere lo sa fare. È un artista che riesce sempre a trovare il modo di esprimere le proprie capacità, sia nei momenti belli che in quelli difficili. Perché le carriere musicali salgono e scendono, l’importante è resistere nel tempo e crederci. Continuare a crederci anche quando, magari, non ci crede più nessuno.»

Credere nella libertà di esprimere sé stessi nel pieno delle proprie pulsioni e passioni, come nel programma televisivo La mala educaxxxion.

«Il programma che abbiamo realizzato si basava sul raccontare le possibili espressioni di qualcosa di bello in tutte le sue forme, solo per il fatto che reca piacere ad entrambe le persone che lo stanno vivendo in quel momento. Era un’esigenza fisica di qualcosa di appagante e gioioso. Che poi è quello che dovrebbe essere la naturalità del sesso.»

Lo stesso vale per la musica che è condivisione di una gioia collettiva, sia per chi la suona, sia per chi la ascolta.

«Che tu ti sieda a sentire un brano di blues dal vivo in un posto di merda, pieno di fumo, con quelli sudati che magari nella loro vita hanno scommesso tutto sul loro essere presi fisicamente dalla musica insieme a te, che sei pubblico, o che tu vada a un concerto “pulitino”, come nei Sessanta quelli dei Beatles, non cambia niente. Purché l’atteggiamento con cui lo fai sia trasparente. Oggi, purtroppo, ci tocca la trap che non ha niente di passionale. È uno sfogo narcisistico che tende ad escludere, invece di includere. Non c’è nessuna gioia.»

È squalificante dover scegliere una gioia soltanto.

«La gioia è un beneficio, uno stato vitale. Se scegli la celebrazione della vita quotidiana, qualunque cosa ti arrivi puoi decidere di vederla in modo costruttivo, tentando di creare valore in tutto ciò che fai, nel massimo rispetto verso sé stessi e verso gli altri. Alla ricerca di quel pezzetto che illumini la tua giornata. È questa la gioia più grande, non averne solo una!»

Preoccuparsi degli altri è stata la sua occupazione principale per tutta la vita.

«Questa volta ho deciso di preoccuparmi solo di me. Volevo raccontare me stessa, la mia verità. Con papà al momento non abbiamo rapporti, ognuno è andato per la sua strada. Se penso a tutti quelli che mi chiamano per avere il suo numero o dei biglietti… Ma c’è sempre domani. Domani può sempre accadere qualcosa di inaspettato.»

www.musicaintorno.it

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