EDOARDO LEO, UN ANTIEROE VINCENTE

Di Gino Morabito

Non è stato l’attore del momento a venticinque anni, non lo è stato a trenta e nemmeno a trentacinque. Per Edoardo Leo è successo tutto dopo i quaranta. Dalle commedie “smart” alle sceneggiature brillanti che recita, scrive e dirige. Guardando in controluce la sua storia d’autore, innanzitutto, ma anche d’attore, il profilo è chiaro: per dirla alla Proietti non ha la tempra del divo, ma i suoi i ruoli da antieroe sono vincenti.

Porta in scena “Ti racconto una storia – Letture semiserie e tragicomiche” con le improvvisazioni musicali di Jonis Bascir. La tournée teatrale del “clandestino” più famoso d’Italia si concluderà trionfalmente il 30 e il 31 maggio al “Brancaccio” di Roma.

Il protagonista spiega al pubblico che si tratta di un unicum.

«La struttura rimane la stessa ma è prevista una parte d’improvvisazione da fare insieme agli spettatori. Tutto accade di volta in volta, ogni serata è diversa dall’altra.»

Tre lavagne piene di appunti, un leggio al centro e libri, tantissimi libri.

«Tra gli autori che mi hanno maggiormente influenzato, uno su tutti è Gabriel García Márquez, un faro. Con quel suo modo di raccontare il tragico e il drammatico, attraverso la lente del grottesco, dell’ironia, dell’umorismo.»

Ci sono parole che non si può fare a meno di portarsi dietro.

«Quelle cinque che ti possono salvare la vita: buongiorno, buonasera, grazie, prego, scusa. E ritengo di usarle nel modo opportuno.»

Così come bugie alle quali non si è mai smesso di credere.

«Gigi Proietti diceva: “Benvenuti a teatro, dove tutto è fino ma niente è falso.”. In scena, lo spettatore guarda qualcosa che sa essere del tutto finto, ma le emozioni che prova sono profondamente reali.»

Racconta storie. Per mestiere.

«C’è un modo in cui tutti noi proseguiamo la tradizione orale. Parlo, ad esempio, delle ninnenanne di quando eravamo bambini, delle conte, di certe filastrocche… i testi di alcune canzoni che conosciamo a memoria, ma di cui non comprendiamo bene il significato.»

Dietro un maschio che fa questo tipo di show quasi sempre c’è una moglie, una fidanzata, che alza gli occhi al cielo e… parte la risata.

«In tutti questi anni ho condotto una sorta di indagine sull’umorismo. Ed è uno studio continuo. Non ho mai fatto un film comico tout court. Ho sempre cercato, piuttosto, storie che fossero interessanti, con uno sguardo ironico sopra. ‘Smetto quando voglio’ è un esempio felice di quel tipo di ricerca, ovvero il tentativo di raccontare una piaga sociale attraverso la lente dell’umorismo.»

E allora ecco che ridiamo e crediamo a barzellette illogiche, ad aneddoti surreali e a storie che spesso sembrano irreali. Tutto questo perché “la vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.

«Il mio percorso artistico non è cominciato con le luci della ribalta, ma in teatri dove eravamo otto in scena e quattro spettatori. Quest’anno festeggio trent’anni di gavetta e mi piace spesso ricordare i momenti più difficili, quando andavo a fare i provini e non mi prendevano. Perché credo che quello che sono diventato dopo l’abbia costruito proprio su quei fallimenti.»

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