DODI BATTAGLIA, PERLE DEL NOSTRO TEMPO

Vietato fermarsi, la parola d’ordine e l’incitamento di un artista per il quale, dopo oltre cinquant’anni sul palco, la voglia di fare musica è rimasta la stessa. Anzi. Dodi Battaglia non ha mai avuto alternative. E oggi come allora punta tutto sulla creatività e sul talento, inesauribili generatori di speranza.

Il ritratto di un uomo riservato, che si racconta declinando il nostro tempo attraverso piccole e preziosissime perle che fanno parte del patrimonio musicale italiano. Un uomo che, giunto alla maturità artistica, guarda con tenerezza a quel ragazzo che lavorava sodo per conquistarsi il biglietto di un treno che passa una sola volta nella vita; un musicista, rimasto fedele a sé stesso, che ha percorso tanti chilometri, sia su strada che sui manici delle chitarre. Personalità poliedrica con la voglia di crescere e perfezionarsi, Dodi Battaglia si esprime mediante un linguaggio fatto di suoni e profonde vibrazioni. Con la grazia e l’energia di un autentico moschettiere, sguaina ancora la sua Stratocaster e suona la vita.

Dodi Battaglia accoglie l’invito di Mario Biondi, Annalisa Minetti e Marcello Sutera e partecipa al brano Il nostro tempo che inaugura il progetto “Nemico Invisibile”. Si tratta di una campagna di raccolta fondi destinata ad Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo), che sarà attiva fintanto che continuerà l’emergenza Covid-19. Per la precisione saranno devolute tutte le somme raccolte attraverso le varie piattaforme digitali di downloading e di streaming, la monetizzazione delle visualizzazioni del videoclip sul canale YouTube, gli introiti editoriali e le somme derivanti dalle vendite delle t-shirt dedicate, sul conto corrente bancario preposto all’iniziativa – IBAN: IT67X0311103253000000010815 intestato a “Auser” presso: Ubi Bank via Crociferi 44 – 00187 Roma.

Mi piace avviare il confronto con Dodi Battaglia, accogliendo e rilanciando un messaggio: sarà il nostro essere umani a salvarci. E la capacità di esprimersi attraverso l’arte della musica può rappresentare una valvola di sfogo e una porta d’accesso verso il futuro.

«Nel mio futuro senza alcun dubbio c’è la musica. È talmente permeata nel mio modo d’essere che anche durante il lockdown ho continuato a lavorare a progetti come l’album live Perle 2 e la tournée, che tornerà nelle piazze non appena verranno stabilite le modalità dalle istituzioni. In questi giorni sto lavorando alla copertina del mio primo audiolibro e ho partecipato a delle collaborazioni per iniziative discografiche di prossima uscita.»

Tra le collaborazioni artistiche, il primo capitolo del progetto “Nemico Invisibile” con il singolo Il nostro tempo, una sorta di lettera in musica, piena di slanci verso il futuro e generata proprio per dare speranza e seminare amore. Che tempi stiamo vivendo?

«Questi sono tempi in cui viene messo in discussione tutto: la nostra società, il lavoro, quei meccanismi del quotidiano che davamo per scontati e che ora abbiamo dovuto abbandonare per non correre il rischio di ammalarci.»

Dopo il lockdown la nostra società, il lavoro, i meccanismi del quotidiano… si apprestano a una ripartenza, dove ognuno di noi dovrà fare la sua parte.

«Dovremo rimboccarci le maniche per far ripartire l’economia del nostro Paese e per far sì che non venga vanificato il sacrificio di quanti hanno salvato tante vite senza risparmiarsi negli ospedali e nei laboratori di ricerca.»

Il sacrificio di questi eroi del quotidiano, dove il dolore degli altri è anche il nostro, viene celebrato in musica e parole da Dodi Battaglia, Mario Biondi, Annalisa Minetti, Gaetano Curreri, Petra Magoni, Andrea Callà, Marcello Sutera. Tutti artisti, legati da un sentire comune, che si spendono per il sociale.

«Ho accolto con grande piacere l’invito di Mario, Annalisa e Marcello, tra l’altro con i primi due ho avuto anche delle collaborazioni sempre in ambito musicale. È stato bello ritrovare in questo progetto tanti amici e colleghi: la musica sa essere un potente collante quando si tratta di fare del bene.»

Il nostro tempo ti ha dato la possibilità di ritrovare degli amici. Da uomo e artista, cosa significa per te l’amicizia?

«È voler bene e ricevere il medesimo sentimento da una persona dalla quale so che non dovrò mai guardarmi le spalle: su questo presupposto si costruisce tutto il resto. È un principio che seguo da sempre. Una cauta diffidenza è necessaria, soprattutto se si fa un mestiere come il mio: di primo acchito non sai mai se la persona che hai di fronte ha intenzioni sincere o se sta cercando di approfittare della tua popolarità.»

La tua popolarità ha raggiunto il massimo della sua espressione insieme ai Pooh. Un gruppo di “amici per sempre” che, in oltre cinquant’anni di storia, intrecci di esperienze, passioni comuni, ha saputo toccare le vite degli altri.

«Sì, mi piace pensare che come Pooh noi cinque (insieme a Roby, Stefano e Red includo anche Valerio Negrini, fondatore e paroliere del gruppo) con le nostre canzoni abbiamo saputo “toccare” le vite degli altri: negli anni davanti al nostro palco sono nate amicizie, amori, si sono raccolte intere famiglie. Inoltre tra gli anni ‘80 e ‘90 abbiamo collaborato con il WWF per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla salvaguardia dell’ambiente e con Telethon per aiutare a raccogliere fondi da destinare alla ricerca medica. E queste sono state solo alcune delle nostre collaborazioni volte al sociale.»

Siete riusciti a sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche di grande rilevanza sociale, mantenendo viva quella speranza che tanti sembravano aver perso. Oggi più che mai c’è bisogno di sperare. Sperare nonostante tutto.

«Sperare significa mantenere accesa una metaforica fiammella che ti permette di vedere malgrado il buio che c’è intorno. Nei confronti della vita mi sono sempre posto con il presupposto che sei tu stesso la persona a cui fare riferimento nel momento del bisogno, in cui trovare forza e motivazione. Se hai fortuna, la vita ti permette di incontrare buoni amici su cui contare e condividere con loro fatica, speranze, difficoltà.»

La vita ti ha fatto percorrere molte strade: su alcune hai sfrecciato per vent’anni, gareggiando nella categoria turismo con Giorgio Faletti e ottenendo vittorie e pole position. Adesso corri sui kart per beneficenza e collabori con l’associazione Kart No War, affiliata a Rock no War.

«Sono una persona meticolosa e la precisione che metto nel realizzare un brano la applico anche nelle mie altre attività: se poi da tale impegno scaturisce anche l’opportunità di aiutare chi è in difficoltà, sono ancora più motivato. Ad esempio sto collaborando con Nuovo IMAIE, di cui sono delegato e portavoce, per lo stanziamento di un fondo di 7,5 milioni di euro a sostegno degli artisti che si trovano in difficoltà per la cancellazione di eventi live, rappresentazioni teatrali, lezioni o turni di doppiaggio.»

Umanamente, qual è il traguardo più importante che hai tagliato? Nel preciso istante in cui alzi le braccia al cielo in segno di vittoria, quali immagini ti scorrono davanti agli occhi?

«I volti dei miei figli: Sara, Serena, Daniele, Sofia. Sono loro il successo più grande che ho conseguito come uomo. Poi il sorriso di Elisabetta, mia madre: era lei che, quando ero piccolo, si caricava la fisarmonica in spalla e prendeva con me l’autobus per andare a lezione di musica. C’era lei con me quando, in un negozio di Bologna, da un juke-box sentii per la prima volta le note di “Atlantis” degli Shadows e mi resi conto che quello della Fender Stratocaster di Hank Marvin era il suono più bello che esistesse al mondo.»

Tra le cose più belle che esistono al mondo, di certo il dono di essere genitori. Dodi, che padre sei stato?

«Con Sara, Serena e Daniele non sono stato presente come meritavano e volevo, ma ora che i miei ritmi lavorativi non sono frenetici come nei decenni passati ho modo di godermi maggiormente la famiglia e veder crescere Sofia.»

Nell’ottobre del 2009, grazie a tua figlia Sara, sei stato il primo dei Pooh a diventare nonno. Cos’è che vorresti riuscire a trasmettere a tua nipote Victoria e alle generazioni che verranno?

«Di essere persone concrete, con solide basi e progetti precisi. Ma di tenere sempre aperta quella metaforica finestra che permette di guardare al mondo con curiosità e di comunicare con esso attraverso la propria creatività.»

Per un artista la creatività è il canale privilegiato dove scorre e confluisce la propria libertà di espressione. Ti senti un artista libero?

«Nel corso dei miei cinquant’anni di carriera ho avuto la possibilità di esprimere la mia creatività, di evolvere artisticamente e sviluppare un mio sound: mi sono espresso con il linguaggio pop, rock, fingerstyle, fusion, ho conseguito un diploma accademico honoris causa di secondo livello in “Chitarra elettrica jazz” ed ancora studio e sperimento. Sono compositore, arrangiatore, paroliere. In tutto questo c’è la mia libertà di essere artista e uomo.»

Guardandoti allo specchio, oggi chi vedi?

«Vedo un ragazzo che ha lavorato sodo per conquistarsi il biglietto per il fantomatico treno che capita una volta sola nella vita. Vedo un uomo che ha percorso tanti chilometri, sia su strada che sui manici delle chitarre. Vedo una vita piena di soddisfazioni, di gioie e qualche errore, come è normale che sia.»

Tra le piccole e preziosissime “perle” del tuo percorso artistico, qual è quella che, più di altre, ti piacerebbe venisse custodita?

«È difficile scegliere, perché ogni mia canzone racchiude in sé una serie di esperienze e ricordi noti a me solo. Senza dubbio, come artista, l’assolo del brano “Parsifal” è stato uno dei treni presi al volo: in quel caso la preziosa opportunità di dimostrare musicalmente da cosa partivo e chi puntavo a diventare. Come uomo, ho estremamente caro lo strumentale “Vale”, composto per celebrare il ricordo di Valerio Negrini, scomparso nel 2013. Ho trasposto in note ciò che l’amicizia rappresenta per me, l’affetto per un amico vero, i ricordi che ho di lui ed i segreti che ci siamo raccontati negli anni. Ma più di tutto, la riconoscenza per aver visto in un ragazzino di diciassette anni l’uomo e il chitarrista che sarei diventato.»

 

Gino Morabito

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