DE ANDRÉ, VIS POETICA DI PADRE IN FIGLIO

«I grandi artisti hanno questa grande capacità di prevedere le cose, di prevedere il tempo, e tutto quello che sto cantando di suo è assolutamente odierno.»

Cristiano De André attinge dall’immenso repertorio di Faber, rileggendo “Storia di un impiegato”, un concept album sugli anni di piombo e sulla speranza di costruire un futuro più accessibile a tutti.

Oggi, di cosa sono fatti gli anni che viviamo? Siamo ancora capaci di grandi sogni?

«Siamo ancora capaci di grandi sogni, anzi penso che siano sempre più forti, visto che veniamo da quarant’anni in cui ce li hanno tolti. Proprio per questo motivo abbiamo voglia e bisogno di riprenderci da un periodo oscuro dove l’arte, la cultura e la musica sono state messe un po’ da parte.»

L’album racconta il gesto di un impiegato degli anni ‘70, animato dal ricordo della rivolta collettiva del Maggio francese del 1968. A distanza di oltre cinquant’anni, quale gesto si riterrebbe necessario per scuotere le nuove coscienze dall’imperante omologazione?

«Credo che l’unico gesto possibile sia la verità, essere sinceri e puntare sulla qualità più che sulla quantità.»

L’autenticità di una poetica che smuove le coscienze, canta gli emarginati, difende gli ultimi. Una vis poetica che si trasmette dall’eterno cantastorie Fabrizio a suo figlio Cristiano, perpetuandosi intatta di generazione in generazione. E fa la storia. Una vera e propria opera rock che, nella nuova veste musicale con cui viene riproposta ai giorni nostri, sta ricevendo ottimi riscontri da parte di pubblico e critica.

Cristiano De André e Stefano Melone (alla produzione artistica) hanno reinterpretato le canzoni del disco con un suono calibrato sui momenti psicologici del protagonista della storia, dall’iniziale clima di sfida dettato dall’introduzione sui giorni del Maggio francese sino al fallito attentato e al carcere. Ad accompagnare sul palco il cantautore genovese, Osvaldo Di Dio, Davide Pezzin, Davide Devito e Riccardo Di Paola; la regia è di Roberta Lena.

 

 

Gino Morabito

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