DANIELE SILVESTRI, SEMPRE PIÙ CANTASTORIE

Di Gino Morabito

Gli piace farsi tramite delle storie altrui portando in scena il manifesto della sua arte. Sfaccettata, attuale, romantica, ironica. Daniele Silvestri canta l’amore ma soprattutto la realtà che gli sta intorno, non percorrendo mai il tracciato del prevedibile. Che si tratti di mettere insieme suoni o parole, scegliere le collaborazioni, o di come far nascere le canzoni.

In attesa dell’evento estivo al Circo Massimo insieme agli altri due sodali Fabi e Gazzè, da gennaio ad aprile porterà in scena ‘Il cantastorie recidivo’. Un resident show con ben trenta repliche all’auditorium Parco della Musica ‘Ennio Morricone’ di Roma. Un nuovo spettacolo per ripercorre la sua storia e quella dell’Italia.

Nella sala ‘Petrassi’ ogni sera un’esibizione diversa.

«In queste occasioni, in genere, si decide di fare un unico grande evento in cui raccogliere magari amici. Invece noi abbiamo deciso di fare trenta volte la stessa meravigliosa cosa, nella stessa meravigliosa casa.»

Sul palco, ancora una volta cambia atmosfera e narrazione.

«Ormai mi rendo conto che sto diventando sempre più un cantastorie che un cantautore. Mi piace, in qualche modo, farmi tramite dei racconti di vita altrui.»

Testimone consapevole del Paese in cui viviamo e di chi lo vive.

«Interpretare la realtà che mi circonda è qualcosa che continuo a fare. Tuttavia, provo a fornire un contributo di visione delle cose un po’ più distaccata, dove anche la fantasia si possa smarcare in avanti, per svolgere una funzione diversa rispetto al passato.»

‘Il cantastorie recidivo’ vuole essere anche una riflessione sui cambiamenti sociali e culturali del nostro tempo.

«Appartengo ai Novanta. Anni che si potevano riassumere fondamentalmente nelle parole contaminazione e fusione, talvolta anche in maniera sbagliata, eccessiva, ma pur sempre produttiva. Fino a poco prima c’erano state le distanze, di genere, geografiche. Anche nella stessa musica c’erano distanze nel linguaggio. La mia generazione ha creato, in qualche modo, un cortocircuito tra la musica d’autore, intesa come impegno sulle parole, sulla comunicazione verbale, e la produzione musicale che, per noi, aveva quasi uguale importanza.»

Dopo il primo disco, comincia a intuire che la musica poteva essere più che un divertimento. E scopre Dalla.

«Ho iniziato ad ascoltare la produzione precedente di Lucio – precedente ai grandi successi intendo – ed è lì che ho scoperto l’artista. Quei dischi, anche meno noti, continuano a essere ancora oggi la tavolozza di colori più libera della forma-canzone che conosco. E questo mi ha reso felicemente schiavo per sempre della sua geniale creatività.»

L’uomo col megafono oggi si guarda nello specchio.

«È uno dei pochi pezzi che mi porto sempre dietro. Nel tempo è diventata una canzone potente. Già trent’anni fa era un po’ una figura del passato, raccontare un uomo che arringa la folla col megafono. Faceva già un certo effetto allora, figuriamoci oggi. Eppure, quella figura retrò ha un fascino enorme. Nel disco nuovo c’è una canzone che si chiama ‘L’uomo nello specchio’ e, nel corso delle ultime date, ho cominciato a metterle l’una accanto all’altra. Come se fosse l’uomo col megafono stesso a guardarsi nello specchio trent’anni dopo.»

Trent’anni di carriera, che si aggiungono ai venticinque che aveva già sulle spalle quando ha iniziato.

«Certo, c’è il vantaggio dell’esperienza ma lo svantaggio di una vitalità e di una forza fisica, che chiaramente vanno protette, difese. Mentre prima non mi facevo di questi problemi, adesso sono qui che giro con i medicinali giusti per riuscire a reggere una serie impressionante di concerti come quelli degli ultimi mesi. Ci scherzo sopra ma sono orgoglioso di come ce la stiamo cavando.»

www.musicaintorno.it

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