DANIELE BARSANTI, CANTA FRAMMENTI DI STORIE IN CUI RILEGGERE LE NOSTRE VITE

 

Daniele Barsanti, classe 1990, ha già un bagaglio di belle storie da raccontare.

La sua voce graffiata lascia sentire sulla pelle gli inverni desolati di un paese sul mare, l’infatuazione per la musica e per la creazione senza genere, la passione vibrante che si ritrova negli occhi di una commessa troppo impegnata a ripiegare ogni giorno la vita sugli scaffali per accorgersi del tempo che passa. Alle spalle il singolo Lucia; l’EP Tu che ne sai, prodotto da Petra Magoni, e una tournée in apertura di Francesco Gabbani.

Davanti un futuro pieno di promesse, l’opportunità di collocarsi tra i cantautori di una nuova ondata, l’anello mancante tra l’it-pop e i grandi nomi della canzone italiana. Con la stessa autenticità con cui compone i suoi brani, Daniele Barsanti si apre a noi, trasmettendoci tutto l’impeto della sua passione.

Le commesse di Daniele Barsanti è un piccolo spaccato di vita, la breve sequenza di un film.

«Mi piace prendere un particolare ed espanderlo a livello emotivo in tutta le sue direzioni. Immagino le storie, le sensazioni che possono nascere da un’occhiata; vedo una luce accesa e fantastico su quella che potrebbe essere la vita all’interno di quella casa. Così come ho visto negli occhi di quella commessa la sua storia. Ho romanzato la mia idea della sua vita. La condizione è quella comune a tanti lavori: la precarietà di stagione; il tempo che va avanti, che sembra non scorrere, invece poi è da vent’anni che hai vent’anni…»

Un lavoratore che, chitarra e appunti alla mano, racconta la quotidianità.

«Con “Le commesse” non ho voluto rappresentare una categoria lavorativa, è stata un’esigenza di scrittura. Avevo voglia di raccontare quell’immagine e poi la canzone è andata a cogliere un particolare, senza una strategia o un obiettivo precisi, senza ricercare un tema specifico. Quello è il lavoro di chi si occupa poi di promuoverlo; un lavoro di etichetta, di ufficio stampa, di giornalisti che sanno trovare e raccontare un significato. Chi crea e chi ne parla lavorano su due piani diversi.»

Occorre coraggio per scegliere di fare musica oggi?

«Ci vuole coraggio in ogni strada. Studiavo Giurisprudenza, ho fatto due esami e poi mi sono chiesto se era quello che volevo davvero essere. Così mi sono laureato in Discipline dello spettacolo e nel frattempo ho seguito la mia passione per la musica. Ho capito che quello era il mondo che mi piaceva, che fosse sul palco o dietro. Sono un lavoratore e voglio realizzarmi in questo ambiente, riuscire a farlo con le mie canzoni sarebbe il massimo!»

Vivi in Versilia, una zona di mare, e la Toscana è molto presente nel tuo modo di cantare.

«In Versilia si sta bene, è un bel quadro, ci si vizia. Ma il cambio tra estate e inverno è drammaticamente visibile. La stagione è un sentimento. Hai una percezione del tempo ben definita e, vivendo questa sensazione di fermo, di blocco, te ne accorgi di più rispetto ad altre persone che vivono in città. Qua d’inverno c’è la morte, in senso positivo, e l’estate invece si fa bella, si riveste di lusso. Sento molto questi influssi nelle canzoni che scrivo, c’è molta autenticità.»

Quali sono le tue maggiori influenze? Quali artisti segui?

«Non ho un genere prediletto, spazio dalla Vanoni a Vasco, agli Oasis. È il brivido della creazione che mi attira. Quando un autore scrive un brano e sente di aver creato qualcosa che non esisteva prima e che ha colto nell’aria, quella è una magia indescrivibile ed è ciò che cerco nei miei ascolti. Non cerco l’artista, che alla fine è un uomo, fallace. Quella distanza leopardiana, quell’amore platonico va mantenuto nei confronti di chi ammiri. Lasciamo la mia ammirazione così, nella nebulosa idea che ho di loro. Non riesco ad essere fan di un solo artista, per me l’importante è quello che mi sta raccontando.»

A proposito di racconti, ci anticiperesti qualcosa sul nuovo album?

«Ho voluto fare una selezione di canzoni che suonano chitarra e voce o piano e voce. Brani che, se ti metti lì con la chitarra, si fa una tavolata e si canta tutti insieme. Sto facendo il disco che vorrei sentire. L’album avrà sonorità prettamente elettroniche, un’elettronica calda fatta con strumenti suonati e con canzoni che hanno tanta melodia, voglia di cantare, ariosità. Ho voluto dare anche una strizzata d’occhio a quello che succede al mondo moderno, stare al passo con quella che è la società di oggi.»

Una società in cui si ha l’esigenza di fare le cose velocemente, di poterle realizzare in casa.

«Veloce e bello non vanno mai d’accordo. Sembra che la tendenza del mondo sia fare tutto con la filosofia di Ikea: all’esterno super patinato, bello a vedersi, ma dentro è truciolato. La nota positiva è che c’è uno spazio dentro il quale, se si vuole dire qualcosa di interessante, c’è chi è pronto ad ascoltare. E questo è fondamentale, perché significa che di gente desiderosa di ascoltare belle canzoni ce n’è ancora tanta.»

 

Ginevra Baldassari

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