CINQUANTA VOLTE MARIO BIONDI, TRA GENEROSITÀ E CORAGGIO

Di Gino Morabito

Considerato l’erede naturale dei mostri sacri della musica nera, è uno dei nostri maggiori vanti nel mondo. Dai cori gregoriani delle chiese siciliane alle collaborazioni con i più grandi artisti internazionali, Mario Biondi non ha mai smesso di osare.

Al giro di boa dei suoi primi cinquant’anni, continua a regalare emozioni che arrivano dritte all’anima, quella black soul che incarna il senso più profondo di dare.

Dare. Come un mantra, un modus vivendi che segna il percorso umano e artistico di un catanese Doc, emiliano di adozione.

«Non ho mai scisso le due personalità, anzi. Mi accorgo sempre di più che il Mario giù dal palco e il Mario sul palco sono uguali. E mi impegno affinché lo siano.»

La gavetta con migliaia di chilometri in auto, i canti gregoriani in latino che ancora ricorda, quel vocione scoperto grazie ad un mal di gola.

«Intorno ai tredici anni alcune compagne di classe mi telefonavano per sentire la mia voce… In realtà, forse per il mio low profile, ho scoperto tardi le potenzialità: tra l’altro fino ai ventisette non avevo mai considerato di essere un basso, per me – che come mito avevo Michael McDonald – era quasi una sfiga.»

Dappoi gli ascolti di Al Jarreau, il simbolo musicale di un’adolescenza trascorsa a Catania.

«La sua capacità di transitare dal jazz classico al soul, per approdare alfine alla dance ha timbrato il mio modo di essere artista a 360 gradi.»

Un’anima nera – quella del Nostro – con un’attitudine di generosità nei confronti del mondo esterno, e il rischio che inevitabilmente questa comporta.

«Dare ma anche osare. Dall’inglese all’italiano, ho trovato una grande sincronia fra le due parole. Nella vita, ho imparato che dare è un atto di grande curiosità e coraggio. Non sai mai se quello che stai dando è quello che si aspetta di ricevere l’altra persona.»

Un disco che osa, a partire dalla reinterpretazione di uno degli standard più venerati in assoluto. Mettere le mani su Strangers in the night, per “scurirla” alla maniera dell’artista, comporta una grande responsabilità.

«In quest’occasione, forse, abbiamo osato in modo ancora più ardito. Non solo toccando uno standard come Strangers in the night, ma trasportandolo in una dimensione di sound molto lontana dallo swing di Frank Sinatra.»

Ricca è la partecipazione al progetto di vecchi e nuovi amici, con quell’approccio jazz che desta grande curiosità e ritorna prepotente con gli High Five Quintet di Fabrizio Bosso.

«È stato bellissimo riunire gli High Five che non suonavano più insieme ormai dal 2008. La loro accoglienza delle mie proposte musicali, addirittura nella versione madre del quintetto con Julian Oliver Mazzariello, mi ha fatto gioire. Abbiamo registrato i brani quasi completamente live in studio e l’emozione condivisa è indescrivibile.»

Emozionante come il concerto a Taormina con Burt Bacharach. Tappa fondamentale per Mario Biondi, straordinario performer che vanta prestigiosi duetti con musicisti del calibro di Pino Daniele.

«Ogni volta che ti confronti con un artista, comprendi più da vicino il linguaggio che adopera. Per me stare sul palco con Pino Daniele era qualcosa di straordinario. Sentirlo cantare e capire come incastrava la sua voce con l’armonia era un’esperienza incredibile. Un uomo e un artista che avrei dovuto frequentare per una lunga tournée insieme. Invece la vita ce l’ha voluto rendere immortale.»

Una vita che fa capolino sui cinquanta: cifra tonda, significativa, che non può sottrarsi a qualche immancabile bilancio.

«Ho imparato a tenere i piedi ben saldi nel presente, tentando di costruire il futuro. Non ho grossi rimpianti. Sicuramente di sbagli ne ho fatti tanti, ma chi non li ha fatti! Avrei potuto fare meglio un sacco di cose. Probabilmente, ho ancora tempo per rifarle e progettarne di nuove. Sono pronto a rimettermi in gioco, cercando di dare il massimo.»

 

Mezzo secolo per un novello arcangelo Gabriele, come lui stesso ironicamente si definisce strizzando l’occhio al progetto grafico di copertina, con un’idea precisa dell’essere padre.

«I figli? Sono loro che hanno me, è questa la verità. Sono io loro proprietà, al loro completo servizio.»

Il capo di un piccolo mondo chiamato famiglia, che valuta, soppesa, giudica.

«I miei figli sono la mia prima giuria. In genere faccio ascoltare loro le mie canzoni in auto: li guardo, li osservo e aspetto. Poi iniziano a chiedermi, ma questa canzone è nuova? E mi domandano con chi l’ho suonata, dove l’ho registrata… Quando cominciano le domande, significa che ha suscitato interesse.»

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