ASIA GHERGO, DALLE COVER INDIE AL POP FLUO. MA NON CHIAMATELA YOUTUBER!

Capelli biondi, frangetta e viso da bambina. La marchigiana Asia Ghergo si mostra in primo piano imbracciando una chitarra nella sua cameretta dalle pareti rosa colme di poster e disegni variopinti. Chi la segue è abituata a vederla così, su YouTube, dove è diventata nota per le cover acustiche di brani indie-pop italiani.

Chitarra e voce, niente di più, ma un’espressività spiccata e un timbro particolare, scuro, vissuto e leggermente graffiante, in netto contrasto con quell’immagine ingenua.

Su YouTube sei molto seguita per le tue cover acustiche. Nel panorama indie-pop italiano hai coverizzato praticamente tutti. C’è qualche artista a cui ti senti particolarmente legata?

«Calcutta! Ricordo benissimo, quando iniziò a girare erano pochi quelli che lo apprezzavano. Io invece ne rimasi subito folgorata, in particolar modo mi colpirono i suoi testi. Calcutta per me è un artista completo, ha un modo di comunicare unico. Come arriva lui, non arriva nessun’altro.»

Asia, com’è nata l’idea di pubblicare cover su YouTube?

«Nel profondo del mio cuore ho sempre saputo di voler fare la cantante o la musicista, e così mi sono ingegnata utilizzando gli strumenti del nostro tempo. Fin da subito il mio obiettivo è stato quello di crearmi un pubblico. Naturalmente ci speravo, ma non avevo nessuna aspettativa. Poi, invece, è successo davvero!»

Il pubblico ti conosce come “la ragazza delle cover”. Ti senti imprigionata in questa etichetta?

«Più che altro mi infastidisce quando mi definiscono YouTuber. Da una parte è normale, perché artisticamente sono nata su questo canale, però mi piacerebbe che mano a mano il pubblico cominciasse a considerarmi una cantautrice vera e propria, non un fenomeno del web; che mi apprezzasse sempre di più per la mia musica, non per le cover.»

Cosa percepisci di diverso quando suoni un tuo inedito invece che una cover?

«Ormai è già da un po’ di tempo che cerco di mettere da parte le cover per dedicare sempre più spazio alla mia musica originale. In effetti, all’inizio avevo paura che il pubblico smettesse di seguirmi, e invece no, con grande gioia, ho scoperto che i miei fan mi apprezzano e mi supportano a 360 gradi!»

Quali sono le tue influenze musicali? Immagino non ci sia solo l’indie nel tuo background.

«Ascolto molta musica elettronica, di vario genere e provenienza. Ultimamente l’indie lo sto ascoltando poco, anche perché mi pare stia prendendo una piega diversa da ciò che era in origine.»

Com’è cambiato l’indie negli ultimi tempi?

«Ha seguito un processo abbastanza normale, in fin dei conti. A un certo punto questo genere di musica ha iniziato a girare, l’industria discografica se ne è accorta, ha fiutato un potenziale e lo ha incanalato verso dinamiche sempre più commerciali e pop, con lo scopo di far arrivare il genere a più persone possibile. Questo è quello che è successo: l’indie si è snaturato per attrarre un pubblico più grosso. Molti artisti oggi vengono etichettati come “indie” ma non lo sono per niente, perché “indie” vuol dire “indipendente” e in origine indicava un tipo di musica non legata alle major. Escludendo qualche rara eccezione, non c’è più nessun artista che possa definirsi veramente indipendente.»

Dai brani del tuo album “Bambini elettrici” emergono stati d’animo molto diffusi tra i giovani: ansia, inquietudine, sfiducia e paura del futuro. Ti senti una rappresentante della tua generazione?

«Sì, basti pensare che ho scritto quest’album a cavallo tra i 18 e i 20 anni, la fase in cui finisci la scuola e non hai idea di cosa succederà dopo. Sei preso da mille ansie e paure nei confronti del futuro, del lavoro, dello studio. Io mi sentivo proprio così e credo si tratti di una condizione condivisa da tantissimi miei coetanei. È un periodo di inquietudine, e il disco lo riflette.»

Sei molto giovane. La popolarità sta cambiando la tua vita rispetto ai tuoi coetanei?

«Direi proprio di no. Certo, quando inizi ad avere molti follower e vedi che sui social si parla di te è normale esaltarsi. Tuttavia mi considero una ragazza assolutamente normale e alla pari dei miei coetanei.»

Il tuo target di riferimento è quello degli adolescenti e dei giovani under 30. Pensi che la musica di Asia Ghergo possa essere apprezzata anche da un pubblico più adulto?

«Il titolo del disco, “Bambini elettrici”, può essere fuorviante e far pensare che sia rivolto esclusivamente ai più giovani. In realtà penso che tutti possano rispecchiarsi nei miei testi e farsi coinvolgere dalla mia musica.»

Nei tuoi video c’è una grande varietà di atmosfere. Ti senti più retrò come in Guardami ballare o più fluo come in Giovani fluo?

«A me piace variare e sperimentare. Al momento non credo di potermi ritenere un’artista completa e sono ancora alla ricerca di uno stile che mi renda inconfondibile. Personalmente preferisco gli ultimi video, Guardami ballare e Angeli, perché rappresentano un’evoluzione stilistica rispetto ai primi.»

Si sente ancora l’eco del 70esimo Festival di Sanremo. Ti piacerebbe essere su quel palco un giorno?

«Io penso che il Festival di Sanremo, così come i talent, sia soprattutto un evento di spettacolo, un prodotto pensato per un pubblico televisivo. Certo, è importante per un artista, perché gli dà tanta visibilità, ma per ora non lo vedo sul mio percorso. Magari più in là, quando avrò fatto più strada e più gavetta.»


Come tutti i millennials, Asia Ghergo cavalca il web a una velocità supersonica e non si lascia sfuggire nessuna tendenza. Riguardo alla sua carriera da cantautrice, l’impressione è quella di trovarci davanti a un fiore non ancora sbocciato, ed è lei stessa in un suo testo a descriversi così: “Un giorno crescerò, sono solo un fiore, mi serve tempo”. E noi, senza fretta, aspettiamo.

 

Federica Lauda

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