“NESSUNA PAURA DI VIVERE”. ARTE E UMANITÀ DI LADY MIRÒ

andrea-miro-01_musicaintornoAvremmo potuto conversare per delle ore di arte e umanità, io e Roberta Mogliotti, se non fosse stato per i ruoli imposti dalle circostanze.

E sì, perché l’occasione non era una mostra, quanto piuttosto un disco, l’ultimo nato in casa Mirò:

“Nessuna paura di vivere”, ovvero “storie, microfilm, piccoli quadri che raccontano qualcosa di noi… Parlarne è un modo per esorcizzare le paure, come fanno i bambini con i mostri”.

«La storia insegna molto sulla paura» continuando la cantautrice, musicista e compositrice originaria di Rocchetta Tanaro (AT) «ed è – il nostro – un periodo storico particolarmente carico di turbamenti.» Andrea Mirò si racconta, senza orpelli; “nuda e cruda” come le piace definire i propri suoni, ma carica di energia e contenuti.

Le date dei live sono quelle con i Perturbazione; Lady Mirò apre in solitaria, poi suona col gruppo per tutta la durata del concerto e, nella parte centrale, presenta alcuni nuovi brani accompagnata dalla band piemontese: 9 luglio a Torino, 17 luglio a Massarella Fucecchio (FI), 24 luglio a Marina di Carrara, 29 luglio a San Lazzaro di Savena (BO), 13 agosto a Torricella (TA), 3 settembre a Ravenna.

Propone “Nessuna paura di vivere”, dodici canzoni come piccole perle tutte da scoprire. E, a proposito di doni inaspettati:

andrea-miro-06_musicaintorno«Nella vita sono troppe» rispondendo, la musicista prestata al teatro, a una mia sollecitazione in tema di sorprese, nel privato e nella professione. «Rispetto a questo disco, la sorpresa più gradita è stata la collaborazione di Brian Ritchie, che ha accettato di suonare il basso in “Titoli di coda”.»

Forse vi starete chiedendo… quanto alla nostra conversazione in sospeso? Be’… “l’arte è il nutrimento della nostra vita, e si avvale di ogni tipo di espressione e direzione”. Il percorso è quello tracciato da Andrea Mirò.

 

“Nessuna paura di vivere”. Perché mai avremmo dovuto provare quel sentimento?

«La storia insegna molto sulla paura ed è – il nostro – un periodo storico particolarmente carico di turbamenti. Paure non più legate soltanto agli eventi e ai disastri, ma anche quelle micro paure da ricondurre a una società oltremodo esigente: ci chiede di diventare qualcosa che spesso non riusciamo ad essere, e quindi l’ansia e la paura divengono compagne di viaggio di molti di noi, mi ci metto dentro anch’io. Si tratta anche di piccole paure, fosse soltanto quella di guardarsi allo specchio la mattina e dire: “Sarò presentabile? Sono abbastanza carina? Be’, forse si aspettano che sia un po’ più simpatica…”. La performance oggi è tutto! E questo ti impedisce di vivere bene la vita. Poi, attraverso le canzoni, queste in particolare, si parla di storie – quelle che io definisco microfilm -, piccoli quadri che raccontano qualcosa di noi, di me. Parlarne è un modo per esorcizzare le paure, come fanno i bambini con i mostri.»

andrea-miro-03_musicaintornoA proposito di mostri, qual è l’incertezza che più ti spaventa?

«Quella legata al futuro. La precarietà di tutto, a cominciare dal clima, dalle condizioni politiche, sociali, lavorative. Non è proprio il primo pensiero, quando ti alzi la mattina –

per carità di Dio, ho due figli – ma di certo è un pensiero costante, non fosse altro perché ho due figli, la preoccupazione per quelli che verranno: che cosa riusciremo a lasciare loro, di positivo ovviamente. Il più positivo possibile.»

Tornando all’album, soluzioni melodiche non scontate; parole desuete e musicali, dolorose e poco rassicuranti. Un disco da proporre anche ai “deboli di cuore”?

«Sicuramente ai deboli di cuore, e io mi ci metto dentro. Attraverso il pezzo stesso e il contenuto tutto del disco, volevo raccontare di quelle persone che vogliono buttare il cuore oltre l’ostacolo, che non hanno paura di emozionarsi e di essere sé stesse fino in fondo. Sono quelli i “deboli di cuore” a cui mi riferisco, anche se questo non segue le linee standard e stereotipate dei ruoli-tipo che ti impongono gli altri, di certi modi di pensare in cui spesso, se esci dal coro, vieni additato. E oggi – non dimentichiamolo – esistono i social, per cui, se metti un piede in fallo, ti viene la paura che possa essere visto e rivisto, postato, ritwittato… rimbalzando nel ciberspazio migliaia di volte. Ecco, si dovrebbe uscire da questi canoni imposti e lasciare che le cose siano. Punto. Dopodiché, se sbagli, ti prendi la tua bella responsabilità e ti metti lo zaino sulle spalle. Dico semplicemente che la paura (non il panico!) come limite è veramente qualcosa che ti blocca, mentre intesa come sprone certamente ti può migliorare.»

Prima si faceva riferimento alla performance… Concerti dagli accenti forti, alta tensione musicale, live intimi, una voce che si fa strumento, tematiche accese e sempre attuali. Il biglietto da visita di Andrea Mirò?

«Lo spero, mi piace questa definizione! Nei live preferisco essere nuda e cruda dal punto di vista dei suoni, ma allo stesso tempo molto forte. Non sono un’amante dello spettacolo a tutti i costi, fatto di esplosioni pirotecniche; gli effetti speciali possono essere un di più, laddove ci sia un buon contenuto. Il suono è indubbiamente un bel vestito attorno a qualcosa che ha già una propria forza. Ed è quello che, una volta sul palco, mi auguro di trasmettere alla gente che mi ascolta.»

Una lunga e intensa carriera, declinata nella musica, nel teatro de “La Belle Equipe” e nei panni della Maddalena in Jesus Christ Superstar, nel cinema di Silvio Soldini e de “Le acrobate”… Cos’è per te la vera arte? Come riconoscerla?

«Sono una musicista prestata alla recitazione – ne parlavo con Lucia Vasini, che è stata una mia compagnia di viaggio nello spettacolo teatrale “Talkin’ Guccini” – e, alla mia domanda sul tipo di approccio da avere con quell’arte (per la quale non ho affrontato studi specifici), mi rispondeva che si tratta di talento. Ce l’hai dentro il talento della recitazione – mi diceva – ed è giusto che tu lo possa utilizzare per dare agli altri una sfumatura, che magari non conoscono di te. Un’artista è un’artista in tutto! I talenti sono multiforme e l’arte è il nutrimento della nostra vita, e si avvale di ogni tipo di espressione e direzione. Una vita senz’arte non ha nessun motivo di interesse e soprattutto non è qualcosa che possa crescere. Sei un barattolo vuoto.»

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Una musica – la tua – che fa rima con conoscenza e competenza, grazie alle quali hai più volte diretto l’orchestra del Festival di Sanremo. Com’è cimentarsi in un compito che al 90% è riservato esclusivamente al popolo maschile?

«È quello che succede sempre quando una donna si mette a fare qualcosa per cui è il capo della situazione» sorridendo Lady Mirò. «Il “capo” tra virgolette, nel senso che hai bisogno anche degli altri, ma sei tu che dirigi. C’è ancora molta strada da fare, per comprendere che l’essere umano è “essere umano” e non è diviso in categorie, e non ci sono razze e specie che valgono meno… Fortunatamente la mia famiglia mi ha sempre insegnato a vedere gli altri come persone, e non a categorizzare. Ho due sorelle e tutt’e tre siamo abituate a pensare che le donne – in primis come modello nostra madre – possano fare quello che vogliono. Siamo sempre state accompagnate a esprimerci come volevamo, non c’era nulla che non avremmo potuto fare: si trattava semplicemente di scegliere cosa. Questo mi ha messo nella condizione di immaginare il mio lavoro come un prolungamento del mio modo di essere. Tuttavia, capita ancora di ritrovarsi di fronte qualcuno che è prevenuto. Ma, se le tue competenze sono davvero tali, ci vuole poco a far cadere lì ogni remora. E una donna, quand’è brava, non ha differenze di prestazione rispetto a un uomo.»

Detto tra noi, cosa fa più paura di quel palco, dirigere o affrontare la gara dei cantanti?

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«Affrontare la gara dei cantanti!» senza esitazione. «Quando dirigo non sono l’oggetto dell’attenzione, in quel momento. Sì, è vero che sono un’artista e – in quel ruolo specifico – divento un direttore anomalo, perché anche quella è una performance, un live a tutti gli effetti;

tuttavia – in quel momento – sono al fianco dell’artista che si sta esponendo e non sono io a espormi direttamente. E poi – detto tra noi – non ti capita tutti i giorni di avere a disposizione un’intera orchestra da dirigere.»

“Potevi dirmi che avevi un alfabeto nascosto/e nel linguaggio segreto dei sogni io sarei stato il tuo pasto”. Ne dovremmo dedurre che non ti piacciono le “Sorprese”?

«No, no, mi piacciono molto le sorprese! Lì – nella canzone – si tratta semplicemente di una donna che fa il punto sulla propria situazione sentimentale e realizza che per lei le sorprese sono finite. Tutto ormai è andato perduto, perché non ci si è più confrontati, magari non si è stati sinceri fin in fondo e non si è giocato abbastanza. All’interno di un rapporto, la continuità è data, oltre che dalla quotidianità, anche da quei momenti in cui ti ricordi di chi ti sta accanto, esci dal solito linguaggio e utilizzi qualcosa d’altro che possa stupire.»

 

 

Gino Morabito

 

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