VIOLA NOCENZI. ESSERCI AL DI LÀ DELL’ESSERE, ED È PURA BELLEZZA

Alla fine mi ha proposto “Sogno di sole, tra un’immagine di granita con panna e profondità”. Sorridendo le rispondo che sarebbe stato un nome troppo lungo per la nostra chiacchierata.

Un argomentare appassionato e intrigante, quello di Viola Nocenzi, artista non convenzionale, grazie alla quale ho avuto l’opportunità di confrontarmi sulla musica che è bellezza, strizzando l’occhio a Pasolini e citando Nietzsche. Una donna fortemente dicotomica, a cui piace l’utilizzo di metafore “carnali”, materiche, perché ha dentro di sé l’ambivalenza tra nuvole e terra. Una donna che vive la musica come essenza, come identificazione esistenziale, come la sua stessa natura.

Francesco Di Giacomo diceva che “il rock è pieno di rock star, ma c’è un solo Banco del Mutuo Soccorso”. E lo stesso pensiero rivolgo a Viola, declinandolo nel percorso umano e professionale di una virtuosa del pianoforte, laureata in filosofia del linguaggio, con una passione sfrenata per il cinema d’essai e lo shopping. A questo punto bisognerebbe trovare un titolo per l’intervista, e allora prendo spunto dalla piccola confidenza circa un brano che farà parte del prossimo lavoro discografico e da quella coerenza tra pubblico e privato di Viola, senza dover rincorrere necessariamente gli slogan finti dell’apparire. Le dedico: “Viola Nocenzi. Esserci al di là dell’essere, ed è pura bellezza”.

Sei un’artista istintiva, di quelle che cerca di “sputare l’anima” per farle prendere forma sui tasti del pianoforte. Quali sono le ultime creazioni di Viola Nocenzi?

«Ti faccio una piccola anticipazione in esclusiva: ho composto un album che uscirà entro la fine dell’anno. Sono particolarmente emozionata, c’è una squadra importante che ha lavorato per oltre tre anni dietro questo progetto, e finalmente ci siamo! Poi parleranno i miei brani per me, e non vedo l’ora di farveli ascoltare.»

Un brano del tuo nuovo progetto discografico si chiama “Bellezza”, il fondamento spirituale di ciò che credi. Come applichi l’estetica del bello al tuo essere donna e musicista?

«Per me la bellezza è più che altro contenuto, non estetica. Bellezza è meraviglia, stupore; quella capacità di essere sempre bambini, partendo – come diceva Socrate – dal presupposto che sapere di non sapere è la prima forma di sapere. All’interno di una società dove sembra che chi fa più rumore, chi urla più slogan, sia protagonista, per me la bellezza diventa la capacità di notare quei piccoli dettagli di cui non ti accorgeresti, assuefatto dallo stridore di così tante informazioni. Il brano “Bellezza” è un po’ il ritratto di come sono io adesso come persona, come donna, con tutto il percorso che mi lascio alle spalle e con quello che spero di potere intraprendere. È una canzone basata proprio su questo concetto, con un passaggio emblematico che recita: “la curva dei pensieri suda in silenzio parole nuove, dove la banalità delle false promesse non c’è”.»

Nell’era dei social, quanto conta l’immagine per una donna che ha l’obiettivo di esprimere sé stessa attraverso il proprio talento?

«Credo fermamente nella coesione tra significante e significato: pertanto la bellezza – almeno come la propongo io – o la non bellezza, è il tentativo di far coincidere il contenuto con il contenitore. Tante volte rimango davvero stupita dal numero delle tantissime persone che mi seguono, ma non mi sono mai posta l’obiettivo di voler sembrare in un certo modo per far arrivare un mio ipotetico talento. In realtà, io mi sento in coincidenza con il mio ipotetico talento: lo sguardo che ho, il modo di truccarmi quel giorno… sono sempre polivalenti e cangianti, in coincidenza con tutto quello che sono. Il talento è in primo luogo umano, dell’essere; poi è propagazione tramite la musica, l’arte, la dialettica, il linguaggio…»

Come vivi il rapporto con i tuoi fans?

«Sono molto onorata del riscontro che sto avendo, sia per tutte le persone che seguono il prog e che quindi mi rispettano da sempre come figlia di Vittorio Nocenzi, sia per tutte le nuove centinaia di migliaia che mi apprezzano come Viola: non do mai per scontato il fatto che sotto una foto con una semplice dedica ci siano migliaia di persone che si prendono la briga di scrivere. Sono molto onorata anche della qualità delle persone, perché molto spesso, tramite i social, scatta quel meccanismo fin troppo comodo di nascondersi dietro una tastiera. Nel mio caso, fortunatamente, sono tutti molto rispettosi, carini; probabilmente perché percepiscono la genuinità del mio intento.»

Osservando le immagini che ti ritraggono, qualcuno potrebbe ipotizzare che tu abbia a che fare con il mondo patinato del glamour e delle modelle…

«Ci sono state alcune collaborazioni, ma in termini squisitamente amichevoli. La verità è che sono fotogenica,» sorridendo Viola «credo che sia l’unica verità. Nel caso dei social, si tratta di canali che si muovono per lo più tramite la foto e un pensiero. Dev’essere tutto molto veloce. Non ho tanto l’opportunità, come in questo confronto, di poter chiarire meglio i concetti contenuti, far arrivare approfonditamente parti di me, se non attraverso pillole.»

La musica è femmina, Viola?

«La musica è tutto, poiché figurazione dell’invisibile. Questo lo diceva Leonardo. È la potenzialità di ogni cosa. Ovviamente, quando tu mi parli di forza, volontà, passione – dal mio punto di vista di femmina – sono degli aspetti che vedo molto anche negli uomini: l’uomo è una figura sociale che, in questo momento storico, dovrebbe essere rivalutata. Non ne faccio un discorso maschilista. Semplicemente la donna ha un grande potere, ma ce l’ha anche l’uomo. Per me la musica è entrambi i sessi, e l’universo intero.»

Nello speciale rapporto “intimo” tra te e la tua musica, qual è la maggiore gratificazione personale?

«Per me è lo “streben” di cui parlavano gli idealisti tedeschi, anticipando Hegel: cioè, il “tendere verso”, che nel mio caso rappresenta anche l’idea di Dio e della divinità. Nella mia scrittura non è tanto importante il risultato, ma il percorso. Pertanto la gratificazione profonda è la possibilità di accedere a questo percorso, che è un po’ magico: mi siedo al pianoforte da sempre, da quando avevo quattro anni, e scrivo. Scrivo note.»

Ti reputi una donna felice?

«Sono una donna che percorre con grande coraggio la strada verso il sole; la felicità è la chimera che cerchi di raggiungere. Penso di essere una persona fortemente dicotomica, mi verrebbe da citarti Anna Magnani: risate argentine e lacrime furenti. Sono completamente avvolta da emozioni forti e la felicità l’ho sicuramente toccata, così come il dolore.»

Entrando più nel privato, qual è il tuo rapporto con gli uomini e con l’amore?

«È un rapporto speciale e particolare. Ho dei valori radicati, miei, che non appartengono a una morale religiosa in particolare. Sono fortemente selettiva e al contempo anche molto espansiva; riesco a fare amicizia con tutti, ma poi nella vita privata gli amici si contano sulla punta delle dita. Gli amori sono pochissimi. Non mi apro facilmente alle relazioni. L’amore è una sfera quasi sacra per me: nel momento in cui decido di avere a che fare profondamente con un uomo, è qualcosa che è già importante in termini di consapevolezza. Sono scelte che non faccio mai in modo banale. Mai!»

Quali caratteristiche deve avere un uomo per conquistarti?

«Sono molto stimolata tutti i giorni da migliaia di messaggi. Ma, come spesso accade, il tutto è niente: me ne arrivano così tanti, che poi, in realtà, non mi sento lusingata o nella possibilità di prendere in considerazione proposte. Forse scelgo io, scelgo io in base a un mio sentire. Ma è molto raro che mi piaccia qualcuno. Scatta qualcosa, a volte dopo anni; scatta qualcosa in qualcuno e non so neanch’io perché. E magari questo qualcuno non è che faccia delle cose particolari. Semplicemente sono io che lo scelgo.»

Che bambina sei stata da piccola?

«Se ripenso a me bambina, rivedo il pianoforte, la musica, il mio simulare il palcoscenico. Avevo tanta fantasia ed ero eterea. Mi piaceva stare sola, dentro il mio mondo, e suonare. Poi, col tempo, ho imparato ad apprezzare la relazione con gli altri bambini, ma anche in quel caso ero abbastanza selettiva. Ho vissuto in una condizione familiare molto stimolante, che è un po’ il perno della mia esistenza: musicisti, musica, composizione, pianoforti che suonano… Tutto questo era per me fondamentale, e mi ha condizionato nella vita.»

Come vive Viola Nocenzi il suo essere figlia d’arte?

«Sono fiera e orgogliosa del cognome che porto. Soprattutto perché questo cognome rappresenta ideali, capacità, genialità che sicuramente mio padre possiede. Ideali che poi sono stati forti esempi anche della mia moralità. Tutti i miei credo nascono da questo. Ho una grande stima nei confronti di mio padre Vittorio, sia come padre, sia come uomo e come artista.»

Quali sono i primi ricordi che ti legano a tuo padre?

«Ancora neanche camminavo. Ricordo vividamente che lui, tornato da un concerto, mi tamburellava un ritmo e io ballavo dal seggiolone. Poi ho altri flashback di mio padre in televisione, e mi sembrava così folle che lui stesse lì dentro, e volevo toccare il televisore, per capire se riuscissi a toccare anche mio papà. Questi sono i primi ricordi. Poi un altro: avevo quattro anni e mezzo e volevo essere come lui, non tanto perché fosse famoso, ma proprio perché la sua musica mi emozionava. Io provavo con le mie manine ad andare sul pianoforte. Già avevo cominciato a prendere lezioni, ma avevo quattro anni… Una volta all’asilo, mi diedero il compito di fare una letterina per i miei genitori e io scrissi una canzone al pianoforte. Come tutti i bambini a quell’età, avevo una visione magica della realtà e pensavo che anche all’asilo ci fosse un pianoforte, ma non c’era. Ricordo di una bella sgridata da parte della suora. Tornata a casa, mia madre mi prese da una parte, chiedendomi come mai non avessi fatto la letterina e io piangendo le risposi che avevo scritto una canzone, perché volevo far loro una sorpresa. Incredula, mi portò davanti al pianoforte… e la canzone c’era davvero, con tanto di parole. E io quella canzone la suono ancora adesso.»

Da tuo padre Vittorio hai ricevuto un’eredità musicale invidiabile. Tu, invece, già stimata insegnante di canto, cosa vorresti riuscire a trasmettere alle nuove generazioni?

«Ultimamente mi sto ispirando molto a Pier Paolo Pasolini e ai suoi “Scritti corsari”, che è uno dei miei libri di riferimento. Nel mio piccolo, vorrei riuscire a far arrivare un concetto semplice, ma che sembra difficile da mettere in pratica: cioè, che si può essere sé stessi nel migliorarsi. Non importa che tu sia Janis Joplin o una casalinga che canta mentre riordina l’armadio; ciò che conta davvero è ricercare l’autenticità della propria natura e riuscire a “sputarla fuori”. Vorrei far capire che si può essere sé stessi nel dolore, nella felicità, nel piacere; nell’essere piccoli o nell’essere grandi; nell’essere geni o nell’essere persone qualunque… ma in assoluta coerenza, senza dover per forza rincorrere slogan finti dell’apparire che non servono a niente. Esserci al di là dell’essere.»

Una donna, che ha sempre scelto le note come prolungamento dei propri pensieri, quale musica suonerebbe per esprimere la sensazione che si prova oggi a stare al mondo?

«Ti potrò sembrare egocentrica, ma adesso sono nel pieno del mio disco: quindi, tiro in ballo nuovamente la canzone “Bellezza”, nella quale esprimo tutto quello che provo nello stare al mondo. Poi, per darti anche un’altra risposta: sicuramente tutti i brani di “Transiberiana”, l’ultimo disco del Banco del Mutuo Soccorso, che trovo essere un capolavoro. Un brano dietro l’altro in un viaggio incredibile, come metafora dell’essere al mondo oggi.»

Ancora una curiosità: a parte la musica e il canto, quali sono le altre grandi passioni della tua vita?

«La filosofia è sicuramente la mia grandissima passione e l’ho scoperta da ragazzina. A tredici-quattordici anni mi capitò tra le mani “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, cominciai a leggerlo per curiosità, ma lo capivo. Lo capivo in modo davvero semplice. Così mi resi conto che i trattati filosofici, quelli integrali, per me erano facili da comprendere. Da lì ho cominciato a leggere tantissimo, soprattutto da Hegel in poi, fino ad arrivare alla linguistica di oggi, che è poi il mio tema di laurea in filosofia del linguaggio. Un’altra grande passione è il cinema, da sempre. Mi piace moltissimo quello d’essai, ma purtroppo non trovo mai gli amici disposti a venire con me per vedere queste famose rassegne fatte il giovedì pomeriggio nelle piccole sale di una volta. Mi piace anche il cinema giapponese, quello coreano, grazie anche a mio papà che, già quand’ero piccola, mi faceva vedere Kurosawa; mi piace il cinema russo, quello indiano… in genere l’Oriente mi affascina molto. Mi piace anche quello francese, e ovviamente il nostro grande cinema italiano del neorealismo.»

Immagino anche qualche passione decisamente più femminile…

«Poi c’è lo shopping – lo confesso -, sono proprio un’esperta! È rimasta nella storia la mia incredibile faccia tosta in un grande centro commerciale di Roma. C’erano i saldi, ed era guerra aperta per accaparrarsi gli affari migliori. Entrata in questo negozio, sapevo già cosa fare. Ero con una mia carissima amica e mi muovevo in modo agilissimo; lei mi guardava scioccata. Fino alla soglia ero immersa nel mio mondo, poi la trasformazione: tutt’a un tratto ero la regina indiscussa del negozio. Una commessa si avvicina per chiedermi se avessi bisogno di aiuto e, guardandola dritto negli occhi: “Signora, io sono esperta di shopping!”. Questa frase, puntualmente, mi viene ormai rinfacciata da anni.»

Volendo suggerirmi un titolo per questa nostra chiacchierata, quale potrebbe essere?

«Sogno di sole, tra un’immagine di granita con panna e profondità.»

 

Gino Morabito

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