TUTTI I VOLTI DI FRANCESCO PANNOFINO

Di Gino Morabito

Il primo ruolo importante arriva a quasi cinquant’anni. L’idea che si potesse far bene, sia il doppiatore, sia l’attore, non era ancora contemplata. È l’italiano dalle origini straniere, almeno sul grande schermo, mentre presta la sua voce ai divi di Hollywood. Quello di Francesco Pannofino è un marchio di fabbrica, riconoscibile. Che abbia il volto di George Clooney o Denzel Washington, tocca le corde dell’emozione e ci fa ridere, commuovere, indignare.

Un talento versatile, declinato in progetti audaci che spaziano dalla recitazione alla narrazione di eventi, dai documentari tivù ai programmi d’intrattenimento. Alla continua ricerca di nuove sfide umane e artistiche, non possiamo non amarlo. Soprattutto quando, con quell’espressione tipica del regista René Ferretti, per fare in fretta, invitava gli attori a fare le scene “alla cazzo di cane”.

L’emozione di tornare sul set di Boris e rivedere i colleghi dopo oltre dieci anni dalle riprese del film.

«Ce lo siamo detti tutti: il primo giorno di riprese abbiamo ricominciato come se non fossero passati gli anni. Come se ci fossimo salutati la sera prima. C’era la stessa atmosfera, lo stesso caos creativo che c’era nelle altre stagioni. Non c’è stato alcun tipo di imbarazzo da parte di nessuno, è stato incredibile e magico.»

Un cult della tivù e un sequel pieno di insidie. Ma ora la quarta stagione è qui, brillante e scorretta come le altre che l’hanno preceduta. E prende di mira le piattaforme streaming.

«Boris racconta con umorismo il nostro Paese attraverso una banda di matti. Gli autori sono stati bravi anche nello scegliere il cast. Sapevamo di lavorare in qualcosa di forte, ma all’inizio non mi aspettavo un tale successo.»

Faceva l’attore anche prima della serie, poi nel 2007 è arrivato il consenso del grande pubblico.

«Meglio tardi che mai! Molti miei colleghi doppiatori, bravissimi, che sarebbero bravissimi anche come attori, non ci pensano proprio a uscire dalla stanza del doppiaggio.»

Quello del doppiatore è un mestiere complesso, bisogna avere un’attitudine particolare. È necessario il talento che ogni attore deve avere, ma anche una forte capacità di vivere ed interpretare le emozioni.

«Accanto a questo il doppiaggio ha una componente tecnica importante, spesso ignorata, che è costituita dalla gestione del lip sync e l’impostazione della voce. Si tratta di un’arte a cavallo tra il teatro, il canto, la fonoacustica. Molti tecnicismi si devono imparare sul campo. Non esiste una scuola che possa formarti in maniera definitiva, è sempre come se fosse un lungo tirocinio.»

Un’infanzia trascorsa a Pieve di Teco in provincia di Imperia ma naturalizzato romano. Irrimediabilmente affascinato dalla grande bellezza.

«Sto a Roma dal ‘72. Non avevo nemmeno compiuto quattordici anni, quando sono arrivato nella Capitale. Un periodo difficile, la preadolescenza. E poi Roma, anche se ti accoglie bene, perché quando arrivi ti abbraccia, è difficile, complicata. Per un ragazzino come me, con quelle distanze… erano tempi duri.»

Mentre aspetta l’autobus sotto casa per recarsi all’università a sostenere un esame, è coinvolto nella sparatoria di via Fani, l’agguato nel quale viene rapito Aldo Moro e assassinati i cinque uomini della sua scorta. È il 16 marzo 1978.

«Sicuramente è stato uno dei momenti più difficili della mia vita. Ho sentito il suono degli spari del mitra e sono prontamente scappato dalla parte opposta. Non sono stato testimone oculare, non ho visto nessuno! Avevo solo una gran paura. Ho reagito d’istinto e sono fuggito via.»

Non è stato facile dimenticare la fotografia cruenta di quel momento. Dopo anni, scrive un brano intitolato Sequestro di Stato, scelto come colonna sonora del film Patria del regista Felice Farina.

«La musica è una terapia, un linguaggio che può far affiorare aspetti di sé stessi che solitamente sono nascosti. Sono molto fiero di aver composto quel brano e, ogni volta che l’ascolto, è come se fosse la prima.»

Tra musica, monologhi, recitazione, Francesco Pannofino mette in mostra tutte le passioni e la versatilità che lo hanno reso uno stimato professionista dello spettacolo a 360 gradi.

«Non bisogna mai prendersi troppo sul serio. È necessario piuttosto cercare, con leggerezza, il partecipato consenso di chi crede che il bicchiere sia sempre mezzo pieno (o fa in modo che lo diventi).»

Figlio di genitori baresi originari di Locorotondo, un percorso cominciato con l’incoscienza dei vent’anni.

«Se avessi saputo allora tutta la trafila che mi aspettava, non lo so se l’avrei fatto. Ma a vent’anni è giusto avere una certa dose di incoscienza e provarci. Quando si è giovani, anche se una cosa non dovesse andar bene, c’è sempre la possibilità di un piano B.»

Da chierichetto intento a leggere gli atti degli apostoli e al militare a fare lo speaker al carosello di piazza di Siena. Chi l’avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe riuscito a vivere di parole!?

«Lo speravo! A quell’età desideri che il lavoro non ti abbandoni mai, e comunque ero a mio agio a prendere un copione e cercare di far vivere il personaggio che mi assegnavano. È un mestiere che mi è sempre piaciuto. Si continua un po’ a giocare, anche se poi diventa un lavoro faticoso.»

Un po’ di fortuna, la costanza, quel coraggio di cogliere le opportunità e… tanta bravura.

«Sì, ma se lo dico in giro, mi portano in una clinica psichiatrica. Se sono bravo, lo lascio dire agli altri. Io mi impegno, cercando sempre di dare il massimo.»

Denzel Washington, George Clooney, Kurt Russell, Jean-Claude Van Damme, Antonio Banderas, Daniel Day-Lewis, Wesley Snipes, Philip Seymour Hoffman… i volti dei divi di Hollywood accomunati dalle diverse sfumature della stessa inconfondibile voce.

«Cerco di fare in italiano quello che loro hanno fatto in inglese; cerco soprattutto di trasmettere le stesse emozioni. Solo così il pubblico non avvertirà che il film è stato doppiato. E, se questo accade, il trucco è ben riuscito.»

Con alcuni di quei personaggi si è instaurato un legame parentale, diventando praticamente congiunti.

«Con Denzel e George si può quasi dire che siamo cresciuti insieme. Per me è come se fossero degli amici o dei parenti stretti, dei cugini. Ci sono venuti i capelli bianchi a tutti e tre, anche se in verità io sono quello che regge di più. George ha ceduto prima (ride).»

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