SIMONA MOLINARI, FEMME FATALE CON L’ANIMA DA CANTAUTRICE

Di Gino Morabito

Décolleté e gambe in bella vista, mentre si abbandona allo swing della seduzione dentro abiti minimal nelle misure. Del suo doppio non fa segreto, Simona Molinari. Acqua e sapone nella vita privata, ma quando entra in scena la musica cambia. Con una voce sofisticata e degli outfit incredibilmente seducenti, si trasforma in una vera diva che sprigiona classe, eleganza, femminilità. Sul palco interpreta il ruolo della femme fatale con l’anima da cantautrice, che dà corpo alle proprie emozioni e risulta credibile.

Un’artista libera, Simona Molinari, che, dentro tutto il rumore del mondo, è capace di conquistarti, ancora e ancora, con la bellezza di una musica che si nutre dei suoi pensieri ribelli.

C’eravamo lasciati sul set del film C’è tempo di Walter Veltroni, che ti ha visto all’esordio nel ruolo di attrice. Com’è cambiato il tuo rapporto con il tempo? Come lo vivi oggi?

«Il tempo è un tutt’uno con noi stessi, il modo in cui cerchiamo di impiegarlo è quello che siamo: lì dove investiamo bene il nostro tempo, rendiamo importante quella parte di noi. È un aspetto a cui sono molto legata. Soprattutto c’è un tempo per ascoltarsi, conoscersi, leggersi dentro, che non dev’essere oltraggiato né messo da parte. Perché è proprio nei momenti di fragilità, come quello che stiamo vivendo, in cui ci si rende conto di come tutto il tempo usato per bisogni materiali, che non sono dell’anima, prima o poi ci si ritorce contro.»

Riuscendo a fare silenzio, imparando a conoscersi, si riesce anche a scorgere il lato migliore di sé. Il tuo qual è, Simona?

«Credo la capacità di sopravvivenza, di adattabilità alle nuove situazioni che si vengono a creare all’improvviso. In questo mi sento molto napoletana… con quello spirito tutto nostro, che potremmo sintetizzare con l’espressione “dove mi metti sto”. È un’attitudine che mi ha aiutato molto anche nel mio lavoro, facendomi “fare casa” in ogni dove, stando bene con me stessa.»

 

Nel tempo, sei diventata mamma di Anita, 5 anni. Per tua figlia sei il primo modello: ti osserva, ti studia, ti reclama. Qual è il futuro che le auguri?

«Vorrei riuscire a trasmetterle la libertà di pensiero, con la capacità di staccarsi dalle mode del momento e concentrarsi su chi è. Le auguro anche la serenità e quella certa adattabilità alle situazioni, che le consentirà di viverle nel migliore dei modi, anche quando non saranno propriamente comode.»

Caratterialmente cosa vi accomuna?

«Anita è una ribelle, una ribelle in tutto! Non so se anch’io alla sua età fossi ribelle come lei e poi crescendo sono stata via via addomesticata. Quello che so per certo, però, è di avere trattenuto almeno una parte di ribellione nel pensiero e nella musica.»

Da piccola ti annoiavi, e in quella noia creavi personaggi, parole, musiche, costruivi sogni. Qual è il più bello che hai accarezzato?

«Il sogno era quello di suonare su dei palchi importanti; palchi che, quando ci pensavo da ragazzina, mi sembravano inarrivabili. Alludo a Sanremo ovviamente, ma anche ad Umbria Jazz, San Siro… Ho vissuto delle esperienze che, se me l’avessero detto prima, non ci avrei mai creduto.»

Cos’è che ti piacerebbe poter dire a quella bimba che eri nell’infanzia?

«Le direi di non smettere di sognare, a dispetto di tutto e tutti. Dai sogni nascono i progetti e i progetti alimentano l’amore e la passione che li nutrono. E ti rendono viva.»

Facendo ancora una piccola incursione nel privato, so che sei golosa degli struffoli preparati da tua mamma. A parte quella ghiottoneria della tradizione campana, qual è un vizio del quale non potresti proprio fare a meno?

«Sicuramente del caffè. È un rito, un momento di cui godi mentre lo prepari, lo annusi, lo assapori; lo gusti con le labbra e con gli occhi. È una piccola liturgia del benessere da celebrare ogni giorno.»

Nell’esperienza di ognuno certe cose cambiano, si evolvono. Cambia anche lo stile di vita. Stare a casa, confinati nelle quattro mura domestiche, inevitabilmente ti fa fare i conti con il concetto di libertà. Simona, ti senti un’artista libera?

«Sono decisamente un’artista libera, per la quale la libertà è da intendersi come libertà dal giudizio degli altri, dal pregiudizio nei confronti di sé stessi. È la possibilità di liberarsi dalla paura.»

Qual è la tua paura più grande?

«Fino a qualche anno fa ti avrei risposto senz’altro quella di sbagliare ma, da quando sono madre, la paura più grande è che mia figlia non riesca ad essere libera e serena.»

Sul palco Simona Molinari è una femme fatale seducente. Quanto conta la tua formazione attoriale nelle performance dal vivo?

«È stata fondamentale! Aver fatto teatro prima di Sanremo, prima di tutto, mi ha messo in condizione di riuscire a immedesimarmi nel ruolo, risultando credibile. È come se sul palco indossassi la maschera della performer, liberando una parte di me che viene fuori in quel momento, dando corpo, voce, anima, alle emozioni che sto provando.»

Nel 2010 pubblicavi “Tutto il rumore del mondo”, canzone che negli anni hai rivisitato più volte. Oggi che rumore fa il mondo?

«Un caos assordante, creato apposta per uccidere il silenzio. Perché, nel silenzio, gli uomini e le donne pensano, si interrogano, comprendono. E una persona che pensa con la propria testa non si omologa, non segue il gregge, è scomoda.»

A proposito di cose scomode, mi piacerebbe concludere la nostra chiacchierata rivolgendoti una domanda, dove tutto quello che dirai ti si potrebbe ritorcere contro: cosa vorresti si dicesse di te?

«Mi piacerebbe essere chiamata cantautrice, perché lo sono. Una cantautrice che scrive delle belle canzoni.»

www.musicaintorno.it

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