ROSSELLA SENO, SENSUALE UMANITÀ NEL CANTO DEGLI ULTIMI

Forte, provocatoria, incentrata sul contrasto. La nuova opera di Rossella Seno, Pura come una bestemmia, esce coraggiosamente per porre l’attenzione su temi profondi, attuali, scottanti. Quelle note dolenti da cui allontaniamo lo sguardo e che invece dovremmo affrontare per ambire a un mondo decisamente migliore.

Con la sua presenza forte e al contempo delicata, Rosella Seno ci racconta gli ultimi, siano essi orsi, immigrati, donne, vecchi o sognatori. Con la sincerità toccante di chi sa sentire sulla propria pelle ogni nota vibrata.

Sembra un atto di coraggio estremo fare canzone d’autore senza scendere a patti con la moda e il mercato…

«… e noi, imperterriti come dei Don Chisciotte contro i mulini a vento, continuiamo finché possiamo a condurre le nostre battaglie. Non ho mai pensato di far soldi con la musica e gli spettacoli, ma non potrei fare altro. La musica è proprio la mia estensione, è quello che ho dentro che viene fuori.»

Recitazione e canto. Due percorsi paralleli, due modi espressivi di interpretare un testo.

«Credo che cantare in fondo sia recitare, così come in fondo recitare sia una musicalità. Da attrice puoi recitare tanti ruoli; nella canzone in realtà non è che reciti, ma ti metti in contatto con un sentire. Quando canto di un immigrato, mi metto nei suoi panni; mi immedesimo, faccio un transfer; sento quel dolore, quella fatica di essere un povero disgraziato. Con la musica entro più in profondità. Di tutte le forme d’arte credo che sia la più completa, perché racchiude in sé tutto il resto.»

Roma 10 ottobre 2018, l’attrice e cantante Rossella Seno. © Sebastiano Vianello

Anni impegnati nel teatro, nella canzone sociale, portando in scena gli ultimi.

«Li canto perché mi sento una di loro, non sono una che ha avuto dei privilegi. Quel poco che ho me lo sono costruito con grande fatica. Essere donna non è facile in questa società, non ancora. Dobbiamo sempre dimostrare qualcosa, ed è molto faticoso. Tempo fa fui contattata da Pierpaolo Fiorucci che stava lavorando a un progetto corale e mi chiese di partecipare. Accettai e mi scrisse un testo che poi musicò Massimo Germini, lo storico chitarrista di Vecchioni. Io e Massimo ci piacemmo, sia a livello lavorativo, artistico che umano…

Dopo il progetto abbiamo iniziato a lavorare su altri brani, su altri argomenti che avevo in mente: sugli ultimi in tutte le loro sfumature. Via via, abbiamo cercato chi potesse scrivere dei testi. È allora che sono arrivati Michele Caccamo, Pino Pavone, Matteo Passante… Sirianni mi ha scritto Puri come una bestemmia, che era proprio la canzone mancante. Volevo riportare su disco ciò che in realtà portavo in scena già da tanto tempo.»

 

 

Una copertina evocativa che ben rappresenta il senso di sofferenza di chi viene sopraffatto, sacrificato.

«Il mio era un grido di aiuto, e anche di speranza. È una denuncia a una società che vira sempre più verso il consumismo, a discapito dell’essere umano e della vita stessa. La copertina simboleggia la società consumistica che ci ha messi in croce; ha messo in croce la donna, non solo perché maltrattata ancora, ma intesa come essere umano e come natura stessa. Nel retro copertina c’è la croce piantata in un mare di rifiuti, che è quello che noi stiamo lasciando.»

Una contrapposizione tra purezza e rabbia che traspare nei testi, nella passione, nella bellezza dei contenuti duri e a volte crudi.

«Viviamo in una società che è dura. Ci dobbiamo sempre difendere, per riprenderci un piccolo spazio che dovrebbe essere naturale. Siamo un popolo di infelici! Tutto questa ricerca smodata di un benessere illusorio e materiale ci ha portato a perdere il valore di quelle piccole cose che erano fondamentali.»

 

L’arte come veicolo per sensibilizzare a certe tematiche “al di là del vetro”.

«Chi fa più cultura adesso è l’artista che sta al di là della vetrina, al di là delle convenzioni dettate da una legge di mercato. Ognuno racconta il proprio vissuto, ognuno ha il proprio linguaggio, non demonizzo alcun genere. Il punto è che, se oggi volessi ascoltare un brano di musica d’autore, con delle tematiche interessanti, dovrei andarmelo a cercare.»

Un’artista completa, Rossella Seno, pronta a sentirsi parte di un tutto e cantare alla natura. Nasce La chiamano strega, declinata nella vita di Simona Kossak.

«Era una biologa polacca che ha lasciato il mondo comodo per andarsi a rifugiare in una piccola striscia della foresta di Bialowieza. E lì viveva in una capanna senza corrente elettrica, né acqua, a completa a disposizione della natura, adeguandosi ai suoi ritmi. Aveva un contatto così profondo con la natura, che riusciva a comunicare con gli animali, ed è il motivo per cui la chiamavano strega. Questa è la storia di Simona Kossak e anche un po’ la nostra. Di noi che difendiamo a tutti i costi la natura, che la vediamo come la nostra madre.»

Anche la gioventù diventa un lusso a cui si deve rinunciare.

«Il brano “Principessa” affronta la tematica della vecchiaia. Mai come in questo periodo abbiamo capito quanto il vecchio non abbia più un significato; mentre prima era la storia, la memoria, la guida. Tutti abbiamo il terrore di invecchiare, è la nostra più grande paura. La vecchiaia ti porta all’infelicità, alla solitudine; la vecchiaia è triste: ti costringe a un cambiamento totale di tutto ciò che sei, perché il fisico non risponde più, la mente non risponde più. Il senso della canzone scritta con Pino Pavone è proprio nella frase “la gioventù è un lusso”, un lusso a cui dovremmo aggrapparci, invece di buttarla via mentre è presente.»

Un rapporto conflittuale con la religione e con la frenesia del contemporaneo.

«Sono cresciuta con il cristianesimo e con la Chiesa, ma credo che sia un grande business anche lì. Il mio è un dio con cui ho un dialogo, a volte mi ci arrabbio e gli chiedo di scendere giù per metterci a confronto. Che si chiami Dio o con qualsiasi altro nome, credo che esista un’entità superiore, ma dargli un ruolo mi è difficile. Credo nella reincarnazione, che la nostra anima possa ritornare con altri corpi, sotto altre forme. Credo che ci sia qualcosa di molto più grande, ma siamo distratti.»

 

Ginevra Baldassari

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