ROBERTA DI MARIO: “DISARMATI, LASCIA CHE SIA”

“Disarmati, lascia che sia” recitano i primi versi di un suggestivo romanzo di note. Roberta Di Mario pubblica “Disarm”, un concept album che racconta del dis-armarsi, in ogni senso e direzione: «Non voglio che ci sia nient’altro, e in questo disco non ci sono altre parole.»

Emotiva, elegante, appassionata, vive da sempre per la musica Roberta Di Mario.

Pianista e compositrice di indiscusso talento, inizia giovanissima l’attività concertistica e vince concorsi nazionali ed internazionali. Sperimenta e rischia tra i tasti bianchi e neri, avvicinando il suo suono, dolcissimo e violento, al mondo del teatro, del musical, del jazz, swing, pop, contemporaneo, ambient, soundtrack. Innamorata di Bach, delle sue strutture ipnotiche e di quella melodia così affascinante, che sottende un’armonia salda e ben rigorosa, da lì parte. Per trasgredire.

«Ho trasgredito anche con il Valzer di Chopin, in cui si sono infilate le note dei Queen. Nella musica non ci sono regole e non ci sono confini.»

Una musica che è vita, ossigeno, difesa, urgenza. Una musica dove le dita, le mani, sono l’estensione del cuore; il canale che permette di raccontare tutto un mondo interiore. E, se prestate orecchio, sembra che Roberta ci dica, sussurrando: «Respirate questo album tutto d’un fiato. E, se potete, disarmatevi e lasciate andare.»

Roberta Di Mario pubblica “Disarm”, un concept album che racconta del dis-armarsi, in ogni senso e direzione.

«“Disarm” è un progetto di pianismo contemporaneo che racconta del disarmarsi, dell’abbandonarsi, del concedersi, del lasciarsi andare. È questo il fil rouge di tutto l’album. Ha un significato più ampio rispetto a quello che può essere il concetto del disarmo fisico, legato al periodo storico in cui stiamo vivendo, alle tematiche dell’immigrazione, del fascismo e dell’odio verso l’altro. Qui il disarmarsi assume un significato più completo, si declina in tutte le sue forme. Si tratta soprattutto di un disarmarsi emotivo.»

In questo romanzo in musica, quanto c’è di autobiografico?

«Indubbiamente c’è qualcosa di autobiografico, ma questo è normale che succeda nel progetto artistico di un creativo. È inevitabile che ci sia qualcosa che rappresenta il proprio mondo interiore. Per me il pianoforte è l’estensione del mio essere; le dita, le mani, sono in qualche modo l’estensione del mio cuore. Sono il canale che mi permette di raccontare, come un’urgenza, tutto un mondo interiore.»

Com’è cominciata questa storia di note?

«Qualche tempo fa una persona mi ha detto: “Tu devi imparare a disarmarti”. E da lì è partito il viaggio; questa storia di note che voleva raccontare un concedersi, un abbandonarsi, un lasciarsi andare, un aprirsi all’altro, senza difesa. L’incipit del disco recita: “Disarmati, lascia che sia”. Non voglio che ci sia nient’altro, e in questo disco non ci sono altre parole. Semplicemente quelle quattro parole che riescono a descrivere un significato a me molto caro.»

Quale viatico suggeriresti per un nuovo innamoramento di sé?

«Ognuno ha la propria strada, la propria via. Io mi innamoro ogni giorno della vita attraverso la musica. Non è una frase fatta. La musica per me è vita, è ossigeno. Disarmarsi è far riconoscere la parte più vera di noi, quella più autentica, più soffocata, quella difesa… è un innamorarsi di nuovo. Disarmandosi, ci si riscopre. La difesa è inutile; la paura necessaria per liberarsi completamente e ripartire. In questo nostro delicato momento storico pervade più l’odio che l’amore, però, se in qualche modo il bene resiste, vuol dire che forse è più potente. Riscoprire qualcosa di buono che c’è in noi; qualcosa che magari abbiamo tenuto legato, soffocato, e concederlo all’altro, può essere una strada per innamorarsi nuovamente, non solo di sé, ma anche del tempo che stiamo vivendo.»

Il tuo ultimo lavoro ha riscontrato il sostegno della Warner Music Italy. Che idea ti sei fatta del mondo discografico di oggi?

«È il secondo progetto con Warner Music Italy e sono davvero contenta di affrontare insieme questo nuovo viaggio di note. La discografia è un mondo piuttosto complesso. Oggi non si vendono più dischi e la musica vive attraverso i concerti, il mondo digitale delle piattaforme da cui si scarica. Avere la Warner come etichetta, come brand, mi fa sentire in qualche modo più protetta, riconosciuta, in mezzo a tutto quanto il magma di proposte artistiche che invadono la rete.»

Emotiva, elegante, appassionata. Come sei diventata la pianista Roberta Di Mario?

«Ho iniziato a suonare all’età di cinque anni, non andavo ancora a scuola. Ho conosciuto prima le note che le lettere dell’alfabeto. È stato tutto molto naturale, perché c’era già una buona predisposizione, ma allo stesso tempo un percorso duro e faticoso. Un percorso fatto di accademia, di conservatorio, di studi, di ore di lezione alternate a ore di esercizio. Se oggi sono diventata questo, è solo grazie a quello che è stato.»

Come ti sei innamorata della musica?

«Mi sono innamorata della musica come ci si innamora di una persona. Succede. Poi, di base c’è un talento che funziona, se coltivato a suon di studio e sacrificio. La musica è un’avventura meravigliosa; una strada contorta, a volte in salita, ma vale la pena percorrerla. Quando ci sono i concerti, gli applausi, i feedback da parte di un pubblico che continua a manifestarmi attestati di stima… beh, allora sei ripagata di tutto!»

Concerti, tournée, applausi. Qual è il posto più strano dove hai suonato?

«Sicuramente un vigneto. Si è trattato di un meraviglioso concerto all’ora del tramonto, per il festival “Naturalmente pianoforte”, e il vino accompagnava la musica. È stato un momento particolare, toccante, a tratti commovente… per me che sono una donna dalle corde melanconiche. La mia ora preferita è quella del tramonto e, più la luce si affievolisce, più riesco a suonare meglio. Quel concerto nel vigneto è stato un momento davvero intenso.»

Cosa significa per te comunicare?

«Comunicare per me è fondamentale: lo faccio attraverso il mio suono, la mia musica. Mi piace più suonare che parlare. Credo che il dialogo possa davvero portare a una società migliore, a un maggiore benessere. Disarmarsi, lasciarsi andare al dialogo e all’ascolto, può rivelarsi una strategia efficace, in nome di un bene superiore che in qualche modo ognuno di noi – a suo modo – sta cercando.»

Restando in tema, è “Valzer in A Minor” il potente brano che accompagna lo spot del ritorno in tivù di Tiscali, la nota azienda di telecomunicazioni. “Valzer in A Minor” consola e disturba, così come deve fare ogni forma d’arte.

«“Valzer in A Minor” ha contenuti musicali intensi, significativi, che scuotono. È diventata la colonna sonora dello spot di Tiscali e sono felice che Renato Soru, il fondatore della società, abbia scelto questo brano, riscontrando nel mio suono quel mood che stava ricercando per la sua pubblicità, che ha il Mediterraneo come protagonista. Nello spot emerge tutto il potere evocativo della Sardegna e le onde del mare diventano le attrici principali. Sono onde che disturbano e consolano allo stesso tempo. Così deve fare la musica.»

L’arte crea fratture e da quelle fratture cerca poi un recupero, per poter accogliere e consolare.

«Alla fine di ogni mio spettacolo, chiedo sempre al pubblico se l’arte debba disturbare o consolare… La mia risposta è che sono necessarie entrambe le funzioni: bisogna prima scuotere, per poi rimettere a posto le cose.»

A proposito di performance creative, ci piace ricordare la tua partecipazione al Festival della Disobbedienza. Come declini “disobbedire” nel tuo percorso umano e artistico?

«Disobbedire con la musica è molto semplice. Disobbedisco ogni giorno, perché vado al di là di quelle che sono le regole prestabilite e mi infilo dentro un caos emotivo che porta scotimento, disordine. Nella musica non ci sono regole e non ci sono confini. Solo, una volta che ci si è allontanati, il bisogno di ritornare a casa, all’ordine, alla tranquillità.»

Compositrice di indiscusso talento, Roberta Di Mario pensa di avere realizzato il proprio sogno?

«Tanti sogni realizzati e tanti sogni ancora da realizzare. Non si arriva mai, c’è sempre una tensione che ti porta verso qualcosa in più, ma sempre con enorme gratitudine nei confronti di quello che si è riusciti ad ottenere. Ci sono sogni nel cassetto, non li svelo. Un po’ per quel briciolo di superstizione, un po’ perché credo che il sogno si realizzi giorno per giorno, con impegno, costanza, resilienza e tanta, tantissima passione.»

 

Gino Morabito

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