RED CANZIAN, SUL PALCO COME NELLA VITA

Di Gino Morabito

Aveva diciassette anni, giovanissimo esordiente sul palco di un festival. All’epoca non era ancora all’altezza di potersi esibire difronte al pubblico, però gli piaceva cantare e propose un pezzo di Paul McCartney, Yesterday.

Quando vinse quella manifestazione, comunque importante perché la presentava già Pippo Baudo, Bruno capì due cose: aveva un look improbabile, per cui si sarebbe reso necessario molto lavoro per costruirsi l’immagine di rockstar, e che, per tirarlo giù da quel palco, avrebbero dovuto abbatterlo.

Il racconto inedito di Red Canzian è quello di un uomo, la cui forte personalità artistica trova ispirazione e nutrimento nell’insaziabile fame di vita e musica che fluiscono nella stessa anima. Si mette a nudo, con estrema naturalezza, rendendoci partecipi di alcuni momenti privati che toccano le corde più intime del dolore e della speranza.

 

La voce e il basso, Phil al pianoforte, Chiara che fa i cori e canta alcuni pezzi, Bea in regia. Il ritorno sul palco di Red Canzian, in musica e parole.

«Il concerto-racconto attraversa la mia storia: quella di tutti quei ragazzi nati negli anni ‘50 che hanno avuto la fortuna di vivere un periodo di grandi cambiamenti, figli del boom economico, con la prima televisione in bianco e nero, il rock’n’roll di Elvis, la musica dei Beatles e i sogni dei ragazzi del ‘68, con quella voglia di cambiare il mondo… e così, passo dopo passo, fino ad arrivare alle storie di oggi.»

Ha girato l’Italia e ovunque ha fatto sold out: Casanova opera pop, la storia di un sognatore.

«Il nostro sogno di Casanova mi ha portato a ricevere il Leone di San Marco, simbolo della città di Venezia, ed io l’ho giustamente dedicato a mia moglie Bea, perché amo coinvolgerla in tutto quello che faccio. E poi l’applauso in teatro il 22 febbraio scorso per la prima a Treviso di quattro date sold out. Un applauso scrosciante, infinito, emozionante. Mi viene la pelle d’oca a raccontarlo.»

Il primo grazie, quello più importante.

«Va a mia moglie e ai miei figli. Nella situazione d’emergenza Bea ha supervisionato e fatto da collante tra i vari reparti dello spettacolo, i debutti in teatro e l’ospedale. Era ovunque, non riesco ancora a capire come ci sia riuscita. E poi l’amore dei miei figli e di tutte le persone che ho sentito vicine. La loro preoccupazione, le preghiere spese per me. Sono stati semplicemente meravigliosi. Grazie di cuore!»

Un autentico capolavoro di incastri: “Non esiste uno spettacolo al mondo con trenta cambi di scena”.

«Di recente con la mia famiglia siamo stati a Londra, su invito dei nostri partner inglesi che si occuperanno della distribuzione di Casanova nel mondo, ed è la prima volta che l’Inghilterra si interessa a un musical italiano. Mi piace sottolinearlo perché per me è una nota di orgoglio. Lì siamo andati a vedere due musical con dieci cambi di scena. Quelli sarebbero già considerati spettacoli molto ricchi: dieci cambi di scena dove variano alcuni elementi, pochi oggetti a definire un’ambientazione che viene appena citata… Con Casanova entri nel Campiello, in piazza San Marco, all’interno dei palazzi nobiliari. Sei a Venezia.»

Una città, la Venezia del ‘700, che, seppur in un periodo di decadenza, insegnava al mondo l’arte, l’eleganza, la raffinatezza.

«Entri nello splendido barocco di Palazzo Labia e, nel Salone da ballo, sei rapito da uno dei capolavori del Tiepolo. In questa città ogni capitello racconta una storia. Poi Venezia è anche il rumore delle “bricole”: quei pali di legno legati tra loro, che scricchiolano quando l’acqua li muove. Casanova inizia proprio con il rumore dell’acqua, il cigolio delle briccole e in lontananza i gabbiani. Per una buona mezz’ora, prima che si alzi il sipario sullo spettacolo, mandiamo quel sottofondo, affinché le persone che arrivano in teatro entrino già nell’atmosfera del musical. Lo stesso Phil, mio figlio, per gli arrangiamenti, è andato a ricercare i suoni ritmici delle calli di notte, dei pontili in legno, delle gondole che sbattono tra loro. L’effetto è incredibile.»

Una bellezza commovente, eterna come la passione.

«Se parliamo di esseri umani, nel tempo può durare solo la passione, perché tutto il resto invecchia. Con gli anni la passione prende corpo e sostanza, acquisisce una nuova consapevolezza di sé: ad esempio, l’amore e la passione che provo oggi per mia moglie sono completamenti diversi rispetto a quelli di trent’anni fa. Tuttavia sono sentimenti molto più maturi e profondi.»

L’amore, le separazioni, i figli, l’amicizia, i lutti. Sono alcune delle tematiche legate alla vita di un “testimone del tempo” che racconta del proprio vissuto.

«La mia è stata una vita fortunata, anche se non credo alla fortuna, partecipando decisamente affinché determinati eventi accadessero. È stata ed è una vita bella, significativa, nella quale ho sempre agevolato gli incontri. Perché è dagli incontri che nascono le occasioni importanti.»

Un meraviglioso viaggio nella memoria, con qualche aneddoto personale che lega Red Canzian a miti immortali della musica.

«Sicuramente l’incontro più emozionante è stato quello con Paul McCartney, per realizzare un video contro il maltrattamento degli animali. Paul si divertì molto nell’apprendere che, oltre al grande amore per gli animali che ci accomunava, anch’io fossi un bassista come lui e che, come lui, anch’io facessi parte di una band storica. Poi gli dissi che avevo il basso Hofner e molto carinamente mi propose di andare a suonare qualcosa insieme. Credo di essere l’unico artista italiano ad avere delle foto con Paul McCartney insieme a tutta la mia famiglia. Era il mio idolo da ragazzino e allora, per una volta, mi sono ritrovato dalla parte di tutti quei fan che mi fermano per chiedere l’autografo. Grazie a quell’incontro, ho imparato a rispettare molto di più le loro richieste, ad assecondare il loro amore. Certo, ripensando agli incontri significativi della mia vita, la memoria corre inevitabilmente a Valerio (Negrini, N.d.R.) e a Stefano, e al dolore che continuo a provare per la loro perdita.»

In questa misteriosa corsa ad ostacoli che è la vita, tanti i traguardi raggiunti. Forse un treno perso.

«L’unico rammarico è quando con i Pooh non siamo saliti sul treno che ci avrebbe portato all’estero. Attraversavamo un periodo in cui eravamo molto richiesti e saremmo potuti diventare come Eros, Laura, Bocelli… fuori dai nostri confini. Forse per una nota di provincialismo, o magari perché tenevamo troppo al mercato e al nostro pubblico, abbiamo continuato a lavorare in Italia dedicandoci poco all’estero. A parte quello, direi che è andato tutto molto bene.»

Bisogna capire qual è la strada da imboccare.

«Se si fa un ragionamento analitico, è ovvio che – su un piano meramente economico – si capisce subito cosa conviene fare, scegliendo in base al valore maggiore. Ma non è detto che quello che vale di più poi ti faccia sentire felice. Io ho sempre fatto una prima valutazione tecnica, dopodiché mi impongo di dimenticare e scelgo con il cuore. Allora può succedere di imboccare la strada impervia, quella più svantaggiosa; capita di sbagliare. Il cuore sbaglia più della testa, è assodato. Ma, quella volta che non ha sbagliato, è stata una grande vittoria.»

Palcoscenico e famiglia, i due elementi fondanti di una vita fatta di musica.

«Sono complementari e camminano di pari passo. Nella mia vita questi due aspetti si fondono insieme e rappresentano i momenti che mi fanno sentire bene. Palcoscenico e famiglia sono il mio stato di grazia.»

Uno stato di grazia, un momento felice di creatività artistica declinata anche nella realizzazione di un libro disco, partendo dalla drammatica esperienza vissuta. Raccontare quanto vale riuscire a scendere dal letto in ospedale per la prima volta, sentire il rumore dell’acqua sulle mani. E avere voglia di andare avanti.

«Grazie a Dio, sto vivendo un momento di grandissima creatività. È un periodo in cui mi sento molto ispirato: qualche giorno fa, in veranda, in un quarto d’ora ho scritto quella che ha tutte le potenzialità per diventare una buona canzone. Quanto al libro disco, è un’idea che mi piace, perché mi piace raccontare. E, nel racconto, mi viene naturale unire la parola alla musica.»

Quella stessa musica che per alcuni è il linguaggio di Dio, la cosa più vicina alla felicità.

«Felicità è una parola che ho paura a pronunciare. Troppo grande, talmente sconfinata. Piuttosto sono sereno. Perché è con la serenità d’animo, che si riescono ad affrontare i problemi, per giungere poi alla felicità. E “la felicità è reale solo quando è condivisa”.»

www.musicaintorno.it

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