“PICCOLI CAMBIAMENTI”, ANZI CAMBIAMENTI EPOCALI DI MIMMO LOCASCIULLI

mimmo-locasciulli-piccoli-cambiamenti1_musicaintorno“Piccoli cambiamenti”, il nuovo singolo estratto dall’omonimo doppio album e vinile (Believe Digital) con cui Mimmo Locasciulli celebra i quarant’anni di carriera. In rotazione radiofonica dal 14 ottobre.

Nel disco, il cantautore-chirurgo abruzzese di casa a Roma, rispolvera vecchi brani rivisitati appositamente per l’occasione.

Si tratta di pezzi arricchiti dall’inedito, che dà anche il titolo all’intero progetto discografico.

«“Piccoli cambiamenti”, anzi cambiamenti epocali… erano i tempi in cui la musica si fruiva con sentimento, sensibilità, partecipazione, disponibilità, attenzione»

Quei piccoli cambiamenti incredibili, inimmaginabili, epocali di una personalità di artista, “uno, bino e dicotomico”; piccoli cambiamenti generati da incontri, compagni di viaggio, linguaggio… di uno dei cantautori che ha fatto la storia della parola in musica in Italia.

Mimmo Locasciulli: 40 anni di carriera e, in fondo… solo “Piccoli cambiamenti”?

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«Quelli sono i marginali cambiamenti che ho apportato nelle mie canzoni, ma la mia vita – come la vita di tutti noi -, negli ultimi 40 anni è stata pervasa e invasa da cambiamenti incredibili, inimmaginabili, direi veramente epocali.»

Qual è oggi la carta di identità di Domenico Locasciulli, chirurgo abruzzese?

«Sono uno e bino, e dicotomico. In me convivono due persone, con due anime distinte: una è quella del medico, l’altra quella del musicista.

Come medico ho vari interessi, faccio il chirurgo e sono anche nutrizionista clinico; come musicista, faccio il cantante e il produttore.»

“Quel che perdi lo perdi per sempre, quel che cerchi non può mai finire”. Il linguaggio dell’amore come alfabeto muto delle cose che non sai, ma che senti?

«Non si tratta solo del linguaggio dell’amore, quanto piuttosto della comunicazione tra persone. A volte quel linguaggio ti permette di entrare in connessione con loro e, quando accade, è davvero bello e senti il suono delle campane; altre volte, quando sussistono le difficoltà, subentra l’alfabeto muto… Per tornare a “Quel che perdi lo perdi per sempre, quel che cerchi non può mai finire”, credo che sia la chiave di lettura di tutta la mia vita. La mia più grande ricchezza è quella di aver incontrato tutti, senza aver perso nessuno.»

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Hemingway avrebbe detto una “festa mobile”, tu sei stato partecipe di una “festa nobile”: nobiltà data dall’affetto e dalla partecipazione di tanti “compagni di viaggio”, che hai incrociato lungo il cammino. Condivideresti con noi qualche incontro?

«Con Francesco De Gregori, ad esempio, c’è una storia che parte da quando eravamo poco più che ragazzi, dai primi anni Settanta, quando sono arrivato al Folkstudio. Abbiamo scritto, girato insieme, cantato insieme, fatto le vacanze insieme. Quando ci si frequenta, come nel nostro caso, anche di famiglia… ci sarebbe da scrivere una storia che dura veramente 30-40 anni. Con Enrico Ruggeri, invece, è nato un po’ tutto per caso: ci siamo incontrati in uno studio televisivo, dopo che avevo fatto Sanremo. Ci siamo trovati subito, come approccio con la musica, come discrezione, rispetto per la lingua italiana (diversamente da quello che cominciava a trapelare nel modo di scrivere canzoni, senza curarsi tanto della grammatica e della fonetica). Abbiamo fatto una bellissima tournée insieme, giocavamo a scacchi, io volevo andare a mangiare al ristorante e lui preferiva il paninazzo… Ho rincorso Frankie hi-nrg dai tempi di “Quelli che ben pensano”, che credo sia una delle più belle canzoni del secolo… Con Gigliola Cinquetti ci conosciamo da anni, i nostri figli sono andati a scuola insieme; abbiamo prodotto per lei un disco moto bello, che ha avuto riscontro in Europa, in America del Sud, in Giappone, tranne che in Italia naturalmente, dove esistono i pregiudizi… E poi tutti gli altri incontri… Forse, un aneddoto bello è che per un anno intero, nel 1986-1987 più o meno, ho portato le canzoni di Luciano Ligabue, di cui avevo realizzato un provino in studio, a dieci case discografiche e l’intelligenza dei direttori artistici di allora fu tale che nessuno le ha volute… Sai, in quarant’anni, accadono tante di quelle cose, che poi è difficile compendiare in una frase o in un minuto.»

“Intorno a trentanni”: l’edonismo reaganiano, una generazione rampante e sprezzante caratterizzavano gli Ottanta. Quali sono, invece, i tratti distintivi dei Duemila?

mimmo-locasciulli-piccoli-cambiamenti5_musicaintorno«Soprattutto l’incertezza, il disorientamento. E questo è anche l’effetto dei cambiamenti che si sono verificati e susseguiti. All’epoca degli Ottanta non pensavamo che la guerra stesse davanti casa nostra; oggi ha cambiato fisionomia: è una guerra subdola, molto sottile, nascosta ma ugualmente pericolosa. Gli anni Novanta sono stati di transizione e nei Duemila non sappiamo cosa sarà il futuro. Io la vivo questa incertezza; non solo la rappresento in una canzone o nelle canzoni, ma la vivo quotidianamente. Abito a Roma e mi confronto giornalmente con i disagi di ogni cittadino: le strade, l’immondizia, i trasporti. È un decadimento generale e soprattutto, un decadimento che avviene nella capitale d’Italia, vuol dire che in qualche modo è il catalizzatore di quanto sta accadendo nella nostra società. Devo ammettere che mi sento a disagio.»

Con il dramma dei migranti che straborda e le stragi di innocenti sotto casa… Si riesce ancora a sentire il suono delle campane?

«Fortunatamente sì! Le puoi vedere e sentire materialmente le campane, o accenderle nel tuo cuore. Quando vado nei miei luoghi, io le vedo e le sento le campane; quando invece sono costretto, nella vita quotidiana, ad avere soltanto una riverberazione di quelle bellezze, allora accendo il cuore.»

“C’è un cinema là fuori simile alla realtà”, dici. Quale film ti piacerebbe vedere?

«Dico sempre che sono del segno zodiacale del Dinosauro, che si è estinto per mancato adattamento all’ambiente. Mi piacerebbe vedere quindi un film di fantascienza, dove tutto è bellezza, la gente è felice; dove c’è giustizia sociale, non c’è povertà, niente guerre. Questo è il film che mi piacerebbe vedere rappresentato.»

Un vago senso di solitudine, che si respira nelle lunghe tournée; viaggi interminabili, attese lunghissime; giorni e giorni sulla strada, lontani da casa… I musicisti son così, è vero! E poi ancora come?

mimmo-locasciulli-piccoli-cambiamenti4_musicaintorno«Creativi, bizzarri, inaffidabili; non puntuali; teneri o scostumati, irriguardosi… Il musicista è una specie di tavolozza, in cui i colori sono veramente tanti. Dipende da dove va a poggiare il pennello in quel momento.»

“Non rimanere là”. Tutto il disco fu registrato in un pomeriggio, voce, chitarra e seconda chitarra. Era il 1975. A farlo oggi, come andrebbe?

«Se avessi quello spirito, andrebbe nello stesso modo; ma quello spirito era in sintonia con lo spirito di chi ascoltava: cioè, la gente del Folkstudio (tra l’altro il posto dove credo di aver avuto l’iniezione più importante di umanità) era gente che, in qualche modo, ha fatto qualcosa nella vita, non ha perso tempo.

Non era quello il luogo dei fighetti e dei pretenziosi, ma – chissà perché – ognuno si trovava lì al momento giusto in un momento importante. E questo è il mio ricordo di quel posto. Ma erano anche i tempi… quando io dico “piccoli cambiamenti”, anzi cambiamenti epocali… erano i tempi in cui la musica si fruiva con sentimento, sensibilità, partecipazione, disponibilità, attenzione; oggi la musica va molto più veloce. È chiaro che, in quelle situazioni, io mi potevo permettere di fare un disco in un pomeriggio, anche con delle sbavature, degli errori tecnici, che – a risentirli adesso – mi fanno sorridere. E, nonostante oggi io ponga molta attenzione negli arrangiamenti, nei suoni, nella codifica della canzone in generale, sapere che la mia musica viene ascoltata con le cuffiette su un autobus o sulla metropolitana, mi fa rabbrividire.»

Completa l’equazione: Mimmo Locasciulli sta al “Folkstudio” come…

«… il Liga sta alla stadio San Siro.»

 

 

Gino Morabito

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