ORIETTA BERTI, UNA STORIA SURREALE E BELLISSIMA

Di Gino Morabito

Domina la scena con i suoi racconti, i fuori programma ficcanti, con l’arma vincente della spontaneità. Tra gaffe, amarcord e sedici milioni di dischi venduti, Orietta Berti sfoggia una carriera artistica che ha superato i cinque decenni. Lo sguardo sempre avanti e canta, L’usignolo di Cavriago. Canta finché la voce va.

L’affetto del pubblico non è mai mutato.

«Continuo a ricevere grandi dimostrazioni di affetto e stima dalle persone che mi seguono e le tratto con il massimo rispetto. Il mio pubblico l’ho visto giovane come me quando ho cominciato, siamo cresciuti insieme. Nel tempo ho conosciuto i figli, poi i nipoti e i pronipoti. Agli spettacoli vengono a trovarmi con tutta la famiglia e mi presentano anche gli ultimi arrivati.»

Il mondo dello spettacolo è un ambiente dove non si può dormire sugli allori. Ogni giorno si ricomincia da capo, è una nuova conquista.

«Nel mio lavoro cambi pelle continuamente, sei sempre a contatto con energie nuove, giovani, e non percepisci il passare del tempo. Esternamente te ne accorgi quando ti guardi allo specchio, ma dentro no, il tempo non ti cambia. Non si spegne mai la passione, il desiderio di sperimentare restando fedele a chi sei. L’importante è mantenere intatta la propria personalità, cantando canzoni che siano credibili, vere, che appartengano al tuo genere.»

Un felice connubio tra umiltà e un pizzico di trasgressione.

«Ho preso l‘abitudine di trascorrere le mie vacanze a Los Angeles e, quando sono là, mi trasformo: indosso la parrucca azzurra con il vestito abbinato, e ogni giorno c’è una festa. Se lo facessi in Italia, non sarei vista di buon occhio. A volte mi capita di osservare delle colleghe giovani vestirsi in modo stravagante ed essere reputate trendy, alla moda, delle influencer… certo… ma io in America lo faccio già da trent’anni!»

La mia vita è un film – 55 anni ++ di musica, il racconto di “una storia surreale e bellissima”.

«Non potrei fare a meno di provare amore per la musica e per la mia professione. Quel continuo girovagare sentendosi un po’ zingara, essere inondata dell’affetto delle persone. Sono esperienze che ti fanno alimentare una gamma di sentimenti che non tutti riescono a provare.»

Oltre sedici milioni di dischi venduti, quattro dischi d’oro, un disco di platino e due d’argento, tournée in tutto il mondo.

«La musica, certo, mi ha sottratto del tempo da dedicare ai miei figli, portandomi lontano da casa per periodi di quindici giorni o addirittura un mese. Ma mi ha dato tanto, tantissimo. È la mia vita.»

Finché la barca va, Via dei Ciclamini, L’altalena… Certo erano altri tempi.

«All’epoca, se non vendevi almeno mezzo milione di copie, ti lasciavano nel cassetto e buttavano via la chiave. Eravamo degli strumenti per far soldi. La musica leggera in quel periodo vendeva molto, veniva esportata all’estero. Per le case discografiche c’era un guadagno non indifferente.»

La carriera di un’artista che non ha mai mollato, scommettendosi con entusiasmo in tutto quello che le hanno proposto, dalle manifestazioni discografiche agli eventi televisivi. È stata giudice, opinionista, chef. È stata dodici volte a Sanremo.

«Di Sanremo ho due ricordi su tutti. Il primo è legato all’edizione del 1967, quando morì Tenco che cantava Ciao amore, ciao in abbinamento con Dalida. A quel Festival portavo in gara Io, tu e le rose, un brano che ha venduto più di un milione e duecentomila copie e che non può mancare nei miei concerti: la gente lo reclama a gran voce, soprattutto all’estero. Il secondo ricordo, più luminoso, è di quando ho partecipato in coppia con Giorgio Faletti. Era il 1992 e cantavamo Rumba di tango. Sono stati dieci giorni bellissimi. Io, Osvaldo e Giorgio a farci tante risate insieme… una battuta dietro l’altra come in un film di Totò. Il clima era quello spensierato di una vacanza, quando solitamente le giornate del Festival sono una prova di nervi.»

Nel 1966 partecipa per la prima volta al Festival della canzone italiana con Io ti darò di più, scritta da Alberto Testa e Memo Remigi. Ma il grazie più sentito va a Giorgio Calabrese.

«Dovrò sempre ringraziare Giorgio Calabrese, il mio pigmalione. È stato autore di Senza rete, delle sigle cantate da Mina e Ornella Vanoni per Studio uno e di tutte le canzoni di Umberto Bindi. Mi ha scoperto a Reggio Emilia in un concorso di voci nuove ed ha insistito con mia mamma affinché io andassi a Milano a sostenere dei provini. Con me c’erano Fabrizio De André, Memo Remigi… ricordo che alloggiavo in un pensionato di suore vicino a via Benadir. Ancora oggi, a fine spettacolo, canto sempre Il nostro concerto: è il mio modo di dire grazie a Giorgio.»

Un forte sentimento di gratitudine provato anche nei confronti dell’amico Fabio Fazio. Una collaborazione televisiva collaudata, nella quale, tra lui e Frassica, si sprecano le prese in giro per L’usignolo di Cavriago.

«Sono una donna normale con un senso dell’humor che potrebbe essere percepito come inopportuno, perché magari la circostanza richiederebbe maggiore serietà. A volte mi scappa qualche parolina di troppo e Osvaldo è sempre lì a ripetermi di pensare un po’ di più prima di “emettere suoni”. Sbaglio i nomi, confondo le persone, faccio delle gaffe tremende. Ma non è una questione di età, sono così da quando avevo diciotto anni.»

www.musicaintorno.it

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