«OGNI VOLTA CHE PACO SUONAVA C’ERA AMORE NELL’ARIA»

Agli occhi del mondo appare vigoroso, brillante, emotivo, inaspettato, un incontro di classe, un’emozione narrativa di grande impatto… Più da vicino, si tratta del racconto di un padre che rivive nello sguardo artistico del figlio: «Paco de Lucía era Francisco Sánchez Gómez» dalla viva voce di Curro Sánchez Varela.

«Era un padre gentile, dolce; talvolta pigro, ossessionato dal lavoro, e soprattutto generoso.»

È questa la carta d’identità, profondamente umana, del chitarrista di Algeciras. Dalle note del suo flamenco la gente era rapita, galvanizzata, stregata… come se entrasse in simbiosi con la musica vibrata da quelle corde: «Ogni volta che Paco suonava c’era amore nell’aria» continuando appassionato il racconto. «C’era una specie di magia tra Paco e il suo pubblico, un’energia vitale.»

Amore, incanto, pura energia che Curro Sánchez Varela riversa nel documentario Paco de Lucía: la búsqueda, il viaggio nell’anima e nell’indiscussa creatività di uno dei più grandi chitarristi di flamenco, attraverso interviste condotte tra il 2010 e il 2014. Anni d’investigazione e di ricerca musicale, per andare oltre il conosciuto e omaggiare la memoria di un uomo che amava la vita e un artista virtuoso universalmente riconosciuto.

Il calore sprigionato dalle corde del flamenco rievoca la solarità della mia terra. C’è qualche aneddoto particolare che lega Curro Sánchez Varela alla Sicilia?

«Sono già stato in Sicilia nel 2007, con un altro documentario. Potrei dire che si è trattato del mio primo progetto in assoluto: un documentario, pubblicato per la mia università, che si basava sull’impatto dei film di Hollywood sull’industria locale. Ricordo che abbiamo viaggiato in lungo e in largo, spingendoci nel nord del Marocco, per renderci conto di come le grandi produzioni hollywoodiane influissero sull’economia del posto. Siamo stati anche in Sicilia, visitando le location più tipiche e suggestive, dove è stato girato “Nuovo cinema Paradiso” e a Corleone nei luoghi de “Il padrino”. In seguito, con la mia famiglia, abbiamo scoperto le meraviglie di Taormina. Cosa dire? La Sicilia è stata un’esperienza meravigliosa!»

In “Paco de Lucía: la búsqueda” racconti la storia del grande chitarrista di Algeciras attraverso diverse interviste condotte tra il 2010 e il 2014. Come prende vita il tuo documentario?

«All’epoca mio padre stava registrando uno degli ultimi dischi e mi chiese di allegare un DVD contenente un breve documentario, che sarebbe stato pubblicato insieme all’album. Quando finimmo di registrare, il filmato durava 25 minuti e realizzammo subito che sarebbe stato estremamente riduttivo un progetto così piccolo per raccontare Paco de Lucía. Avevamo bisogno di qualcosa di più grande e nacque l’idea di questo documentario: “Paco de Lucía: la búsqueda”.»

Chi era Paco de Lucía nel privato?

«Paco de Lucía era Francisco Sánchez Gómez. Era un padre gentile, dolce; talvolta pigro, ossessionato dal lavoro, e soprattutto generoso. Trovava sempre il tempo di ascoltare quello che avevi da dirgli e ti sapeva consigliare. Era un uomo che amava la vita, il buon cibo; gli piaceva viaggiare, leggere, guardare i film, ascoltare la musica e prendersi cura del nostro giardino, prima a Madrid, poi in Messico e a Maiorca, dove avevamo delle coltivazioni di ulivi, arance e limoni. Conosceva bene il significato di “carpe diem”; aveva un gran senso dell’umorismo e amava ridere e far ridere.»

Lungo il suo percorso umano e artistico, alcuni incontri sono stati così fortemente significativi, da riuscire a imprimere una svolta nella sua musica. Quale persona portava nel cuore?

«Se dobbiamo pensare a una sola persona, che provenga dalla musica internazionale e, in qualche modo, sia stata la porta d’accesso, la chiave per aprire la musica di Paco de Lucía a quelle collaborazioni che non dovevano necessariamente appartenere al mondo del flamenco, allora direi John McLaughlin: un artista che ha rappresentato l’inizio di una nuova era nella carriera di mio padre.»

Tuo padre è stato e rimane uno dei più grandi chitarristi di flamenco al mondo. Quando suonava la gente era rapita, galvanizzata, stregata… Che tipo di rapporto riusciva a instaurare con il suo pubblico?

«Mentre stavo girando il documentario, è stato davvero interessante vedere come le persone, nota dopo nota, fossero completamente rapite dalla follia dei musicisti di Paco de Lucía, e come entrassero in simbiosi con la musica di mio padre. Ogni volta che Paco suonava c’era amore nell’aria. C’era una specie di magia tra Paco e il suo pubblico, un’energia vitale.»

In tema della musica di tuo padre, qual è la tua speranza più grande?

«Conosciamo dei compositori classici come Mozart e Beethoven che sono considerati – a ragione – dei geni assoluti. La mia speranza è che le nuove generazioni crescano ascoltando la musica, apprezzandola e imparando dalla musica stessa. In cuor mio, nutro la segreta speranza che, generazione dopo generazione, la gente impari ad apprezzare la bellezza della chitarra attraverso i dischi di Paco de Lucía.»

Qual è l’attualità della sua proposta?

«Credo fermamente nella modernità del suo messaggio. Le radici della musica di Paco de Lucía attingono naturalmente al flamenco tradizionale, ma in ogni album è sempre riuscito a dare un’impronta squisitamente moderna.»

Da talentuoso figlio d’arte, qual è l’atteggiamento che Curro Sánchez Varela vorrebbe riuscire a trasmettere?

«Cercare di essere autentici con sé stessi; cercare di mantenere autentica la propria espressione artistica, con passione e amore profondo. Perché, se sei autentico, la gente lo capisce subito. E ti ama.»

 

Gino Morabito

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