Dopo 13 anni ritorna Notre Dame de Paris con il cast originale!
Cos’è cambiato rispetto al passato? Niente! O forse tutto.
«Il pubblico canta le canzoni con noi. Ed è uno spettacolo!
Uno spettacolo di musica quasi pop rock» ci hanno raccontato Quasimodo e Gringoire, smessi per un attimo i panni di quei personaggi così amati dal pubblico e riappropriatisi degli abiti di artisti a tuttotondo. Uomini e artisti che, riguardo al proprio mestiere, dichiarano: «Bisogna studiare!». Ed è un ammonimento che tocca la vita di ognuno, e l’entusiasmo da metterci.
«Immaginiamo Notre Dame come pura passione,» rilanciando Giò Di Tonno.
Ci guidano «diligenza, disciplina, rigore, impegno», poker servito per Matteo Setti.
Dappoi concludendo: «Siamo cambiati noi, con tanti anni di repliche alle spalle e con la nostra maturità… il diverso approccio al personaggio, dal punto di vista mentale.»
Il musical dei record riprende, dopo 4 anni di sosta di programmazione. Ma il discorso iniziato con il pubblico, il 16 settembre 1998 al Palais des Congrès di Parigi, non si è mai interrotto.
16 settembre 1998: debutto al Palais des Congrès di Parigi. E fu subito trionfo! Per il suo 18° compleanno, che regalo vorrebbe ricevere Notre Dame de Paris?
Giò: «Si dice che la vita cominci veramente a 18 anni… Ecco, come regalo, ci aspettiamo una nuova vita! Quella che stiamo vivendo, in realtà, già adesso. Una nuova nascita di questo spettacolo, che ha una vitalità e un entusiasmo enormi, sia da parte nostra, sia da parte del pubblico. Inaspettato e sorprendente. La cosa più bella è essere sorpresi. È l’incanto quello che ci tiene vivi e che ci spinge, poi, a fare questo mestiere.»
“Uno spettacolo totalizzante, che soddisfa il cuore, l’occhio e l’orecchio”. Il sapore della cultura per tutti i palati?
Matteo: «In Notre Dame troviamo la danza, i breaker, la recitazione… e lavoriamo su melodie e arrangiamenti creati apposta per questo tipo di spettacolo e per queste professionalità… Confrontandoci con Riccardo, ad esempio, è venuto fuori che lui non ha mai voluto esagerare negli arrangiamenti…
… per lasciare che le voci fossero libere di esprimersi al meglio; così come nelle percussioni usate per gli acrobati e i ballerini, dove fosse la danza a prevalere.»
Giò: «Notre Dame de Paris coinvolge tutti i sensi… Il segreto sta nel fatto che Riccardo non l’ha scritto su commissione, è uno spettacolo ispirato. Ed è fondamentale. Lui si è messo lì, piano piano, e ha impiegato tre anni; ha messo da parte due ore di musica, magari per farci un Notre Dame 2, chissà… C’era questo delirio compositivo, dal ‘93 al ’96, tra Riccardo e Luc Plamondon, l’autore dei testi: si vedevano, si incontravano… con un produttore geniale, Charles Talar, che ha sentito tutta l’opera al pianoforte… e ha prenotato il Palais des Congrès di Parigi, addirittura un anno prima. A scatola chiusa… Insomma, una di quelle magie che avvengono una volta ogni 20-30 anni nella vita… e noi siamo felici di farne parte!»
Entrando nel merito di Notre Dame, come ci si sente a rivestire – ancora una volta – i panni di Quasimodo?
Giò: «Rivesto i panni del gobbo con grande rispetto; il rispetto dell’artista (Riccardo Cocciante, che ha dichiarato di rispecchiarsi completamente in Quasimodo, ndr), il rispetto del personaggio, e soprattutto il rispetto di chi – questa condizione – la vive nella vita: io – da Quasimodo – mi sento addosso una responsabilità nei confronti di chi vive una disabilità, una diversità…
… Come fa a venirti a noia uno spettacolo che ti consente di far questo?»
Diciamocela tutta: non è forse che, alla luce della notorietà raggiunta, è un “abito” che adesso ti va un po’ stretto?
Giò: «Non mi sono mai posto il problema, né prima né dopo… Ho vinto Sanremo e Tale e Quale Show, eppure tutti continuano a identificarmi con il gobbo… ma non ne sento il peso sulle spalle. È un piacere! È un piacere perché riconosco la valenza e il bello che hanno Notre Dame. So di essere riuscito a giocare le mie carte e di avere dimostrato altro… Certo però che, se tra dieci anni, dovessi stare qui a fare ancora Notre Dame, magari ne riparleremmo…»
Pierre Gringoire, poeta narratore, interpreta “Il tempo delle cattedrali”, in cui la pietra sarà dura come la realtà. È quello il giorno che verrà?
Matteo: «Credo sia necessario lasciare ai giovani il modo migliore di formarsi e crescere, per affrontare questa nuova era digitale… E sarà ancora una realtà dura come la pietra, ma è la strada che abbiamo fatto tutti!»
… Ritornando alle cattedrali… Meglio edificare in Italia o in America?
Matteo: «Dopo Notre Dame, tornerò quasi sicuramente in America, per continuare a curare dei progetti come “If” (album pubblicato nel 2014, ndr). Lì ho delle porte ancora aperte, e possibilità da sfruttare.»
Nella bottega delle parole usate, qual è quella che vorresti sempre ritrovare?
Matteo: «Diligenza…
… Diligenza assieme a disciplina, rigore, impegno.»
Giò: «Passione. Immaginiamo Notre Dame de Paris come pura passione… La cosa difficile è trovare un obiettivo, e a me la musica ha cambiato la vita. L’ho capito presto, da ragazzo, quando lasciavo qualsiasi cosa, per stare al pianoforte. Mi ricordo che tornavo a casa da scuola e mi mettevo al piano, fino alle sette di sera. Rincasavano i miei, che prima di andare al lavoro mi avevano lasciato la tavola apparecchiata, e vedevano che tutto era rimasto intatto. A volte mio padre apriva la porta e io: “Chiudi la porta, ché sto suonando!”. Ero capace di stare al piano 7-8 ore, lì a suonare, a registrare… era il mio mondo.»
Gino Morabito