NEL PIANETA DI FRANCO MUSSIDA

Di Paolo Miano

Franco Mussida è sicuramente uno dei veri pilastri della musica italiana da ben oltre cinquant’anni.

Chitarrista e compositore all’interno della Premiata Forneria Marconi fino al 2015 ma anche arrangiatore e turnista in collaborazione con altri mostri sacri come De André e Battisti, più recentemente è anche scultore, ricercatore nell’ambito della pedagogia artistica e presidente del CPM Music Institute.

Compositore di uno dei grandi classici della canzone italiana, quella Impressioni di settembre che risulta essere la più gettonata dal popolo dei social per dare il benvenuto al nono mese dell’anno fra le tante che questo stesso mese ha ispirato.

«È una canzone che considero un regalo, perché mi è “arrivata” esattamente così come è stata poi prodotta. Quando l’ho scritta avevo ventitré anni e stavo per lasciare la casa dei miei genitori dove faticavo a vedere il cielo e condividevo la stanza con mio fratello. Questo brano è stato un’occasione per sancire un volo, il volo della mia vita. È stata una sorta di volontà di descrivere un momento da un lato nostalgico, perché dovevo lasciare la mia vecchia vita ma con davanti una prospettiva epica, fiduciosa, di libertà. La musica di questa canzone ha dentro un po’ tutto questo, rappresentato da quel riff di sintetizzatore ormai diventato iconico e che originariamente avevo pensato per sassofono e chitarra elettrica. Le parole di Mogol hanno poi fatto il resto, anche se forse resta l’unico brano nella storia della musica italiana ad avere come ritornello una frase musicale esclusivamente strumentale.»

Nonostante ciò, in un momento in cui si celebra il successo globale dei Maneskin, ci si dimentica che già cinquant’anni fa circa, fu proprio la PFM il primo gruppo rock italiano ad entrare nelle grazie degli ascoltatori anglofoni.

«Ma va benissimo così! Dei ragazzi che hanno successo all’estero vanno lodati. Ed anche se usano un linguaggio musicale che non è una novità, hanno comunque scritto un brano che può far riflettere non solo i giovani ma anche le generazioni adulte. Non mi dà affatto fastidio. È giusto che si parli di loro perché loro sono la contemporaneità. Noi quelle stesse cose le avevamo in parte già fatte ma l’album con cui siamo andati in classifica negli Usa, “Photos of ghosts”, alla grinta univa anche tanta morbidezza, con un approccio totalmente diverso. Erano altri tempi, usavamo sonorità meno graffianti, si affrontavano tematiche sociali come l’ecologia, si narrava di un’umanità che aveva bisogno di poesia, senza restare agganciata esclusivamente alle logiche di mercato. Adesso invece è il loro momento. Avanti ragazzi!»

Fra le tante collaborazioni con grandi artisti nazionali ed internazionali, è stata proprio quella con Pete Sinfield, produttore dei King Crimson ed autore dei testi in inglese della PFM, quella che Mussida considera la più gratificante.

«Ha saputo tradurre la nostra musica per i mercati internazionali, riscrivendo i testi completamente e trovando degli adattamenti davvero speciali anche dal punto di vista del suono. Le parole di Mauro Pagani erano sicuramente appropriate ma spesso erano più racconti che si sovrapponevano, mentre nelle versioni inglesi c’è soprattutto questa capacità di entrare nello spirito delle sonorità della musica. Poi resta anche nella memoria il fatto di aver suonato con gente come i Beach Boys o Santana, anche se si è trattato solo di episodi.»

Il 14 marzo 2015 annuncia l’uscita dalla Premiata Forneria Marconi per dedicarsi a tempo pieno al CPM Music Institute.

«È un istituto musicale che è nato trentacinque anni fa ed è equiparato all’università con diplomi che hanno validità europea. Siamo stati i primi in Italia a creare dei modelli particolari che consentono a tutti i ragazzi che lo vogliono di fare un’esperienza profonda della musica popolare, non soltanto per quel che concerne l’apprendimento di uno strumento ma anche per tutti gli aspetti creativi: composizione, arrangiamento, ingegneria del suono etc. È una realtà che integra tutte queste discipline in una struttura di 2500 mq e le promuove dando la possibilità ai ragazzi di interagire un po’ con tutti i settori. Abbiamo un teatro che permette l’esposizione pubblica agli studenti, la scuola apre due volte l’anno al mondo e da noi vengono produttori e musicisti di fama internazionale. Da noi sono usciti decine e decine di professionisti che lavorano ad esempio nell’orchestra di Sanremo o della Rai e anche artisti affermati come Mahmood o Chiara Galiazzo.»

Un successo derivato soprattutto da peculiarità didattiche vincenti proprie della scuola.

«L’attenzione alla persona è fondamentale perché soprattutto nella musica popolare ogni persona è un mondo ed ogni mondo va coltivato per quello che è, non costretto in modelli che creano solo omologazione. Questo è ciò che contraddistingue la nostra intenzione didattica. Certamente ci sono delle cose che devono essere fatte da tutti, dei prerequisiti, esami e colloqui da superare. Siamo abbastanza rigorosi perché la musica e il pubblico vanno serviti con dedizione ed impegno. È un percorso di vita importante che va oltre la semplice passione: la musica racconta chi siamo ed è un impegno che va preso sul serio.»

La ricerca della connessione tra la didattica musicale ed i suoi risvolti umanistici ha condotto Mussida anche fuori dalle mura scolastiche in percorsi rivolti ai più sfortunati, attraverso specifiche attività svolte in strutture carcerare o nella Comunità Exodus di Don Mazzi.

«Queste attività sono legate all’area di ricerca della scuola, di cui sono il diretto responsabile. È un ramo della nostra formazione che è partito nel 1987 nel carcere di San Vittore e che continua tuttora. L’attività in questi contesti così difficili ci ha dato modo di approfondire la connessione tra la comunicazione musicale e la struttura emotiva delle persone. Tutto questo ha prodotto dei risultati che sono raccolti in due libri, “Il pianeta della musica” e “L’oro del suono”, e che includono anche il progetto CO2 che ha portato audioteche di brani strumentali a disposizione dei detenuti in dodici carceri in Italia. Perché la musica non è soltanto un’arte espressiva ma anche una scienza umanistica e, se la si ascolta in maniera consapevole, si riesce ad avere un rapporto con sé stessi più chiaro, più comprensivo, più consolatorio. Soprattutto in luoghi del genere, questo significa entrare in relazione con il cuore della nostra vita, ovvero i nostri sentimenti, con i quali dobbiamo fare i conti, perché sono loro che orientano la nostra vita. Così, attraverso percorsi di ascolto, di lavoro, si riesce anche a dare un po’ di consolazione a queste persone che vivono in stato di costrizione – anche se per causa loro – in un territorio della società dove le libertà sono molto limitate.»

Il noto musicista fa ricorso anche a linguaggi artistici divergenti come la scultura.

«Ho iniziato nel 2011 per provare a raccontare agli ascoltatori quali sono gli scopi primari, naturali dell’esperienza musicale, cos’è di fatto la musica e come funziona il suo codice. Allora, per poterne parlare, ho tradotto i cinque elementi del codice musicale in opere ed in mostre esperienziali, per poter dialogare su questo aspetto, quello primario, che precede le forme musicali. La musica, prima di essere forma musicale, è come l’acqua, che si può trovare dappertutto in forme diverse, nelle bibite, nelle verdure. Così ho trattato i cinque elementi fondamentali del codice musicale – il timbro, il ritmo, il tempo, la melodia e l’intervallo/armonia – come se fossero cinque sostanze primarie, come una sorta di “miniera a cielo aperto”, come il ferro che prima di diventare un’automobile è contenuto nei minerali. Ho voluto parlare della forma pura della musica prima che venga manipolata per diventare canzone o qualsiasi altra forma ascoltabile ed è un percorso che continua tuttora.»

www.musicaintorno.it

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