NEGRITA, SULL’ONDA DELLE EMOZIONI

Di Ginevra Baldassari

Il lungo viaggio di una carriera seminata in provincia e sbocciata con uno sguardo sul mondo.

Denudati degli arrangiamenti elettrici, i brani del loro “MTV unplugged” staccano la spina ma, pur ammorbidendosi nel sound, ne risultano paradossalmente più incisivi, lasciando scoprire nuove sfumature e sottolineando i testi.

Dopo aver imparato a sognare, i Negrita coronano il desiderio di figurare tra quei nomi che hanno registrato i live acustici per MTV e che loro ascoltavano da ragazzi.

Partiti nel 2019 con il tour acustico, a tre date dalla fine, si è interrotto tutto.

«Quando la situazione si è riaperta, ci siamo resi conto che rimettere tutto in piedi solo per tre date sarebbe stato un limite.» esordisce Enrico “Drigo” Salvi «Noi avevamo voglia di suonare e il pubblico aveva bisogno di concerti, così abbiamo messo su un tour intero. All’inizio la location scelta per registrare era il teatro Dal Verme di Milano, perché il format unplugged prevede un’ambientazione al chiuso, ma essendo un tour estivo era impossibile farlo. Alla fine, abbiamo optato per l’Anfiteatro di Arezzo, per siglare l’abbraccio con la nostra città e il nostro pubblico con un live tanto importante e per la possibilità di seguire l’organizzazione di questa data così delicata, ogni volta che rientravamo a casa. Il tour acustico era un’esperienza che già conoscevamo e che ci aveva molto stimolato, anche per una questione di ambienti. Solitamente una band come la nostra suona nei palazzetti e invece per l’unplugged si va nei teatri, che sono degli ordigni favolosi per una performance. Sono nati per quello ed è veramente un’esperienza di valore, sia per noi che per il pubblico.»

Pezzi spogliati e arrangiati liberamente per poter avere un’altra vita.

«Nel fare la scaletta abbiamo avuto la possibilità di lasciarci andare sui brani che più ci intrigava sentire in chiave acustica. Era una scommessa provare ad arrangiare un pezzo che nella versione originale magari ha un vestito molto duro o aspro, oppure pieno di strumenti che possono coprire la voce e il testo. Ogni pezzo, per qualche motivo, si chiamava da solo all’interno di questa scaletta e si prendeva il proprio tempo per l’arrangiamento.»

Non una scelta razionale, quanto piuttosto emotiva, quella dei brani, a volte dettata anche dall’importanza de testo.

«Scrivere i testi per noi è il momento più complicato, la nostra è una band molto musicale e a tutti noi piace avere uno strumento in mano. Comporre mette insieme la tua preparazione di musicista e l’istinto, il gusto, è una cosa molto immediata. Scrivere un testo è invece un lavoro che a volte richiede mesi, perché il contenuto è importante. Rimango sconvolto quando in “Get back” (il docu-film sui Beatles, N.d.R.) vedo Paul McCartney che, mentre suona il pianoforte, detta le parole di “The long and winding road” al suo assistente e se la scrive così. Con gli altri in sala. Credo possa capitare soltanto a dei geni come loro. Evidentemente sono stati lanciati sul pianeta da qualche altra dimensione per ricordarci quali sono i picchi che può raggiungere l’uomo.»

Il modo in cui i Negrita hanno vissuto la loro carriera ha qualcosa di speciale, rispetto ai percorsi abituali.

«Con 27 anni di carriera alle spalle, a far da collante è soprattutto il nostro vissuto all’interno della band. Attraversare un periodo di tempo così lungo non è sempre facile, perché cambiano le cose, cambiano gli equilibri. Crescendo si è creato un modo di operare che è quello di andare a comporre viaggiando, non solo in Italia, ma in giro per il mondo, e questa nostra attitudine ci ha resi mentalmente aperti e cosmopoliti, ci ha dato la possibilità di essere nel qui ed ora non della nostra città, non del nostro ambiente, ma del mondo, del pianeta, ed è un valore che ti rimane e che è importante per le vite di ognuno di noi. A 50 anni compiuti, abbiamo un vissuto di persone che ne hanno 200. Al di là del successo, delle gratificazioni che possono arrivare, ti rimane questa ricchezza che non è economica ma interiore e che, anche nelle cose piccole della vita, fa di te un uomo di mondo, con tante esperienze alle spalle. Nella follia che può avere un artista, un musicista, questa esperienza genera saggezza.»

La nascita, la gavetta.

«Siamo nati nei club e, tornando ai Beatles, quella telepatia straordinaria che hanno loro, quell’affinità nel capire l’accordo, nel capire quando cambiare, deriva dal fatto che la band, prima di diventare famosa, sia passata sera dopo sera prima al Cavern e poi ad Amburgo. Hanno suonato tutte le sere per mesi, e questo ha fatto di loro una macchina da guerra incredibile. Noi siamo nati nei club proponendo canzoni nostre alternate a cover di artisti blues pressoché sconosciuti, che rivestivamo con gli arrangiamenti e il sound che stavamo cercando per il nostro gruppo. L’obiettivo, quando suoni in un club, è quello di far sì che la gente rimanga, si diverta e consumi. Questo ci ha dato la possibilità di testare i nostri pezzi, perché sapevamo di proporre brani con un gran potenziale. È stata la palestra che ci ha allenati al nostro stile.»

Il viaggio e la ricerca artistica.

«Un altro momento ben preciso della nostra carriera è stato intorno al 2004. Il batterista storico ci aveva lasciati, il panorama musicale rock internazionale non ci dava troppi stimoli e, in quello che poteva essere un momento di crisi, siamo partiti per un viaggio lungo e fatto di concerti in posti che non conoscevamo e in cui noi non eravamo conosciuti. Abbiamo attraversato il Sudamerica con l’intenzione, città per città, metropoli per metropoli, di cercare nuova musica, e siamo tornati con l’album “L’uomo sogna di volare” che contiene per esempio “Rotolando verso sud” e che ha dato al nostro pubblico la sensazione che non fossimo più una band squisitamente rock ma anche aperta alle influenze che si possono trovare lungo il cammino. Abbiamo capito che, attraverso il viaggio, profondo, spirituale, la nostra linfa avrebbe potuto arricchirsi continuamente. Anche l’album successivo “Helldorado” è stato scritto e composto attraverso un viaggio importante in Spagna e in Argentina e ne è venuto fuori un disco molto latin, che contiene “Gioia infinita” e altri pezzi che hanno funzionato tanto. Mentre viaggi, e lo fai attraverso la musica, ti viene sempre incontro un’umanità positiva, sorridente.»

In tour con le figlie.

«Le nostre figlie ci hanno accompagnato in tour, si chiamavano le “Negritine”. Nonostante ci siano anche figli maschi, sono prevalentemente le ragazze che sono volute venire. È stato bello far vedere loro, in età ormai preadolescenziale o adolescenziale, quindi abbastanza adulta, il lavoro che facciamo. Anziché assistere alla scena del padre che va, torna e se ne riparte, vederci in azione ha permesso loro di capire e apprezzare il tipo di lavoro che facciamo. Ogni tanto a qualcuna viene voglia di accostarsi al mondo musicale.»

Fare musica non è solo intrattenimento, non è solo business, è qualcosa che fa bene a tutti. La musica si muove come le onde, in modo irregolare.

«Ci sono fasi storiche, a volte l’uomo passa dei momenti in cui viene prodotta e gradita grande musica, grande arte, e altri momenti, spesso lunghi, in cui viene prodotta e assorbita arte che vende. C’è proprio una differenza abissale tra quando si fa quello che funziona e che tutti seguono e quando invece, nel mondo o nel pianeta, capita di assistere a momenti in cui filtra tra la gente qualcosa di profonda qualità.»

Il successo dei Måneskin lascia presagire un ritorno agli strumenti.

«C’è un segnale che fa ben sperare. Anziché considerare che c’è ancora una fetta di pubblico che gradisce ascoltare questo genere, preferisco pensare che le cose, come il mare e come i telefonini e tutto il resto, vadano a onde. Ci sono epoche in cui qualcosa crea entusiasmo e l’interesse cresce, ma poi pian piano l’onda prende un’altra piega, le cose cambiano e io vedo come incoraggiante che ci sia questo fenomeno, tra l’altro a livello internazionale, di quattro ragazzi che suonano e se la cavano benissimo anche nella figura di rockstar, che sono all’altezza della situazione in cui si trovano, sono credibili e si porteranno dietro tanti altri giovanissimi che vorranno imitarli. Spero in una nuova ondata di musica suonata.»

Voglia di seguire emergenti, scoprire talenti.

«Ad Arezzo c’è una struttura molto grande, che è diventata nel tempo un relitto urbano, su cui il comune ci aveva chiesto di lavorare per far sì che diventasse un polo culturale pensato per il mondo giovanile. Abbiamo coinvolto anche altre entità che si occupano di cultura, di arte e di spettacolo ad Arezzo, per farne un centro che possa diventare scuola di musica, di danza, per tecnici che lavorano nel mondo della musica e locali per concerti. Un polo importante di aggregazione e di formazione di giovani dal punto di vista artistico.»

Esprimersi, in musica e nel disegno.

«Nel 2006 avevo pubblicato per Mondadori un libro che raccoglieva racconti e pensieri brevi, alternati a disegni che avevo fatto sul percorso. Da sempre mi porto dietro un quaderno, penne e matite e spesso sento il bisogno di appuntarmi i momenti speciali che in questa vita fortunata, piena di viaggi e di incontri, mi capita di vivere. Mi ritrovo a questo punto e a quest’età con tanti quaderni e tantissime pagine scritte e disegnate. È un’attività che non ho mai condiviso troppo perché sono momenti estremamente intimi e personali. Ho tantissimi spunti che mi ricordano altrettante storie e, visto che scrivere canzoni ha a che fare con il raccontare storie e sentimenti, trovo che quest’altra formula espressiva sia complementare al fare musica. Questi quaderni hanno a che fare con la mia vita da Negrita e mi danno la possibilità di raccontare tutto quello che non riesce a passare attraverso le canzoni. Non trovo grossa differenza tra il fare musica e fare disegni, cambia soltanto l’oggetto che ho in mano. Che sia la chitarra o la matita, in quel momento sento che sto facendo quello che sono nato per fare: raccontare, raccontare, e trasmettere emozioni.»

www.musicaintorno.it

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