NADA MALANIMA. QUANDO IL MESTIERE D’ARTISTA LASCIA IL SEGNO

nada1_musicaintorno«È questo un mestiere che ci consente di essere liberi e di gestire quello che si fa in modo personale. Io lo faccio da anni.»

Il mestiere a cui allude è quello dell’artista a tuttotondo, lei è Nada Malanima, o più semplicemente Nada.

Talento da vendere, rappresenta a pieno titolo l’eclettismo nell’arte.

«È la continuità nel raccontare quello che succede; l’evoluzione di una persona e della musica;» continuando la cantautrice di Gabbro (LI) «è la tua espressività molto personale, che può illuminare qualcuno e che lascia un segno.»

Da “Ma che freddo fa” (con cui debutta al Festival di Sanremo 1969 a soli quindici anni) all’incontro con Ciampi, passando per il pop di “Amore disperato”, il percorso di una Signora della Musica verso il cantautorato, che testimonia la piena libertà di espressione.

Nell’attesa di sentirla dal vivo con A Toys Orchestra, il prossimo 22 ottobre a Bologna, eccovi – nero su bianco – il racconto inedito di un’artista senza tempo, che ci ricorda a gran voce e lo canta: “L’amore devi seguirlo”.

“L’amore devi seguirlo”. Dove speri che ti possa portare?

«Spero che l’amore sia sempre una costante nella vita di tutti, ma tendo all’amore universale, quello che fa sì che gli esseri umani si vogliano bene. Spero che la vita possa essere più semplice per tutti, perché, quando c’è l’amore, tutto funziona meglio. Non bisogna mai perdere le speranze. Poi, in questi anni, di questi tempi, in cui d’amore ce n’è così poco, credo che quella frase sia davvero azzeccata.»

In cosa spera Nada Malanima?

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«Ognuno di noi spera sempre in qualcosa; la speranza ce l’hai anche quando non ti rendi conto; speri che la persona, per cui hai delle preoccupazioni, riesca a risolvere i propri problemi… È un continuo sperare, sperare sempre che le cose vadano per il meglio. Certamente non basta solo la speranza; la speranza è un sentimento consolatorio, ma è necessario agire.»

Riprendendo il percorso già iniziato, il singolo di lancio del disco è “La canzone dell’amore”, scritto con The Dreamers, un gruppo di ragazzi disabili fiorentini. Un po’ come dire che l’amore si nutre delle diversità? Ma non è retorica?

«Parlare di diversità, per me, non ha senso. Oggi, come sempre, è difficile capire quando uno stia nel giusto, nella “normalità”, o fuori della norma… Quelli che vengono definiti “disabili mentali” sono persone che ti possono sorprendere, dal punto di vista affettivo, dei sentimenti… proprio perché vivono una dimensione loro del mondo, che li rende un po’ più impermeabili alle cose che accadono.»

… Prima sottolineavi l’aspetto della sorpresa… Tu da che cosa ti lasci sorprendere?

«Ancora riesco a sorprendermi per tante cose. Non sono una che pensa che sia già tutto chiaro e manifesto, anzi mi sento punto e a capo ogni volta. Tutto mi sorprende: quando una persona compie gesti meravigliosi, quando succedono delle cose belle… è una sorpresa positiva. A volte, purtroppo, le sorprese sono anche negative, quando ci sono accadimenti che ti fanno soffrire, o che fanno soffrire gli altri. La vita sorprende sempre, deve sorprenderti. Perché, se non ti sorprende, allora vuol dire che sei piatto e non provi più la curiosità. Io, ad esempio, sono una persona molto curiosa, sperimento e mi lascio sorprendere. Sempre.»

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Continuiamo a indagare quel sentimento… Nel 1983 esce “Smalto”, trainato dalla celeberrima “Amore disperato”, uno dei brani italiani simbolo degli anni Ottanta. Oggi, invece, quale potrebbe essere un pezzo-sintesi della nostra contemporaneità?

«In generale ascolto prevalentemente musica non italiana, perché ho cominciato così negli anni Settanta e poi gli inizi te li porti dentro… Più che di pezzi, parlerei di gruppi: così, su due piedi, ti direi i Radiohead, i Sigur Rós, Björk… Ecco, Björk è un’artista che esplora molto la nostra contemporaneità.»

Da Björk al “piccolo mondo indy” il passo è breve. Che panorama si intravede all’orizzonte?

«Ci sono sempre più piccole realtà indipendenti e le grandi major si sono un po’ ridotte e accorpate. Non sono una che segue molto quel genere di cose tecniche, preferisco occuparmi dell’aspetto più squisitamente creativo… Ma c’è un gran fermento! Poi, di che tipo di movimento si tratti, sarà la storia a dirlo.»

Gran fermento! E col talento come la mettiamo?

 

nada4_musicaintorno«Il talento c’è o non c’è. È vero che si affina con la pratica, con le scelte che si fanno, con l’intelligenza… e che ci vuole passione… Ma, quando c’è il talento, alla lunga viene fuori. È la continuità nel raccontare quello che succede; l’evoluzione di una persona, della musica; integrarsi in qualcosa che è tuo, ti appartiene…

… è la tua espressività molto personale, che può illuminare qualcuno e che lascia un segno.»

Rilancio sul talento: ti piacerebbe portare la tua esperienza umana e artistica, ricoprendo il ruolo di giudice in un talent?

«Sinceramente non c’ho mai pensato e nessuno ci ha mai pensato, e questo già la dice lunga. Ne so poco di quel mondo lì, ma non piace giudicare; soprattutto dare giudizi a persone in balia di esperti, che dovrebbero saperne… Mi sento ogni volta all’inizio; non posseggo alcuna verità rivelata, né ho consigli da elargire… pertanto, non credo di essere la persona ideale per il mondo dei talent. Diciamo che, in questo momento, non è nei nostri pensieri.»

Nada Malanima talento ne ha da vendere e rappresenta a pieno titolo l’eclettismo nell’arte, avendo abbracciato la tv, il teatro, la scrittura e la musica ovviamente. Qual è l’aspetto del processo artistico che più ti affascina?

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«Il momento creativo che prediligo è quello di scrivere le mie canzoni, occuparmi del lavoro di scrittura. Ed è una scoperta che mi ha dato la forza di superare tante difficoltà, anche rispetto alla credibilità artistica… È il momento più alto della creatività, in cui tiri fuori quello che sei e ciò che senti… Il dover raccontare, presenziare, promuovere… avendo magari contatti con tanti di cui realmente non ti importa nulla… ecco, quello rappresenta la fatica di chi fa questo lavoro. Per il resto, mi trovo molto a mio agio… anche a scrivere libri, ma in quel caso si tratta di un’esperienza totalmente diversa. È proprio un altro modo di lavorare la parola.»

Sei più per la parola “visiva” o per quella “musicale”?

«Risposta difficilissima. Dipende dal momento che sto vivendo mentre scrivo. Adesso, per esempio, che ho ripreso la chitarra e ricominciato a suonare, in studio da me, ho proprio voglia di scrivere canzoni. È un momento elettrizzante, che mi fa venir voglia di non uscire. Quando sei così, vuol dire che sei al punto giusto e le idee vengono fuori.»

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Per occupare poco spazio, puoi mettere nello zaino una sola canzone. Poi si parte. Quale porteresti con te? E soprattutto perché?

«Sceglierei “Il tuo dio” (brano contenuto nell’album “Occupo poco spazio” del 2014, ndr), in quanto trovo sia una canzone che racchiude i reali sentimenti delle persone. È sempre la storia dell’amore che viene fuori, assieme a un forte bisogno di libertà di esprimere ciò che si è davvero, senza maschere. È una canzone molto contemporanea.»

 

 

Gino Morabito

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