MISS EASY LADY, IL RACCONTO PROFONDAMENTE UMANO DI IVANA SPAGNA

«La gavetta sono le fondamenta di questo mestiere, la palestra» in un confronto a tu per tu con Ivana Spagna. «Ti insegna a costruire, ad incassare i colpi presi, lungo un percorso accidentato che impari ad affrontare un po’ alla volta. La gavetta ti insegna l’arte della pazienza.»

Quella stessa pazienza che, insieme a una passione incrollabile e un’ostinata determinazione, ti fanno meritare il successo. E, quando il successo arriva, allora lo vivi come una grazia ricevuta: «Il Cielo mi ha fatto un grande dono: fare della mia passione un lavoro!»

Con oltre dieci milioni di dischi venduti, l’artista originaria di Valeggio sul Mincio (in provincia di Verona) resta semplice, terrena, entusiasta. Entusiasta per i nuovi progetti discografici dietro l’angolo e per quella musica pop melodica trasversale a tre generazioni: forte, aggressiva, dolce, romantica… Un po’ come la personalità di una donna, che si è raccontata a cuore aperto, senza filtri, facendomi entrare nelle piccole pieghe di un’anima sensibile e solitaria. Come i suoi gatti.

In una narrazione di sé straordinariamente partecipata, lirica, accorata, Miss Easy Lady mi ha confessato che per lei è un bel regalo, quando le capita di leggere delle interviste che non travisino le sue parole, in cui riesca a riconoscere la propria essenza artistica così com’è. Speriamo, cara Ivana, che questa sia una di quelle.

La ventata di freschezza latina arrivata al ritmo di “Cartagena” è foriera di grandi novità discografiche in casa Spagna. Ivana, raccontaci qualche anticipazione.

«C’è un disco nuovo di zecca, che esce dopo sette anni dall’ultimo album in studio: tutti pezzi inediti, fatta eccezione per “Cartagena” con Joy Santos, “Amici per amore” con gli Audio 2 e una cover riarrangiata di Biagio Antonacci, “Se io, se lei”, che amo profondamente. Nella composizione del progetto ho voluto spaziare, seguendo il mio cuore, e, oltre alle canzoni scritte da me, sono presenti brani di diversi autori, tra cui Luca Chiaravalli. Durante gli ascolti, quando sentivo qualcosa che mi dava emozione, mi dicevo: “Questa è quella che deve entrare nell’album!”.»

Molteplici sfaccettature di un nuovo progetto artistico che segue il tuo stile inconfondibile.

«Si spazia tra i generi musicali più vari, addirittura c’è un brano che va verso il rap… È un disco cantato in italiano e ricco di sorprese, dove tutte le canzoni sono state fortemente volute da me! È un lavoro dalle molteplici sfaccettature ma con un unico filo conduttore, che è e rimane il mio modo di interpretare le canzoni, seguendo il genere pop melodico. È stato un progetto che mi è piaciuto molto realizzare e ci ho messo dentro tutto l’entusiasmo che ho. Adesso speriamo che possa piacere anche al pubblico!»

Entusiasmo e sacrificio, due costanti nel percorso umano e professionale di un’artista che ha venduto oltre dieci milioni di dischi.

«È una vita che faccio sacrifici, da quando diciottenne ho formato il primo gruppo, con dodici anni di gavetta alle spalle, quella tosta, senza soldi in tasca e senza la possibilità di mangiare decentemente. Nel cassetto solo una grande passione per il canto e tante cambiali da pagare. Ma il Cielo mi ha fatto un grande dono: fare della mia passione un lavoro! E, quella stessa passione, quell’entusiasmo che avevo da ragazzina e che riversavo nelle prime produzioni discografiche, sono rimasti immutati nel tempo, non sono invecchiati di un secondo.»

Ivana Spagna è un’artista pop trasversale a tre generazioni. Ti capita mai di pensare di appartenere a un genere musicale che, nel tempo, è mutato così tanto, da aver preso delle forme talmente differenti rispetto all’originale, che ne stanno decretando la scomparsa?

«Mi sono resa conto che stiamo voltando pagina: il genere pop melodico non esiste più, ha ceduto il posto al rap, alla trap, le nuove tendenze giovanili. Un genere in continua evoluzione, dove però manca la melodia. Sono molto rare quelle canzoni in cui è presente anche la parte melodica, che è poi quella che fai tua e ti tieni per sempre dentro. Un po’ come succedeva con la dance degli anni Ottanta, che ti portavi fuori dalla discoteca, a casa, canticchiando quella canzone sotto la doccia. Perché, se puoi canticchiarla, ti resta dentro.»

Dance, passione e testardaggine ti hanno portato al successo internazionale di “Easy lady”. Era il 1986. Qual è la prima regola che osservi nella vita?

«Ho una regola di vita che si chiama rispetto, il rispetto verso sé stessi e verso gli altri. Ognuno di noi combatte giornalmente nel tentativo di ottenere qualcosa, per cui bisogna avere profondo rispetto della fatica degli altri. Se tutti fossimo capaci di osservare questa semplice regola di vita, il mondo sarebbe un posto migliore.»

A fronte di così tanta determinazione e voglia di riuscire, ci confesseresti qualche piccolo difetto?

«I difetti dovrebbero raccontarteli chi mi conosce bene… Il fatto di essere così cocciuta, ad esempio, può essere visto anche come un difetto: una che si mette in testa una cosa e non molla, fin quando non la ottiene, va incontro inevitabilmente a dei rischi; è un atteggiamento con dei forti limiti, come toccare il fondo di quella situazione in cui ti sei buttata a capofitto, precludendoti altre possibilità. Un altro difetto – se così si può chiamare – è quello che non vado in vacanza dal ’96. Sì, hai capito bene, dal ‘96! Perché, quando non lavoro, me ne sto a casa con i gatti. Sono una solitaria.»

Appartieni a quella categoria di persone che crede fermamente nel potere del silenzio, nella beata solitudine?!

«Ho scritto “Lupi solitari” perché mia madre mi chiamava in quel modo. Sono una donna che riesce ad assaporare la solitudine, anche se a volte mi fa male. La trascorro con le mie creaturine, i miei gatti, ed è il tempo meglio speso. Non sono una persona che ama la mondanità e raramente partecipo a delle feste (a meno che non si tratti di eventi a scopo benefico!). Certo, magari ogni tanto mi concedo una cena con gli amici e vado a trovare mia cugina… Sono questi i rapporti che ho con le persone e con la vita. Come amo ripetermi: “Non mi piace andare a sprecare il tempo per il nulla!”. Almeno in questo modo riesco a coltivare i miei affetti.»

Restando in tema del tuo rapporto con la vita, l’ultima volta che ci siamo incontrati ci hai raccontato che, nei momenti di maggiore successo, ti sei fermata e hai pianto.

«Nei momenti più belli, quelli in cui mi hanno tributato riconoscimenti importanti, quando ti sembra di toccare il cielo con un dito, mi accorgevo che la sera, una volta a letto, ero da sola. Ero sempre lì da sola, con il mio bel trofeo, il riconoscimento, la mia vittoria… e con la mia solitudine. E allora piangevo.»

Sei una donna che piange spesso, Ivana?

«Sì, piango spesso. E ce ne sono di motivi per piangere… Mi fa male vedere la sofferenza, le sanguinose guerre civili combattute nei notiziari: bambini che crescono e muoiono dentro quegli inferni voluti esclusivamente dal dio denaro. Mi fa davvero male! Ho pianto per i terremoti, per quella gente che ha perso tutto in un attimo. Piango per la sofferenza, quella stessa sofferenza che ho provato, accompagnando i miei genitori nel doloroso cammino contro il terribile male dei tumori… Davanti a quella sofferenza sono impotente, e allora mi viene proprio voglia di piangere.»

In un mondo come il nostro dove conta soprattutto apparire, dover mostrare necessariamente il sorriso, credi possa essere considerata un’arma vincente la fragilità?

«No, penso proprio di no. Anche se sono triste e sto male, sorrido sempre. È un atteggiamento naturale. Sono un personaggio pubblico, dello spettacolo, e, sul palco, quello che devo alla gente è un po’ di serenità. Allora mi viene naturale regalare un sorriso. Sono come un gatto che, quando sta male, non si fa vedere da nessuno. Mi tolgo dalla vista, mi ritiro in stanze d’albergo, mi nascondo. Quando sono in mezzo alla gente, cerco sempre di regalare un sorriso. Il sorriso è davvero un bel dono che si può fare agli altri.»

Qual è, invece, il più bel dono che hai ricevuto, come donna e come artista?

«A volte mi capita di leggere delle interviste dove mi hanno descritta realmente come sono da artista. Ecco, quello è un bel regalo! I più bei doni, però, li ho ricevuti dal Cielo, e me li porterò sempre dentro: due genitori stupendi, che hanno tirato su una famiglia con tutto l’amore che riuscivano a dare. Questo è il regalo più bello della mia vita: una cosa che ho dentro e che nessuno riuscirà mai a portarmi via. Qualcosa che farà parte per sempre dei miei ricordi, e i ricordi non te li porta via nessuno.»

Sei una donna felice, Ivana?

«Vivo tanti piccoli momenti di gioia, ma non credo sia quella la vera felicità. Ho sempre un’ombra dentro, una malinconia che è data dalla realtà che abito, forse anche dalla solitudine che ho voluto.»

Buttarsi a capofitto nel lavoro è un buon palliativo per quel senso di solitudine. E tu sei una donna che per lavoro viaggia tanto. Cosa non deve mai mancare nel tuo bagaglio?

«Nella mia borsetta ci sono sempre la cipria e la pillola per l’emicrania. Ricordo che, già alle elementari, andavo a scuola con la pastiglia per il mal di testa in tasca. Purtroppo, ho sempre sofferto di terribili emicranie e, quelle pilloline che me le fanno passare, non possono mai mancare nel mio bagaglio.»

Dov’è che vorresti ancora arrivare?

«In un luogo dove posso trovare un po’ di serenità. Sono sempre alla ricerca di questa gemma preziosa, e non sono ancora riuscita a trovarla.»

Nel libro “Sarà capitato anche a te” metti a nudo le tue esperienze legate al mondo dell’invisibile, dove il messaggio da divulgare è: “Non finisce qua! Questa non è l’unica vita.”. Se, per un giorno, avessi la possibilità di creare una realtà parallela, destinata ad esaurirsi nell’arco di 24 ore, quale sarebbe la prima cosa che faresti?

«Andrei a cercare quella realtà dove ritrovo i miei genitori, mi basterebbe questo.»

 

Gino Morabito

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