MERAVIGLIOSAMENTE BIANCA ATZEI

Sul cenno del saluto, le chiedo di definirsi con un aggettivo. Veronica prende tempo, ci pensa, si imbarazza un po’. Con fare complice: «L’aggettivo lo vuoi bello o brutto?» Sorridendo divertita chiama in soccorso un’amica fidata: «Sono proprio curiosa a di sapere come mi vede Valentina.» E lei chiosando: «Solare e complicata.»

Bianca Atzei, solare e complicata.

Potrebbe essere il titolo dell’intervista, se non fosse che l’artista nata a Milano è fuoco sul ghiaccio, talento e bellezza, sensibilità e scommessa. La scommessa di puntare su sé stessa e vincere. Sbaragliare la riservatezza, per raccontare senza filtri la parte più semplice, normale, umana di un’interprete che fa emozionare. E si emoziona. Se Veronica avesse chiamato in soccorso me, le avrei risposto: «Meravigliosamente Bianca Atzei.»

Dall’Arena di Verona al palco di San Siro e dell’Olimpico, passando per Sanremo e il Blu Note. Qual è la prossima esperienza artistica che sogna di realizzare Bianca Atzei?

«Sicuramente un nuovo album è tra i miei sogni, con l’esigenza di dire delle cose diverse, affrontare delle tematiche differenti rispetto a qualche tempo fa.»

Tra gli ultimi progetti discografici hai pubblicato “La mia bocca”, un testo fresco ed immediato dal sapore estivo.

«È un pezzo nato un po’ per caso, con una melodia anni Settanta, un po’ retrò, ma dai suoni più moderni. Con Antonio Marcucci, chitarrista e co-produttore dei Tiromancino, abbiamo cercato di realizzare qualcosa che si allontanasse un po’ da quelli che sono i canoni classici dei tormentoni estivi in stile reggaeton, mantenendo comunque l’intenzionalità di una canzone dai toni leggeri, spensierati, vacanzieri. E così è nata “La mia bocca”.»

La tua è una bocca più propensa a chiedere scusa o a perdonare?

«Di certo a chiedere scusa! Quando mi accorgo di dover chiedere scusa, lo faccio subito, ci metto un secondo. Perdonare mi riesce più difficile, poi dipende… non bisogna perdonare sempre tutto.»

Ti capita spesso di emettere dei giudizi?

«Su me stessa probabilmente sì, sugli altri no. Non amo giudicare. Da ragazzina, magari, mi sarà capitato di emettere dei giudizi (è tipico di quell’età!) ma, crescendo, mi sono resa conto che, quando incontri una persona, provi ovviamente delle sensazioni a pelle, ma giudicare non mi appartiene, non è nella mia indole.»

Come giudichi, invece, te stessa?

«Sono molto obiettiva, tendente al pessimismo. La verità è che non mi basto mai! Non mi basta mai quello che faccio e quello che do. Sono sempre alla ricerca di qualcosa in più.»

Continuando a spostare l’asticella più in là, sei stata scritturata nel musical di Alfonso Lambo, “Men in Italy”. Com’è essere donna in un mondo di uomini?

«Quando dici musicista, in genere il pensiero va a una figura maschile, per un retaggio culturale che ci portiamo ancora dietro. Proprio per sfatare quel preconcetto, quest’anno ho voluto fortemente sul palco con me una chitarrista donna: due ore filate di live… e lei tiene botta!»

La dimostrazione che… oltre le gambe c’è di più.

«In una cantante bella, telegenica, può accadere che la voce passi in secondo piano rispetto all’estetica. Nel mio caso, ad esempio, è acclarato quello che riesco a trasmettere e a far provare attraverso la mia voce, con la mia interpretazione, ma è stato percepito dopo l’aspetto fisico. È successo! Così ho realizzato di dover lavorare sulla mia immagine, evitando il trucco eccessivo, decidendo di non indossare la gonna… Poi, grazie anche all’esperienza de “L’isola”, è cambiata la percezione che si aveva di me.»

“L’isola dei famosi” ha portato alla luce una Veronica autentica, senza filtri.

«Sono stati tre mesi in cui mi sono raccontata, mettendomi a nudo, dando la possibilità al pubblico da casa di scoprire una parte di me che prima non conosceva: la parte più semplice, normale, umana.»

In tutta semplicità, che consiglio darebbe Bianca Atzei alla ragazza degli esordi?

«Alla Veronica degli esordi consiglierei sicuramente di avere più palle, di essere più forte, corazzata. A ventidue anni non avevo ancora l’esperienza necessaria per fare questo mestiere…»

… Un mestiere che ti ha fatto entrare nelle grazie del pubblico. Nel tuo percorso umano e artistico, con che cosa fa rima cuore?

«Un po’ con tutto quello che ho dovuto affrontare nella mia vita: dall’operazione al cuore a una delusione d’amore importante, al ritrovamento della mia serenità interiore.»

Una serenità interiore che si percepisce dall’esterno, quando ti relazioni con gli altri, sul palco. Sono curioso: osservi qualche piccolo rito scaramantico prima di entrare in scena?

«Come di consueto, prima dell’inizio di ogni concerto, c’è la pacca sul sedere con i miei musicisti, il manager, i tecnici. Poi si entra in scena.»

On stage è live allo stato puro: il linguaggio preferenziale per veicolare le emozioni. Cosa provi mentre canti? Qual è il momento in cui ti emozioni maggiormente?

«Ogni canzone è a sé, è un’emozione diversa. Ma l’emozione è sempre presente. Dipende anche dal pubblico, da come reagisce, se è carico, emotivo… Quando canto “Ora esisti solo tu” mi capita spesso di vedere delle persone che piangono… Ci sono stati alcuni concerti nei quali invitavo a salire sul palco una coppia di ragazzi e dedicavo loro quella canzone. La casualità ha voluto che, il più delle volte, si fosse trattato di una coppia in procinto di sposarsi, per cui l’emozione si è amplificata.»

 

Porti in giro musica, solarità, bellezza… attraverso “Il nostro tour 2019”: un concerto per il pubblico con il pubblico.

«Con il mio pubblico ho un rapporto bello ed emozionante. A fine concerto, salto come una pazza dal palco e mi butta tra la gente. Non c’è quella piccola pausa di 5-10 minuti dopo l’esibizione. Sudata, scendo dal palco e vado verso il pubblico… i selfie, gli abbracci, i sorrisi… Mi rendo conto che quest’atteggiamento è molto apprezzato: si riesce ad instaurare un contatto più diretto, intimo.»

 

Gino Morabito

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