MATTEO MACCHIONI, UNA VOCE CHE SI SVELA

Di Ginevra Baldassari

Dopo dieci anni di carriera calcando i palcoscenici dei più prestigiosi teatri d’opera del mondo, prestando la sua voce da tenore ai più celebri personaggi, Matteo Macchioni conserva in sé lo sguardo innocente e l’entusiasmo di un bambino, nel suo dedicarsi all’arte senza porsi limiti.

La musica nasce come esigenza e poi diventa strada.

«Da piccolino per me era soprattutto il ritmo, il fare rumore a tempo. A tre anni distruggevo pentole, padelle, qualsiasi cosa mi trovassi tra le mani, poi a quattro anni Babbo Natale mi regalò una batteria. Quella è stata la prima esigenza. A sei ho iniziato a studiare. II maestro di musica mi disse che sarebbe stato meglio cominciare da uno strumento più completo, così ho preso lezioni di pianoforte. Ma il primo imprinting, la prima cosa che mi ha affascinato da bimbo, era il ritmo. La voglia è rimasta intatta e, non appena ho una batteria a disposizione, mi metto a “strimpellare”, magari durante il soundcheck chiedo al batterista di spostarsi e mi siedo io al suo posto, per puro divertimento.»

Un pianista con un crescente interesse per il canto.

«Sono un figlio del mio tempo, cresciuto con la musica che avevo intorno. Non provengo da una famiglia di melomani. Al conservatorio, in cui ero entrato come pianista, mi capitava di accompagnare i cantanti della classe di canto lirico. Quindi il primo approccio è stato attraverso il pianoforte, e non è che mi piacesse tanto. Ma sono proprio le cose che magari disprezzi, che poi ti vengono incontro. Poi qualcuno mi fece notare che la mia voce squillava e cominciai a prendere lezioni di canto.»

Una voce che si svela.

«Non sono io che l’ho cercata, quand’ero piccolo avevo paura della mia voce. Mi spaventava avere un microfono davanti e cantare, ero molto timido e mai avrei pensato di diventare un cantante professionista.»

L’evoluzione, lo studio, i debutti.

«Avevo fatto un percorso formativo diverso, attraverso il pianoforte, ero musicista, ma sono stati i debutti nel canto e i consigli e le valutazioni degli addetti ai lavori a far maturare in me la consapevolezza di questa professione che oggi mi porta in giro per il mondo. Come accade per tutti, è una serie di fattori che ti spinge in una direzione. Una parte è il talento innato, ma ci vuole anche fortuna. A volte la fortuna te la devi propiziare, a livello mentale, perché se tu stesso non ci credi, allora non ci crede nessuno.»

L’indescrivibile emozione del palco.

«Quell’ansia, la paura, poi si trasformano in energia. Fare l’artista è un mestiere complesso, difficile, ti toglie tanta forza, si deve bilanciare la componente ansiosa. Ti sottoponi sempre, comunque, costantemente, al giudizio del pubblico. Finita una performance, è come se ti fossi svuotato e non avessi più niente da dare.»

Un sogno lastricato di sfide e di grandi vittorie.

«Al mio debutto a Salerno avevo talmente paura, che ho fatto tre segni della croce prima di entrare in scena. Ero ancora uno studente, non ero pronto vocalmente, mi sono buttato allo sbaraglio. La metto tra le esperienze positive perché è stato un momento fantastico, lì ho capito che ce l’avrei fatta, che era la mia strada.»

Il silenzio è la medicina migliore.

«Sono un atleta, tutti i giorni faccio 5 km di corsa. D’inverno mi copro fino agli occhi, ma vado a correre lo stesso. Pratico sport, seguo un’alimentazione sana, e questo mi aiuta ad avere più energie sul palco. E poi l’allenamento vocale, prendendo delle precauzioni, cercando di non parlare tanto. Devo essere fisicamente a posto, soprattutto con le corde vocali: se le affatico, non rendo come ad aver passato una giornata tranquilla in silenzio.»

Amici, un’esperienza da ripetere, nonostante i detrattori.

«Sono stato scritturato per il mio debutto in teatro in diretta televisiva da un direttore d’orchestra che mi ha sentito in tivù. Ancora non ero un cantante. Avevo la valigia in mano, una passione per il canto, ma quasi da autodidatta. La realtà è che non è un male andare in un luogo estremamente popolare per far sentire la musica classica. Adesso molti l’hanno capito, ma undici anni fa non c’era ancora questa cognizione e fu molto difficile. Mi piacerebbe vedere una donna mettersi in gioco come giovane soprano. Paradossalmente, Cecilia Bartoli, una star internazionale, è saltata fuori con Fantastico di Pippo Baudo. Oggi manca la voglia di far vedere questo mondo dall’interno, di mostrare come noi giovani viviamo la lirica. Se lo capissero, fiorirebbe anche il deserto.»

La lirica e il crossover sono due mondi diversi che meritano rispetto.

«Non penso che chi ascolta un brano crossover poi vada automaticamente in teatro a vedere un’opera lirica. Quando faccio un concerto solista mi sento libero al 100% di sperimentare. La persona che mi sente cantare “Quel grande albero”, o anche “Caruso” di Lucio Dalla, è la stessa persona che mi ascolterà interpretare “Una furtiva lagrima”, e allora forse avrà la voglia di venire a vedermi anche in teatro.»

Bisogna sfatare gli stereotipi secondo cui l’opera è solo per l’élite.

«L’opera nasce per il popolo. Il teatro era un luogo di aggregazione sociale, era tutto fuorché l’élite. Giuseppe Verdi non è diventato l’immenso compositore che è perché faceva opere per pochi intenditori. La verità è che non siamo più abituati a educare le nostre orecchie.»

Note d’arte è un connubio tra il patrimonio materiale e immateriale.

«L’idea è quella di portare la musica lirica in luoghi di grande valore storico e artistico. Nasce da me e da Mirca Rosciani, una cara amica e bravissima musicista con la quale ho un sodalizio artistico da tanti anni. Abbiamo ideato questo format iniziando con un primo video a Parma in febbraio, quand’era tutto chiuso per il lockdown, e due mesi dopo a Firenze, nel complesso di Santa Croce, in cui abbiamo registrato Note d’arte 2.»

L’opera è in continua evoluzione.

«Ho deciso di aprire un profilo Patreon dove caricare video musicali esclusivi registrati durante i miei eventi dal vivo, grazie alle riprese di una troupe che mi segue nelle performance live. Voglio metterli a disposizione di tutto il pubblico internazionale, di chi magari non ha la possibilità di andare fisicamente a un concerto. È come se fosse una mia televisione privata, un approccio diverso, insolito, molto interessante nel campo della lirica. È una piccola grande rivoluzione.»

www.musicaintorno.it

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