MARINA REI, IL CORAGGIO PER ESSERE FELICI

 

A sei anni da Pareidolia Marina Rei torna a farci sognare con nuove canzoni che parlano della ricerca e della costruzione di sé, attraverso il distacco dalle figure importanti che accompagnano la nostra infanzia e quelle scelte, talvolta dolorose, che ci portano ad essere finalmente quello che vorremmo.

I singoli anticipano Per essere felici, il nuovo album di inediti della cantautrice romana. Nell’attesa di gustarceli anche dal vivo, ci facciamo scaldare il cuore da pezzi destinati a fare breccia nell’inquietudine di questi nostri strani giorni.

Tutta la scrittura dell’album è evocativa: Per essere felici, Comunque tu, Dimenticarci, sono brani diversi tra loro ma accomunati da un fil rouge di verità, sincerità, che raccontano molto di te.

«Nell’album non ci sono giri di parole. Ogni brano è allo stesso modo sincero, con una scrittura improntata sulla chiarezza. Scrivere di me, poi, non è una scelta, è un’esigenza. Prendere consapevolezza delle proprie fragilità è un atto di coscienza necessario, senza il quale non ci si può sentire liberi e rinati.»

Il singolo Dimenticarci parla di un ritorno all’essenziale. Credi sia necessario fare tabula rasa di tutto quello che di superfluo ci portiamo addosso, anche di una parte di sé stessi, per ritornare a dei valori autentici?

«Si può fare tabula rasa solo se il superfluo è qualcosa che non ti fa stare bene. Nel tempo, ho imparato ad allontanare quella sofferenza provocata dagli altri. Desidero che la mia vita sia fatta di semplice verità. Tutto ciò che mina quella verità, lo escludo. Ed è così che mi proteggo.»

Chiarezza e verità per essere felici, come recita la title track. Un titolo più che appropriato per questo particolare periodo storico.

«“Per essere felici” è una canzone sulle scelte che facciamo nella vita, che ci fanno prendere decisioni importanti e che ci condurranno dove ci sentiamo di essere. Racconta di come riuscire a riconoscerci in quello che siamo, per essere davvero liberi e felici, in pace con noi stessi. Il senso del brano non è tanto che basta poco per essere felici, quanto piuttosto che la felicità è un lavoro duro, complesso, coraggioso.»

Invece Comunque tu?

«“Comunque tu” racconta del distacco, di quell’inevitabile contrasto che tutti noi figli abbiamo avuto con i nostri genitori, e dell’amore e dell’ammirazione che proviamo nei loro confronti. Per costruire il sé è necessario distaccarsi dalla certezza e dalla protezione della propria famiglia. Fa parte del percorso di ognuno. Nella canzone descrivo l’amore e l’ammirazione per mio padre, che ho sempre vissuto come una figura molto forte: suonando lo stesso strumento, ho come avvertito una sorta di timore reverenziale nei suoi confronti. È un viaggio attraverso quello che una figlia vede, sente e cerca di prospettare nella sua vita, fino a diventare una persona adulta.»

Qual è stato il motore che ti ha spinta a fare musica. È lo stesso che ti spinge ancora oggi?

«Visto che i miei genitori sono entrambi musicisti e pure i miei nonni, direi che sono nata dentro la musica. Non era una scelta obbligata, la musica per me non è un vezzo né un vizio, è la mia vita. Per scegliere una strada del genere devi essere profondamente convinta, nutrire una passione che vada oltre la convinzione e devi averne la possibilità.»

Fai parte di quella che viene definita la scena romana, insieme a Riccardo Sinigallia, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e altri artisti. Credi che queste etichette siano un limite o ti piace sentirti parte di qualcosa, di un fermento, di un progetto comune?

«Se parliamo di scena romana, penso subito a Riccardo Sinigallia, l’autore che da sempre è stato il punto di riferimento per me e anche per gli altri. Lo è stato per Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè: sono tutti musicisti che si sono frequentati sin dall’inizio e che lui ha prodotto. Quando si collabora con un altro artista, c’è sempre uno scambio e, il fatto che lui abbia interagito con ognuno di loro, alla fine ha nutrito tutti, me inclusa. Percepisco Riccardo come un mentore, una sicurezza. Mi ha sostenuto tantissimo anche per questo nuovo progetto, perché più di una volta ho avuto voglia di mollare, non riuscendo a trovare la giusta direzione.»

Qual è stata la tua evoluzione nello scrivere canzoni? Ricordi la prima che hai scritto?

«La prima canzone che ho scritto non me la ricordo, ma ci ho sempre pensato, magari in finto inglese all’inizio. Scrivere in italiano è molto difficile e i primi tentativi si fanno con l’inglese, perché ti offre una chiave più musicale. La scrittura è qualcosa di veramente complicato, e ci vuole tempo prima di identificare una tua chiave personale. Si continua sempre a imparare, crescere e migliorare nel tempo.»

Nel tempo ti sei perfezionata nella batteria, uno strumento che è appannaggio quasi esclusivo del mondo maschile. C’è qualche musicista che accompagneresti volentieri sul palco?

«Ogni tanto mi propongo ma non mi crede nessuno, sembra quasi impossibile, invece insisto. Sicuramente mi piacerebbe suonare con Jack White, non tanto per ricreare il suo storico duo, ma per il mio modo di suonare grezzo, così come mi piacerebbe fare la batterista per PJ Harvey. Il mio non è uno strumento facile, la batteria è uno strumento che ti mette fortemente alla prova.»

Ci sono altri artisti con cui ti piacerebbe collaborare?

«Aver avuto la possibilità di suonare e collaborare con Paolo Benvegnù è una cosa meravigliosa, per entrambi. Abbiamo fatto un tour suddiviso in due anni: il primo accompagnati da altri musicisti e l’anno scorso da soli io e lui. È stata un’esperienza entusiasmante, perché non è facile condividere la stessa scena: alcuni artisti sono gelosi del proprio spazio, invece tra me e Paolo c’era una grande forma di altruismo, sia personale che musicale. Sul palco eravamo io alla batteria e lui alla chitarra, con le nostre voci che, sposandosi alla perfezione, diventavano un terzo strumento. Devo ammettere che è stato un tour incredibile!»

Prima di salutarci, ancora una curiosità: qual è il miglior consiglio che ti hanno dato e quale daresti ai giovani musicisti che si affacciano a questa professione?

«È una vita che suono, e ho avuto continuamente consigli. Quello che posso dire ai giovani musicisti è di continuare a portare avanti la passione per il proprio strumento, perché, oggi più che mai, bisogna rimboccarsi molto le maniche. E crederci.»

 

Ginevra Baldassari

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