“MAMMA MIA EL DIABLO” PIERO PELÙ

Di Gino Morabito

C’eravamo già incrociati qualche tempo prima, in occasione di Eutòpia tour. Il nostro confronto verteva sull’essere rock, sull’universalità del messaggio che quello stile di vita incarna, sulla necessità di energia positiva da trasmettere – come carica esplosiva – in tutto il mondo: Litfiba rock, portatori sani di visionaria realtà, avevo intitolato l’intervista.

Cambio di scena: pomeriggio soleggiato per la VII edizione di Taobuk – Taormina International Book Festival, una splendida terrazza sul mare, alcuni amici e il regista Cosimo Damiano Damato davanti a cocktail invitanti. L’inquadratura si sposta: occhiali neri sotto capelli raccolti in un codino all’insù, un tatuaggio sbuca fuori dalla camicia appena sbottonata, buccolette in bella mostra e pizzetto. Non vi nascondo il mio stato di curiosa euforia, quando si è palesato – in carne e ossa – Mamma mia El Diablo Piero Pelù, lì seduto accanto a me, a confrontarci sulle sfumature della vita e… sulle sigarette di Camilleri.

Cominciamo dalla fine: #Taobuk17! Com’è la storia? Dopo “Toro scatenato” di Martin Scorsese arriva “Toro loco” Piero Pelù?

«Faccio il tifo per il toro! La corrida è tuttavia una tragedia che ha comunque un fascino devastante; è una tragedia inammissibile, che, però, quando ci stai dentro, rimani in qualche modo coinvolto. Nel ‘90, per la Settimana santa, andai a Siviglia e c’era proprio la corrida. È da lì che ho poi elaborato varie idee, anche per la canzone “Toro loco”. La “locura” è uno status molto importante nella vita di ogni individuo. Credo che la parte più irrazionale, nonché quella più oscura che abbiamo dentro di noi, sia una parte con cui è fondamentale avere un dialogo continuo, perché non si può essere solamente in un modo, o bianco o nero…»

Nella vita esistono le sfumature. Tu, ad esempio, ne hai tendenzialmente di viola.

«Non parliamo di campionato – lascia perdere – parliamo, invece, di calcio storico: il mio quartiere lo vince da quattro anni. Il calcio storico fiorentino è quello che ha dato inizio al gioco del calcio e anche del rugby, attenzione! Correva l’anno 1512.»

Dalle divise dei calciatori alla veste inedita di attore, in cui racconti la storia di un padre che è stato a lungo in prigione e di un figlio che non lo conosce. A proposito di genitori, che tipo di padre è Piero Pelù? E che tipo di figlio è stato?

«Sono stato un figlio molto creativo. Come dico nella canzone El Diablo: “della famiglia sono il ribelle”. Ho tre figlie, decine di cugini, di zii; una famiglia molto bella, larga, anche abbastanza tradizionale e, rispetto a quel tipo di tradizione familiare, mi sono sentito di fare un salto netto. Da lì è nata la mia ribellione. Ero un figlio ribelle, che però è riuscito ad allargare gli orizzonti, con grandissima difficoltà naturalmente; perché, quando alla fine degli anni Settanta, tu proponi dei modelli che sono incomprensibili, è chiaro che ti troverai di fronte un muro, un muro familiare. Ciononostante sono riuscito a ritagliarmi la mia credibilità. Poi sono diventato padre ed è iniziato il rapporto con le mie figlie, comprendendo così le difficoltà del genitore ad adattarsi alle esigenze di ogni individuo.»

Le prime difficoltà riscontrate?

«Chiaramente quelle della presenza: cioè quelle legate al fatto che io sia un musicista, che sia spesso in giro; che mantenga e abbia da sempre mantenuto quest’anima nomade che ho dentro… Da chi, invece, deve stare a scuola, facendo un percorso necessariamente più regolare… beh, la mia assenza è stata notata, annotata dai figli, sottolineata – oserei dire.»

… Rinfacciata, delle volte.

«Anche rinfacciata, certo, un po’ rinfacciata! La cosa difficile è riuscire a compensare quest’assenza fisica con dei pensieri, delle attenzioni; con delle idee, dei principi, che possono comunque rimanere anche quando non ci sono.»

A proposito di fondamenti, qual è il principio cardine su cui fondi la tua persona?

«Alla base di tutto ci sono l’onestà con sé stessi e l’impegno. Capire ciò che veramente si vuole; comprendere i propri limiti, cercando comunque di innalzare l’asticella: esserne cioè consapevoli, per riuscire ad andare oltre e dare sempre il meglio.»

Prima non ne hai fatto mistero: “Tu non c’eri”, Piero! Puntandoti il dito contro, dov’è che non sei stato e avresti voluto essere?

«È un episodio chiarissimo: siamo nel ’95, ero in Europa con i Litfiba per “Spirito tour”. Nasceva la mia seconda figlia, Linda, e io purtroppo ero a suonare a Berlino. Fisicamente sono mancato alla nascita della mia seconda figlia. Capisci…»

Maxence Fermine sostiene che nella vita “ci sono due specie di persone… Ci sono gli attori. E ci sono i funamboli”. Tu a quale categoria senti di appartenere?

«In fondo, che cosa fa un attore? Va ad immedesimarsi in personaggi che, teoricamente, non dovrebbero appartenergli. Fa un lavoro psicologico importante l’attore. Un bravo attore credo che riesca a trasmettere emozioni, anche al di là di quello che lui realmente è. È uno che scava dentro, uno psicologo di sé stesso. Il cantante, che è un interprete, è un po’ come un attore; il cantante, che è anche autore, produttore, compositore… come nel mio caso, è più direttamente coinvolto in quello che sta dicendo, a meno che non gli riesca di scrivere cose che non riguardano il proprio vissuto. Ci sono anche quelli che riescono in quest’impresa. Io, se non parlo di ciò che sto vivendo, non ho una ragione di scrivere. Credo che l’esperienza personale sia fondamentale. Tutto sommato, l’esperienza di un attore e quella di un funambolo possono essere complementari.»

Facendo un parallelismo con il mondo della letteratura, chi è l’autore che più ti somiglia? Quale il libro che ti ha cambiato la vita?

«Sono più influenzabile dalla musica: l’ascolto dei Beatles, dei Black Sabbath, Rolling Stones, Sex Pistols, dei Clash e poi via via col passare del tempo… l’altra sera ho visto un concerto dei System of a Down e sono rimasto sconvolto. E ancora i Rage against the Machine… Sono più coinvolto, naturalmente, dalle note, ma, andando a ritroso nell’adolescenza (perché è quella la fase in cu sei più permeabile) rimanendo in Sicilia, ad esempio potrei citarti Sciascia, Verga, Pirandello. E anche il cinema che poi è derivato dalle opere di quegli autori.»

E Camilleri?

«Camilleri splendido. Lo adoro!»

Reciteresti per Camilleri?

«Per Camilleri farei anche l’autista, qualsiasi cosa per Camilleri! Andrea, se mi senti, per te farei anche la sigaretta!»

Dichiarazioni audaci, schiette, controcorrente per un uomo e un artista che non le manda certo a dire. Ti è mai capitato di tenere a freno la lingua? O di essere stato fin troppo buono, rispetto a un particolare frangente?

«[Sorride] Il mio percorso è pieno di queste situazioni. Tornando al tema del padre, delle volte, come genitore, avrei dovuto controllare un po’ meglio la mia rabbia: i ragazzi, soprattutto in fase adolescenziale, se ti vogliono fare girare i coglioni, sono imbattibili; non bastano Berlusconi e Renzi messi assieme per farteli girare così tanto. Lì, delle volte, ho travalicato; altre volte, invece, avrei potuto essere un po’ più duro. Non si finisce mai di comprendere quello che si potrebbe essere nel preciso istante in cui succedono le cose. Ma la vita è fatta anche di questi errori. Credo che sia profondamente umano sbagliare talvolta le proprie reazioni: o caricarle troppo o non caricarle abbastanza. La misura è dei saggi. E io lo sono solo in piccolissima parte.»

Piero Pelù 05_musicaintorno

Per concludere, una battuta al volo. Cosa vorresti si dicesse di te?

«Piero Pelù non ha mai smesso di sperimentare. Basterebbe questo.»

www.musicaintorno.it

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