LUCA MADONIA, UNA PIRAMIDE DI SUGGESTIONI VERSO L’ELEVAZIONE STILISTICA

 

Due mani che si intrecciano e si sfiorano a formare una piramide. È la copertina del nuovo album di Luca Madonia, La piramide. Due mani a simboleggiare l’unione di due anime; due universi artistici che si incontrano per dare vita a dieci duetti, dorati e scintillanti di eleganti arrangiamenti retrò, che rappresentano un disco destinato a rimanere.

Un caleidoscopio di emozioni, vibrate nelle suggestive interpretazioni di Luca Madonia e dei suoi ospiti, tra cui il figlio Brando, Enrico Ruggeri, Morgan, Carmen Consoli, i Decibel e l’immenso Franco Battiato. Abbiamo il piacere di confrontarci con Luca sulla necessità d fare musica, sul destino e l’entusiasmo che ancora lo travolge, dopo un percorso artistico che lo ha visto attraversare i decenni: dal nuovo rock dei Denovo fino all’attuale elevazione stilistica, distillata in questo nuovo progetto, in una scrittura senza tempo.

Luca Madonia propone il suo nuovo progetto musicale, una piramide di suggestioni verso l’elevazione stilistica.

«Il titolo è ispirato dalla piramide di Maslow. Stavo leggendo del suo lavoro sulla gerarchia dei bisogni, che generano le scelte e la crescita di ognuno di noi nell’arco della nostra esistenza. Ho riportato il concetto al disco, considerando che la musica e le canzoni sono per me un bisogno, un’urgenza. Poi mi sono lanciato in quest’avventura dei duetti, che è partita con Quello che non so di te con Franco Battiato, uscito già nel 2006 e che ho registrato nuovamente. Da lì la curiosità di capire quale canzone potessi affidare a chi.»

Il lavoro certosino di un “artigiano” della musica, con il vezzo romantico di suonare ancora gli strumenti veri.

«Il disco è stato prodotto da me e Denis Marino, un giovane musicista con il quale collaboro da anni anche dal vivo, insieme a Michele Musarra, l’ingegnere del suono. Nell’album ci siamo tolti lo sfizio di avere tutti strumenti veri suonati, compresa un’orchestra di sedici elementi con le partiture scritte e dirette da Denis, tranne “Io che non ho sognato mai”, in cui l’idea dell’arrangiamento orchestrale è di Morgan. Un grande lavoro che ha preso molto tempo ma a cui tenevo particolarmente. Dopo aver attraversato tante stagioni musicali, era importante avere un disco che mi rispecchiasse, che si avvicinasse anche alla tradizione dei cantautori italiani e a un certo gusto per le sonorità anni Sessanta. Sono davvero molto felice del risultato!»

Riguardo la scelta degli artisti da coinvolgere, Luca Madonia non ha avuto dubbi: doveva esserci Morgan.

«Ho scritto “Io che non ho sognato mai” in un momento di malinconia, in cui è però presente un’ancora di salvezza, che sia un amore o un amico, e ho subito individuato in Morgan, artista tormentato, la persona più adatta. Ritengo che le collaborazioni fortifichino e Morgan ha cambiato un po’ il testo nella sua strofa, dando una propria impostazione all’arrangiamento che ricorda le affascinanti atmosfere degli anni Sessanta. Io e Marco ci conosciamo da tempo, anche se non c’era stata una grande frequentazione. Grazie a questo pezzo è nata un’intesa musicale e, pur essendo diversi, ci completiamo e continuiamo a scambiarci idee. Chissà che in futuro non possa nascere un nuovo progetto insieme! Il video è stato realizzato dai The Registi, giovani e talentuosi ragazzi di Catania, che hanno avuto l’idea di rappresentare la distanza, mettendo Morgan in un video piccolino. Un concetto che mi ha subito intrigato e che poi – ahinoi – si è rivelato profetico.»

Com’è stato duettare insieme a tuo figlio Brando?

«È stato bellissimo! Brando fa il mio stesso mestiere, prima in una band e ora con un progetto da solista, e c’è sempre stato un confronto artistico, uno scambio. Ho due figli, entrambi sono nella musica e nell’arte, e mi fanno scoprire cose che io, forse ormai per pigrizia, non avrei scovato. Così, quando è nata l’idea dei duetti, ho pensato agli amici, alle varie possibili affinità, e non poteva mancare mio figlio. È una sorta di ideale passaggio di testimone, da una generazione all’altra.»

Uno scambio artistico generazionale, con un ascolto attento e curioso verso le nuove sonorità.

«Trovo che la curiosità in questo mestiere sia fondamentale. La curiosità mista all’urgenza di fare certe cose e agli iniziali amori musicali che segnano la tua vita. Devo dire che sono stato viziato bene, come ascolti e come eventi della vita che mi hanno portato alla scelta di fare musica. Ho avuto il privilegio di far parte del nuovo rock italiano con i Denovo nei primi anni Ottanta, un momento di rottura per l’Italia, come lo è stato il punk in Inghilterra. C’eravamo noi, i Litfiba, gli Avion Travel, e si suonava insieme. Tutti amici, grandi tournée, molta curiosità da parte del pubblico che iniziava a capire che stava cambiando qualcosa. E poi ho sempre adorato i Beatles. Sul finire degli anni Sessanta, quando avevo circa dieci anni, un’estate convinsi mia madre ad andare a Londra. E così, casualmente, sono passato davanti all’edificio ad Abbey Road, dove ho incrociato i Beatles, riuscendo a fotografare Lennon a un metro di distanza. Ho ancora quella foto di John, vestito di bianco, proprio come la copertina del disco. Uno scatto che ha segnato il mio destino.»

Come è cambiata la tua Catania dai Tempi di libero rock?

«Catania nel DNA ha sempre avuto questi cromosomi di vitalità estrema. Quando abbiamo iniziato con i Denovo, nei primissimi anni Ottanta, era ancora una realtà un po’ più buia, anche se, tra la montagna e il mare, covava già un magma di ampia scelta musicale. Poi nei Novanta è esplosa con Carmen Consoli, e tutto quel periodo in cui si è cominciato a definire Catania come la Seattle d’Italia. Rimane tutt’ora una città molto viva, però non so se da parte dei giovani ci sia ancora lo stesso tipo di approccio che c’era in quegli anni. Non esisteva Internet; c’era il passaparola, una curiosità vivace, il vero amore per la musica. I dischi, i nuovi generi, dovevi andarteli a cercare, a scoprire. Adesso si consuma, si brucia tutto in maniera velocissima. Per le nuove leve, per i giovani, è tutto più frenetico. Io invece sono romanticamente rimasto legato ai tempi lunghi. Dopo il video con Morgan, mi auguro poter di tirare fuori un pezzo alla volta, con calma, senza fretta.»

Ne La piramide è contenuto anche un meraviglioso duetto con Franco Battiato.

«Ho conosciuto Battiato nel 1988, quando è tornato a vivere in Sicilia, dopo gli anni milanesi e il suo grandissimo successo. All’epoca produsse l’ultimo disco dei Denovo, Venuti dalle Madonie a cercar Carbone. Eravamo tutti intimoriti da questo grande santone, scoprendo invece che si tratta di una persona estremamente divertente, alla mano, spiritosa, colta. Da lì è nata una frequentazione divenuta poi amicizia, che dura ancora oggi. E questo è stato uno dei regali più belli che la vita mi potesse fare! Franco mi ha insegnato tanto, perché è un artista immenso con una unicità nello stile che non è facile eguagliare

Cosa aiuta Luca Madonia a mantenere vivo questo grande entusiasmo per la musica, dopo una carriera così lunga e importante?

«Si cresce con una grandissima passione, una bella vita in musica. È chiaro, però, che le consapevolezze cambiano e c’è anche un sottile velo di malinconia nel capire che esistono tempi migliori e tempi peggiori. Fa parte della vita. Ho cercato di mettere tutte queste emozioni dentro il disco e i duetti mi hanno dato nuova energia ed entusiasmo. Sento questo progetto, non tanto come l’opera di un unico cantautore, ma come il lavoro di una collettività: per questo lo ascolto volentieri. La piramide mi intriga.»

 

Ginevra Baldassari

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