LaRIZZO, FOGLI CHE RACCONTANO FRAMMENTI DI VITA

Solo il cognome preceduto dall’articolo, come si usa nella sua Toscana natale. LaRizzo pubblica Fogli che raccontano, il primo album, un diario che racconta in otto episodi di vita i dieci anni che hanno portato l’artista, catanese di adozione, a mettere a nudo le sue emozioni.

Come tanti piccoli frame di un viaggio nei luoghi, nelle immagini, negli odori… in un crescendo delle proprie consapevolezze. Uno stile pulito, sobrio, con venature jazz, mediterranee, sudamericane.

La voce di Alessandra Rizzo è inconfondibile, precisa, limpida eppure toccante. Nel racconto di queste pagine così intime, ci sembra di udire palpitante il battito di chi le ascolta.

Un percorso musicale senza scorciatoie.

«Ho iniziato a cantare molto presto, a cinque anni avevo già capito che la musica sarebbe stata la mia strada e ho lavorato sodo affinché diventasse una realtà. A dieci ero iscritta al conservatorio, con il violoncello all’inizio e poi dedicandomi totalmente alla voce. Il primo incontro determinante è stato quello con Edoardo Musumeci, che è diventato anche il mio produttore dopo essere stato per tredici anni il chitarrista con cui mi sono esibita dal vivo, nei locali, proponendomi in acustico. La complicità, il gioco, l’improvvisazione sono alla base di tutti i nostri concerti. L’altro incontro fondamentale è quello con Riccardo Samperi della TRP Music, che ha mi ha permesso di far nascere Fogli che raccontano. Ci hanno creduto prima gli altri di me.»

Una raccolta di sentimenti, di pensieri, anche di dolori, di rinascita, di crescita. Una scrittura sincera, perché c’è dentro il cuore di Alessandra.

«“Fogli che raccontano” è una raccolta dei brani più rappresentativi che ho scritto. Li abbiamo inseriti nel disco in ordine di scrittura, ed è come se ci fosse un filo conduttore. Soltanto una traccia, “Albero di pietra”, mi è stata donata dalla cantautrice catanese Agata Lo Certo. Ma. Nonostante non l’abbia scritta io, è una canzone in cui mi ritrovo, che mi rappresenta. Racconta della voglia di mostrarsi anche fragili, perché spesso si cresce con la sensazione di dover essere forti a tutti i costi.»

 

Ogni brano un tassello di vita.

«“Con le mie scarpe” nasce dopo la partenza per l’Irlanda, un periodo di ricostruzione, in cui mi sono resa conto di poter contare sulle mie forze. “Sgualcito dal tempo” racconta di un cuore che si sente “sgualcito” dagli eventi e si rifugia sotto gli alberi, sotto le foglie rosse, per ritornare a vivere. “Equilibrio instabile” descrive la mia vita di tutti i giorni, l’amore per il camminare scalza cercando di fare poco rumore, il bisogno dei miei spazi e della mia intimità. Il brano che chiude il disco è “Fogli che raccontano” e arriva alla fine del progetto come possibile chiave di lettura di tutto ciò che si è ascoltato.»

Una vita vissuta in varie città, che hanno influito sul mood de LaRizzo.

«Vengo da una famiglia molto variegata. Nata a Livorno da papà siciliano e mamma napoletana, con una nonna slovena: la contaminazione fa parte della mia vita, del mio modo di essere. Mi piace spostarmi e farmi influenzare da tutto quello che c’è intorno. Dopo aver vissuto per qualche tempo in Irlanda, la Sicilia mi ha fatto sentire accolta e trovo che sia una terra che mi rappresenti appieno, perché è piena di contraddizioni, di cose che stanno agli antipodi. I suoi colori, gli odori, le persone, sono una fonte di ispirazione continua. Nutro un affetto particolare per l’Etna, che è diventato un punto di riferimento, mi dà un senso di stabilità, di appartenenza.»

Viaggiare è arricchirsi della cultura altrui, ti apre la mente, ti fa sentire in connessione con il mondo. Influenza i tuoi gusti, la tua musica.

«La musica ha sempre fatto parte della mia vita, a casa si ascoltavano i Beatles, poi Phil Collins, Lucio Dalla, Battisti. Crescendo, mi sono innamorata di Pino Daniele, Stevie Wonder, Sting. Provo una grande ammirazione per Niccolò Fabi: mi sento molto rappresentata da quello che scrive e non nascondo che per me sarebbe meraviglioso riuscire a collaborare con lui. Poi Damien Rice, introspettivo, e quel suo modo minimalista di arrangiare i brani. Vocalmente mi riconoscono delle influenze blues e soul… Credo siano naturali, che arrivino dai miei ascolti in maniera quasi inconscia.»

Caratteristica di chi fa questo lavoro è quella di permanere sulle montagne russe: ci sono dei giorni in cui sentirsi al top e altri decisamente down, ma sono quelli che stimolano la creatività. Giornate tutte che raccontano la quotidianità di un’artista.

«Cerco di essere ordinata in ambito lavorativo, non sono una che si sveglia troppo tardi la mattina, anzi sono attiva abbastanza presto. Mi occupo anche di didattica della voce e cerco di trasmettere ai miei allievi tutto quello che ho imparato con generosità. Con me porto sempre un’agenda dove appuntare gli avvenimenti della giornata, la base delle canzoni che verranno. Ma la scrittura più fluida e creativa capita di notte, in cui prendo al volo il telefono e registro un memo con frasi e melodie da sviluppare. Compongo canzoni legate a eventi particolari della mia vita: è proprio quando c’è necessità di farlo che mi siedo e inizio a scrivere.»

La vita sopra ogni cosa, per far nascere un nuovo brano.

«In genere, la melodia del cantato nasce contemporaneamente al testo. La seconda fase è quella di andare da Edoardo Musumeci e insieme iniziare a vestirlo della parte armonica, poi degli arrangiamenti con Riccardo Samperi. Edoardo e Riccardo sono gli angeli custodi della mia scrittura, con entrambi c’è un rapporto stretto anche dal punto di vista umano: è come se loro già sapessero il vestito migliore da farmi indossare.»

Un abito di ottima fattura è l’album Fogli che raccontano. Anticipato dal singolo omonimo, LaRizzo compie la scelta coraggiosa, un po’ folle, di pubblicare un brano di due minuti, che poco si presta ai cliché radiofonici. Si ha quasi la sensazione che si interrompa, che non sia finito. Come a voler chiudere un periodo e annunciare che ce ne sarà un altro.

«L’attenzione è tutta focalizzata sulla totalità dell’album, non sul singolo brano che rappresenta piuttosto un frammento del racconto che troverete all’interno del disco.»

 

Ginevra Baldassari

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