LA STORIA DELLA DISCO MUSIC, SUL DANCEFLOOR TUTTI SONO UGUALI

 

Newsweek, con Donna Summer in copertina, titolava: “Disco takes over” (“La disco prende il sopravvento”). 40 anni fa la disco music era al suo apice. Trascorsi tre mesi da quell’articolo, una parte dell’establishment tenterà di farla fuori. Invano. Era già nel DNA della musica.

Il volume La storia della Disco Music di Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano, edito da Hoepli, analizza radici, genesi e sviluppo di un melting pot sonoro, culturale e sociale dalle diramazioni creative: un fenomeno molto amato ma anche molto osteggiato, che si è evoluto in carismatico trend-setter di massa.

Giovanni, questo libro in realtà è una necessità per te e Andrea. Che cosa vi ha spinto a mettere nero su bianco la storia della disco music?

«La necessità deriva da due considerazioni: la prima è la passione di entrambi verso questo tipo di musica: eravamo adolescenti e, sentendo questa musica nuova, diversa dalla musica leggera, pop e rock, ci ha rapito. Una ventata di aria fresca… questo è stata! Un’altra esigenza è stata quella di voler dare una giusta fisionomia alla disco music, giudicata sempre molto superficiale e grossolana, mentre è un genere musicale di livello, fatto da professionisti. Siamo andati a scavare nella genesi di tutte le evoluzioni geo-musicali della disco music e abbiamo voluto riscattarla!»

E allora svelacelo, da dove nasce la disco music? E che tipo di caratteristiche sonore ha?

«La caratteristica essenziale è il ritmo. Nel ‘71 si comincia a parlare di afro rock o afro beat, quindi un modo diverso di fare rock con influenze africane, francesi e marocchine. Questo genere, nel giro di pochi mesi, venne chiamata disco music: una grande struttura ritmica, accelerata con una predominanza di percussioni. Altra caratteristica è la voce e la sua ripetizione, ipnotica in stile vudù, fortemente tribale. Cercate su YouTube Soul makossa di Manu Dibango, per capirci.»

Qual è il brano che rappresenta l’essenza della disco?

«È un brano del ‘77 ed è di Donna Summer, I feel love. Un brano che, quando Donna Summer scrisse, era molto lungo, ma che ebbe l’intuizione di tagliare lasciando solamente l’essenziale. Ecco, questo brano rappresenta l’essenza del ritmo e della sensualità, e anche di un linguaggio corporeo.»

Come si evolve la disco music?

«Nel tempo si sviluppa anche l’entrata della grande orchestra all’interno di questo genere musicale, lo fa Barry White con la sua orchestra, celebre il brano Love’s theme, che mette al centro il violino in una composizione elettronica. Un altro è stato Paul Mauriat, compositore di colonne sonore che negli anni ‘70 dà vita a dei pezzi straordinari.»

Nel libro mettete a rilievo anche il fenomeno della disco music dal punto di vista sociologico. Che anni erano quelli?  E come questo genere musicale si è inserito in quel contesto storico.

«La disco music ha dato un forte senso di libertà, perché ha coinciso con alcuni movimenti di liberazione, come quello omosessuale e quello degli afro-americani, che si sono affrancati anche sul dancefloor. All’inizio degli anni ‘70 la disco era una musica underground, di nicchia, delle minoranze. È entrata in scena anche nella liberazione femminile di quegli anni, soprattutto in America e Inghilterra, perché per la prima volta succedeva che in un genere musicale dominassero le donne invece che gli uomini.»

In Italia agli inizi degli anni ‘70 questi fenomeni di liberazione non venivano messi in evidenza. La disco era una musica reazionaria, quasi fascista e borghese. Voi nel libro sostenete un’altra tesi?!

«In Italia abbiamo visto come le donne potessero andare per la prima volta a ballare da sole, e questo non è aspetto di poco conto, perché in sostanza la disco music ha fornito loro un modo per emanciparsi. È stata una musica altamente rivoluzionaria e progressista, ricostruendo la società dalle radici. Nel libro c’è una meravigliosa frase di Truman Kapote che recita: sul dancefloor c’è un regime totale di democrazia, tutti sono uguali.»

Chi sono in Italia gli artisti che hanno cavalcato l’onda e le sonorità della disco music?

«In Italia ci sono quelli che l’hanno fatto apertamente, come i Fratelli La Bionda e Alan Sorrenti, che dal suo rock progressive è passato alla musica black e soul, ed è entrato poi nell’ olimpo della disco italiana; mentre altri si sono dapprima nascosti e, una volta ottenuto il successo, l’hanno dichiarato. Alcuni di loro erano dei musicisti di rock progressive, come Alberto Radius e Claudio Simonetti, leader dei Goblin, che utilizzavano nelle loro composizioni musicali il Moog synthesizer, strumento fondamentale per fare quella musica. Altri ancora come Marcella Bella, Mina, Ornella Vanoni e Renato Zero hanno inciso brani di disco music che li hanno portati ad avere maggior successo. Ma il caso eclatante fu Lucio Battisti, che in una intervista dichiarò di amare la disco music.»

La storia della Disco Music è una mappa fondamentale per orientarsi tra le varie correnti della disco assurte a fama mondiale: dalle origini afro alle iconiche hits delle meteore e dei personaggi più oscuri, agli “alieni” atterrati sul dancefloor dai pianeti rock, funk e jazz. Con un focus incentrato nel periodo 1974-1980, La storia della Disco Music è la prima narrazione completa, ricca di storie, aneddoti e citazioni, sul caleidoscopico genere che ha contribuito in modo fondamentale all’evoluzione della musica moderna.

 

Marco De Meo

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