GABRIELE CIAMPI, LA FELICITÀ DI ARRIVARE A TUTTI

Si intitola Opera il quarto album di Gabriele Ciampi, compositore romano, californiano d’adozione, scelto da Michelle Obama per esibirsi alla Casa Bianca e unico italiano nella giuria dei Grammy Awards.

Un album visionario in cui dialogano stili diversi, con la riuscita ambizione di far coesistere strumenti moderni e strutture classiche tradizionali, azzerando schemi e pregiudizi, per toccare con le sue note il cuore di tutti.

Un nuovo album concepito in quarantena, influenzandone la scrittura e la realizzazione.

«Opera è nato in un momento particolare, pensato durante il lockdown e realizzato nei mesi estivi, tra giugno e settembre. In questo album è cambiato anche il modo di produrre: per la prima volta sono in studio a Los Angeles e lavoro a distanza con i miei musicisti a Roma. Un cambiamento sostanziale a cui tutti dovremo abituarci.»

Restando a casa la concentrazione diventa massima, la creatività esplode, si tende a focalizzarci nelle passioni.

«L’album è nato così, seduto al pianoforte, con una struttura classica molto rigida a cui ho voluto far incontrare l’opposto, cioè le sonorità elettroniche degli anni ‘70/‘80, quel suono vintage che ho ricercato e studiato. Attraverso il lavoro con i moog e i sintetizzatori analogici ho cercato di portare in vita i vari brani e di creare questo incontro tra il mondo classico e quello elettronico.»

Un’opera, un lavoro, che vede il suo apice nella Fuga.

«Ha la struttura classica a quattro voci ma in realtà non ci sono strumenti classici, solo sintetizzatori, batteria, basso, chitarre elettriche, all’interno di una struttura molto rigida. Fuga sottolinea il concept di quest’album: parlare di innovazione nel rispetto di una tradizione classica che è presente in tutti i brani. Lo considero un disco sperimentale perché ho voltato pagina con il passato e ho creato qualcosa di diverso rispetto a quello che avevo fatto in precedenza.»

In Silenzio le parole non sono necessarie. La musica è un linguaggio a sé, che diffonde emozioni comprensibili trasversalmente senza bisogno di un testo.

«Il finale del brano è un ritorno a quelle che sono le mie origini. Un’aria in cui la cantante, mezzo soprano dell’opera di Pechino, non canta un testo ma le note che ho scritto. La voce diventa uno strumento d’orchestra.»

Un testo può emozionarti, enfatizzare le situazioni o i passaggi.  Ma la musica non ha bisogno d’altro…

«… se la melodia provoca emozioni, le provoca a prescindere dal testo. Il titolo Opera non è riferito all’opera lirica ma all’opera musicale, in cui diversi stili e diverse forme possono coesistere. Non credo nelle distinzioni di generi, la musica è una.»

Il tema del dialogo tra maschile e femminile, della disparità ancora presente e delle discriminazioni nei confronti delle donne è molto presente. La musica può ancora essere uno stimolo per sensibilizzare il pubblico a cambiare le cose.

«Per cambiare le cose devi sempre partire dal fondo, tutti i cambiamenti nascono da piccoli passi. L’esperimento di quest’album è anche quello di aprirsi alla creatività femminile, partendo dall’uomo. Da qui l’idea di un dialogo uomo-donna che funziona come nella vita, un confronto che porta sempre qualcosa di bello.»

Un lavoro concepito a metà, insieme.

«È il messaggio che volevo dare. Il problema della disparità esiste e si può combattere a piccoli passi, iniziando dalle piccole cose. Fare un progetto e lavorare con un atteggiamento di apertura nei confronti delle musiciste donne, che non stanno lì soltanto a eseguire un brano ma sono partecipi di tutto quello che riguarda il processo creativo, è un primo cambiamento importante. I miei concerti sono sempre stati aperti da un direttore donna.»

Una sperimentazione elettronica su matrice classica, che si potrebbe spingere fino alla contaminazione pop, grazie all’interpretazione di una voce presa in prestito da quell’universo.

«La musica classica era la musica pop di centinaia di anni fa. C’è musica che funziona e musica che non funziona, come nell’arte e in tutte le altre attività dell’uomo. Se oggi facciamo ascoltare un disco di Rachmaninov o di Tchaikovsky a un bambino o a un adulto, anche se non hanno un background musicale adeguato, ne rimarranno comunque affascinati. La musica deve arrivare a tutti. Il fine dell’arte è quello di creare un’emozione. Sono dell’idea che esista l’unione tra pop e classic, come un’unica cosa.»

Se esistono delle differenze è solo nel modo di cantare, nella qualità della voce.

«Oggi purtroppo è difficile trovare una voce all’altezza di poter competere e dialogare con un’orchestra, perché siamo abitati a puntare molto sull’apparenza. Si tende a stupire con altro fuorché la musica, e questo non va bene.»

La musica di Opera è innovativa, non ascrivibile a un solo genere, benché di matrice classica. Ad ascoltarla è un pubblico attento ed eterogeneo.

«Una sinfonia di Beethoven parla a tutti, non si rivolge soltanto a un particolare tipo di pubblico. Il mio obiettivo è che in questo album ci siano quei pochi secondi, quelle poche battute, che possano arrivare a tutti. Non tutto l’album, non un brano rispetto a un altro, ma dei passaggi.»

Una musica che evoca visioni cinematografiche, come un’illustrazione sonora di immagini.

«Mi piacerebbe lavorare nel cinema, con un regista che sia molto attento alla musica. Oggi nei film la musica ha un ruolo marginale e si cerca di fare musica di background, di sound design, e questo non è interessante. Un bel film è composto da musica e immagini, e ci vuole un regista che lasci spazio alla musica.»

Essere nella giuria dei Grammy Awards ha permesso di calarsi in altri universi musicali e venirne contaminato.

«È una grande soddisfazione! È bello vedere le partiture di questi artisti, me ne ricordo una di Bruno Mars che mi aveva colpito, perché dietro quel mondo lì c’è comunque un pianista, un attento conoscitore della musica classica ed è interessante portare alla luce quell’aspetto nascosto.»

L’augurio è che anche in Italia, con il Festival di Sanremo, si possa arrivare a un tipo di giuria molto tecnica e competente.

«È l’unica cosa che mancherebbe per essere veramente una manifestazione di alto livello e competitiva. Molti brani o personaggi che salgono su quel palco non sono adatti a Sanremo. Da un punto di vista strettamente musicale mi accorgo di troppi errori tecnici, soprattutto tra i giovani. Io stimo molto Annalisa, per esempio, però considero che le canzoni siano totalmente inadeguate alla sua voce. Lo stesso vale per Arisa. Ha una voce che permetterebbe un altro tipo di canzone, brani in cui l’orchestra diventi protagonista. Si potrebbe veramente immaginare il connubio tra classico e pop con artiste così!»

 

Ginevra Baldassari

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