FLASHDANCE IL MUSICAL, SACRIFICIO E RISCATTO NEL DESTINO DI VALERIA BELLEUDI

“… Quando partono quelle note, quegli accordi, quel ritmo… è danza”

Nella sala i commenti si sprecano, anche quelli di altre donne, con un pizzico di invidia, a mezza voce: “È davvero splendida, ha un sorriso incantevole”.

Il punto è che Valeria Belleudi è soprattutto brava. Dedizione, grinta, determinazione a dimostrarlo: «Ho già sacrificato tutto il mio universo privato: famiglia, affetti, amicizie…» mi racconta guardandomi fisso negli occhi.

La storia del riscatto di una carriera artistica che, dopo il talent “Amici” nel 2004, affronta una lunga gavetta, impersonando ruoli secondari in “Sister act”, “Priscilla la regina del deserto”, “Jersey boys”… quando poi il destino… e Valeria Belleudi diventa la protagonista indiscussa di Flashdance il Musical. La nostra Alex Owens di Anzio, nella provincia romana, corona il suo sogno di ragazzina: canta, balla, si scatena sulle note di “Maniac” meritando alla fine il giusto tributo.

Nello spettacolo di Tom Hedley, Joe Eszterhas e Robbie Roth, per l’adattamento italiano e la regia di Chiara Noschese, tutte le intramontabili hit di una colonna sonora da Oscar a guidare lo spettatore in un susseguirsi di coreografie coinvolgenti, commozione e sentimenti: emozione pura!

Da cantante nella scuola di “Amici di Maria De Filippi”, ci sono voluti anni di gavetta per conquistare il primo ruolo da protagonista. Non è forse che i talent stiano sfornando una generazione di illusi?

«Non hai detto una cosa sbagliata, dipende dalla personalità e dal carattere del ragazzo che vuole entrare a far parte del mondo dei talent. Il talent è un’opportunità, ha un inizio e una fine. E, quando finisce, devi essere in grado di usare le tue gambe, le tue potenzialità… sviluppare il tuo talento. Non è un punto d’arrivo, per me è stato un punto di partenza. Certo, ci sono anche dei ragazzi per i quali rappresenta un punto di arrivo ma, in quel caso, è una cosa che nasce e poi muore… ce ne rendiamo conto tutti. Camminare sulle proprie gambe, cercare la propria strada è molto più difficile: io, per esempio, volevo fare teatro ma uscivo dalla tivù… È stato difficilissimo, perché nel teatro ci sono tutta una serie di pregiudizi per chi viene dal mondo della televisione. Si tratta di pregiudizi che si sono costruiti negli anni, il più delle volte controproducenti per tutti quei ragazzi che provano ad entrare; delle volte, però, giustificati, poiché ci sono delle personalità che non hanno nessuna attitudine teatrale ma hanno un nome e vengono scritturati per degli spettacoli. E succede che, alla fine, le persone che studiano davvero per fare quel mestiere restano a casa.»

Alla luce del tuo percorso umano e professionale, consiglieresti allora di partecipare a quel tipo di programmi?

«No, no. Poi, sai, dipende… Se vuoi fare tivù e continuare su quella scia, ci sono tante porte che si aprono. Ad esempio, ci sono molte case discografiche che attingono dai talent: per cui, se vuoi fare il cantante, quella potrebbe essere una buona strada; se vuoi fare teatro, ni.»

Avevi già fatto parte del cast della prima edizione di “Flashdance” come ballerina; poi “Sister act”, “Priscilla la regina del deserto”, “Jersey boys”. Come sei approdata nuovamente al musical di Alex Owens?

«Ho ricevuto una telefonata dal Teatro Nazionale: cercavano la protagonista e io ero nel database, avendo già lavorato con loro. Mi ricordo di aver detto a Eleonora Lombardo, l’assistente alla regia di Chiara Noschese: “Di nuovo Flashdance? Magari, forse, è un errore…”. E lei: “Niente affatto, il Teatro Nazionale lo riproduce, in una versione tutta nuova…”. È un ruolo che avrei sempre voluto fare, però era già stato interpretato… sai, per me era un sogno andato in fumo e invece… poi è accaduto. Tutta una serie di coincidenze… Chiamiamolo destino.»

Nello spettacolo di Tom Hedley, Joe Eszterhas e Robbie Roth tutte le intramontabili hit di una colonna sonora da Oscar. In quale tra quei brani ti identifichi maggiormente?

«“Maniac” è la mia! Quando partono quelle note, quegli accordi, quel ritmo… è danza. Vivrei tutta la vita da maniac, come quel pezzo lì.»

Sei cresciuta guardando Lorella Cuccarini e Flashdance, e a dieci-undici anni e avevi già deciso cosa avresti voluto fare da grande. Adesso Valeria Belleudi, protagonista del suo stesso sogno di ragazzina, come si vede tra vent’anni?

«Mi vedo sicuramente insegnante: mi piacerebbe riuscire a passare quello che so alle nuove generazioni.»

Alex Owens ambiva ad entrare nella prestigiosa Accademia di Danza di Pittsburgh e, nella pellicola cinematografica, ci riesce. Nella sfera umana, invece, cosa saresti ancora disposta a sacrificare per il tuo mestiere di artista?

«Ho già sacrificato tutto il mio universo privato: famiglia, affetti, amicizie…

Per fare questo mestiere in un certo modo, per farlo bene, occorrono dedizione, sacrificio, solitudine… Viaggi, ti sposti, sgomiti… è sempre una continua sfida con te stessa, con le tue possibilità, cercando ogni volta di superare i tuoi limiti. Per forza di cose, si penalizza tutto il resto: non hai una quotidianità, non riesci a creare delle abitudini… sei sempre in movimento.»

Nel 2004 ti definivi “semplice, spontanea ed estremamente emotiva”. Oggi come sei?

«Uguale,» repentina Valeria, aggiungendo: «un po’ più irascibile. È l’età che porta ‘n po’ de sclero» con una coloritura romanesca che le accende il sorriso.

Partono le note, gli accordi, il ritmo…

“She’s a maniac, maniac on the floor (I sure know)

And she’s dancing like she’s never danced before”

Rivive il mito.

 

Gino Morabito

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