FEDEZ, IL VIAGGIO IN SOLITARIA NEI TORMENTI DI UN ARTISTA

Di Gino Morabito

Fa istanza per un progetto di riforma riguardante il settore dei lavoratori dello spettacolo, scende in campo sui social per una guerra fra rapper, viene denunciato di diffamazione dal Codacons e dalla Rai.

A dispetto di un’irrefrenabile parresia, c’è molto che non dice, lasciando agli altri il compito di farsi un’idea su una personalità, tanto schietta quanto introversa, specie se si toccano alcune corde del privato.

Per natura difeso, non dev’essere facile vivere dentro i suoi tormenti. Presuntuoso pensare di conoscere Fedez perché si seguono le sue boutade su Instagram. Dalle prime incisioni del 2007, il percorso umano e artistico di un “comunista col Rolex” che continua a fare notizia.

Da piccolo voleva fare il benzinaio.

«… Il benzinaio o il gelataio. A scuola ero bravo, nella media. Ho frequentato il liceo artistico ma non ero molto portato per il disegno. Mi piaceva piuttosto interpretare l’arte. Non ho mai messo a fuoco cosa volessi fare fino alle superiori, quando ho deciso di inseguire un sogno: lavorare nel mondo della musica.»

La provenienza da contesti politicamente connotati e un imborghesimento che lo ha reso una contraddizione vivente.

«Una parte di me è diventata quello che volevo essere, l’altra quello che ho sempre odiato.»

Per Federico Leonardo Lucia la piena consacrazione artistica arriva con il riconoscimento da parte della famiglia di origine.

«Il successo non l’ho ricercato. È stato un viaggio in solitaria nel quale credevo poco, almeno all’inizio. Ci credeva poco anche mia mamma che però mi è stata sempre accanto. Papà è arrivato dopo, quando tutto stava girando per il verso giusto.»

La paura che tutto finisca.

«Ho paura di tornare indietro. Mi fa paura sapere che non potrò essere sempre il numero uno. Per ora sono sempre stato molto fortunato, ma temo quel momento inevitabile che prima o poi arriverà.»

Vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, e assumere dosi di bellezza.

«Sono una persona poco spensierata, vedo sempre il bicchiere mezzo vuoto e il vuoto ti può risucchiare. Chiara, invece, vede il bene e il bello in tutto; riesce a godersi le cose come io non sono mai riuscito a fare. Per me lei è una medicina.»

L’importante è non cadere negli errori del passato.

«Negli anni passati ho fatto sempre un grande errore, quello di darmi delle scadenze rispetto alle logiche discografiche: come, ad esempio, sapere di dover chiudere il disco entro quel termine preciso, perché sono state già annunciate le date del tour. Ecco, quello è un errore in cui non cadere, perché ti fa perdere un po’ la magia del viaggio!»

Vivere artisticamente senza troppi paletti, all’interno di un mercato discografico che ti spinge ad esistere in funzione dei dischi che sforni.

«Sicuramente, ad oggi, quello che sta accadendo è che gli album che escono rientrano nella concezione del tutto molto veloce.»

Da più parti, soffia il vento del cambiamento e si respira musica.

«C’è la voglia di cambiare, e questo è il periodo delle scelte non ponderate. Mi ha sempre affascinato l’idea di vedere la musica in maniera collettiva, facendo un parallelismo, un po’ come la factory di Andy Warhol: non più sedersi al piano (l’artista da solo che scrive mentre l’arrangiatore suona la chitarra), quanto piuttosto respirare la musica con gli amici, senza pensare troppo alle dinamiche.»

Dopo una pausa dalle scene musicali, l’artista è tornato con il singolo doppio platino Bimbi per strada e Bella storia, certificato platino. Dappoi l’esordio sanremese in coppia con Francesca Michielin.

«“Chiamami per nome” affronta principalmente le tematiche dell’amore ma riflette anche le insicurezze del momento attuale, in cui siamo fortunati a vivere il grande privilegio della speranza. Il testo è stato scritto insieme, in prima battuta da me e Francesca, per poi allargarsi a tutto il team di scrittura e composizione con Davide Simonetta, Jacopo, Dargen e Mahmood. È stato un lavoro di collettività, un viaggio che mi ha portato una vera boccata di ossigeno.»

Tematiche d’amore, le insicurezze del momento, mantenendo vivo il grande privilegio della speranza. Calca il palco dell’Ariston con la voglia di vivere un’esperienza nuova, prendendosi tutto quello che può offrire.

«Per me è stato tutto abbastanza nuovo e ho scoperto alcune ritualità di quella grande tradizione, che sono fantastiche. Soffro l’ansietta e da circa un anno faccio Emdr, una terapia che non nasce prettamente per questo tipo di stadio emotivo ma ti aiuta tantissimo, e poi meditazione trascendentale che consiglio a tutti. David Lynch docet.»

In un momento particolarmente delicato in cui il segnale da dare è esserci a prescindere, Fedez si rende protagonista di importantissimi messaggi nei confronti del suo pubblico più giovane. Un anno carico di umanità che lo porta all’Ambrogino d’oro.

«Se devo vedere il bicchiere mezzo pieno, il 2020 è stato un anno che mi ha lasciato una consapevolezza che prima non avevo: appartenere a una collettività, percepire nitidamente di far parte di un Paese.»

La parola d’ordine è ripartire, attraverso un volano potente come quello della musica. In un’estate italiana che vuole soprattutto leggerezza. Ed è proprio una ventata di freschezza quella che porta con sé la collaborazione inedita tra Fedez, Achille Lauro e Orietta Berti.

Sonorità tipiche dei Sessanta, il riferimento al film cult con John Travolta e Olivia Newton John ambientato negli anni ruggenti e la copertina del singolo realizzata dall’artista Francesco Vezzoli rielaborando “Le tre Grazie”, opera del pittore francese Émile Vernon (1872-1920). Tutto fa pensare che Mille sarà una hit.

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