FABRIZIO SIMONCIONI, AL DI LÀ DEL VETRO PURO TALENTO

 

Una carriera lampo e inaspettata quella di Fabrizio Simoncioni, detto Simoncia. Sound engineer, produttore e tastierista, ha collaborato con i più grandi big del rock italiano, venendo insignito con 57 dischi di platino e oltre 100 dischi d’oro.

Non solo colpi di fortuna nella vita del Simoncia ma anche accadimenti che lo hanno portato a reinventarsi come musicista. Era il 1984 quando, in seguito a un incidente stradale, vide sfumare i propri sogni di gloria:

«Ricordo quel periodo con estremo dolore ma, avendo un carattere incosciente e positivo, decisi di viverlo anche come un’opportunità.»

Dal suo letto d’ospedale Fabrizio Simoncioni comincia a studiare fisica e acustica, e altre materie in relazione al suono. Realizzò che il suo vero talento era stare lì, al di là del vetro, in sala di registrazione.

Quali caratteristiche deve avere un bravo sound engineer?

«Musicalità, gusto personale e conoscenza tecnica. Prima di tutto dev’essere un musicista: sapere utilizzare compressori, limiter, equalizzatori, distorsori… certo la tecnica è importante, ma conoscere la musica è basilare. Poi viene il gusto, che è squisitamente soggettivo e fa la differenza. Ogni suono ha un colore e un disco è un insieme di sfumature.»

Quali sono le caratteristiche che deve avere un brano per essere considerato definitivo, pronto all’ascolto?

«Non esiste un punto di fine. Il mix non finisce mai, ma accade che, ad un tratto, ciò che ascolti ti risuona più di altre volte. La chiusura di un brano è una scelta personale e, quando la canzone “sta in piedi da sola”, quello è il momento giusto per considerarla finita.»

Come vedi oggi il lavoro di sound engineering nel panorama musicale italiano?

«La tecnologia ha messo a disposizione di molti una serie di strumenti fino a qualche tempo fa inarrivabili. Noto però che alcune volte si tende a trovare l’abito giusto prima di considerare il corpo: cioè si pensa al suono prima della canzone. La musica deve avere delle radici! La base dalla quale partire dev’essere di chitarra, piano e voce. Poi la si veste andando a trovare quei suoni che la possano rappresentare al meglio, non viceversa.»

Fabrizio Simoncioni è stato il primo musicista italiano a utilizzare dal vivo il sistema di controllo digitale degli strumenti musicali. A distanza di così tanto tempo dalla digitalizzazione del suono, hai riscontrato delle criticità rispetto all’analogico?

«Oggi è anche una questione di budget, certi macchinari analogici hanno un costo importante e non sempre si hanno a disposizione tali cifre per produrre musica. Continuo a utilizzare il nastro analogico per la chitarra, la batteria e il basso, perché il nastro è in grado di restituire un calore del suono che il digitale non sa. Quel “calore”, in realtà, non è altro che una distorsione che all’orecchio umano piace molto, poiché va a toccare le corde dell’emotività.»

Sappiamo che stai collaborando con Ghigo Renzulli dei Litfiba. Raccontaci un po’.

«Sono trent’anni ormai che collaboro con Litfiba e dal 2016 mi hanno invitato a far parte della loro band. Questo progetto nasce in parallelo e si compone di brani strumentali. Ghigo aveva nel cassetto alcuni suoi pezzi, che abbiamo arrangiato in chiave di colonna sonora, e altri ancora di vari autori, che abbiamo rivisto sempre in chiave strumentale.»

Negli anni, hai calcato il palco anche con il Liga. A livello di approccio musicale, qual è la differenza tra le due rock band?

«A questa domanda ti risponde il “Simoncia”, cioè il musicista: ho avuto la fortuna di far parte della band di Ligabue nel momento d’oro, in cui si lavorava insieme proprio come una famiglia. Non erano quindi dei musicisti che accompagnavano l’artista ma altri artisti allo stesso livello del solista. Questo ci ha portati ad essere parte integrante del progetto. Sostanzialmente, la differenza tra i due gruppi è che, mentre con Ligabue le tastiere hanno un ruolo marginale, fanno da collante tra le due chitarre e Luciano; coi Litfiba c’è un approccio veramente rock: non esistono sequenze e le tastiere sono parte integrante nella loro composizione musicale.»

L’importante è suonare, suonare dal vivo. Quale scenario vedi possibile?

«Voglio sperare che ci sia una completa riapertura entro la fine dell’estate. In questo periodo noi musicisti “ci stiamo suonando addosso”, con una gran voglia di tornare davanti al nostro pubblico!»

Seduto davanti alle sue tastiere, a Fabrizio Simonicioni cosa piace suonare quando lo fa per puro piacere?

«Sono un po’ rétro in questo senso, soprattutto sono un fan delle canzoni e non degli artisti. Potrei amare alla follia la canzone di un gruppo e non conoscerne la discografia. Sono fatto così! Ma c’è una band che amo incondizionatamente e risponde al nome di Pink Floyd.»

 

Marco De Meo

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