DOMENICO IMPERATO, TRA CANTAUTORATO DELLA TRADIZIONE ITALIANA E LA WORLD MUSIC

Domenico Imperato 01_musicaintornoDomenico Imperato è nella sua casa a Pescara, da giorni ricoperta di acqua e neve, quando mi risponde al telefono in una mattina che in realtà dovrebbe segnare l’inizio della primavera. Dopo una premiere a dicembre 2017 del singolo Del mondo il canto, a febbraio è uscito Bellavista (Lapilla Records/Ponderosa Records), il suo secondo album…

… in cui s’incontrano il cantautorato della tradizione italiana e la world music, assimilata durante le sue lunghe permanenze all’estero. Con questa intervista Musica Intorno ha cercato di scoprire qualche retroscena legato al nuovo lavoro del cantautore abruzzese.

Come stanno andando i primi mesi dopo l’uscita del disco?

«Molto bene, stanno uscendo delle belle recensioni e abbiamo fatto un po’ di concerti ed interviste radiofoniche. Stiamo cercando di organizzare altri live per presentare il disco, potendo contare su un grosso aiuto da parte della mia etichetta discografica e dell’ufficio stampa GDG. Sono anche impegnato nelle riprese del secondo videoclip, che sarà del brano Zitta.»

Bellavista è un album pieno di ritratti di personaggi vari, come Stefano, Nino e Adele. È un caso legato a questo album in particolare o preferisci parlare di altri e non di te stesso?

«Preferisco l’impiego della soggettiva nella canzone, ma non l’ho sempre usata, anzi nel mio primo disco non c’era neanche un titolo con un nome proprio di persona dal momento che raccontavo una storia più “universale”, come se fosse una panoramica dall’alto che non riguardasse nessuno in particolare, un uomo x. In questo invece ho iniziato a parlare di storie quotidiane, minime, viste da vicino con una lente d’ingrandimento sulle strade della città. Sono passato dall’universale al personaggio preciso e con un suo nome, o nomignolo, ed è uscito fuori un disco corale. Questa scelta è andata di pari passo alla mia volontà di confrontarmi con una forma canzone più tradizionale e legata alla storia del cantautorato italiano, meno eclettica rispetto al mio disco precedente.»

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Il disco, seppur tradizionale come dici, è musicalmente contaminato: non si sente solo l’influenza della musica del Brasile, dove hai vissuto per alcuni anni, ma anche dell’afrobeat.

«Oltre al Brasile ho vissuto anche un anno a Lisbona, che è per certi versi una città molto africana, molto più di quanto potrebbe esserlo Rio de Janeiro. È un posto che ha sempre vissuto un’ondata di ritorno dalle ex colonie portoghesi in Africa, cioè Angola, Mozambico e Capo Verde…

… In quell’anno stupendo ho capito definitivamente di voler percorrere la strada del musicista nella vita, nonostante fossi andato lì da studente universitario partito con una chitarra. La mattina andavo in università e la sera suonavo in tre locali diversi del Bairro Alto: lì sono stato influenzato dal fado portoghese, triste e tradizionale, ma anche dai musicisti brasiliani e africani, che hanno portato in città ritmi come la morna e la coladeira capoverdiani. Da questi generi ho preso in prestito il suono, cercando però di collocarlo in una forma canzone diretta e tradizionale, come dicevo prima.»

Il disco è registrato nel tuo studio nel paese di Atessa, in Abruzzo. Sembra una scelta artistica in stile band americana che, anziché fare un album a Los Angeles, si isola nel deserto del Nevada per cercare ispirazione dall’ambiente circostante.

«È un caso in cui la poesia del luogo si mischia con le esigenze personali: ora abito qui e qui ho collocato la mia base operativa, la più valida per le mie possibilità del momento. Il primo disco, come un pazzo, l’avevo registrato in Brasile, un gesto che ora sembra una inimmaginabile bravata da ragazzino. Ora è passata la fase dello studente specializzando (Domenico è laureato in Sociologia della Musica con una tesi sulla bossanova e sul tropicalismo brasiliano, ndr), e con questo disco ho voluto compiere un ritorno a casa. Postura libera era il disco del mare e del viaggio, Bellavista è il disco della terra, dei paesaggi rurali, quindi sicuramente c’è anche dell’Abruzzo dentro le canzoni. Il mio ritorno in Italia è corrisposto anche a un grande lavoro sul territorio e di relazioni insieme a dei musicisti locali ed il produttore artistico Francesco Arcuri, che mi hanno aiutato a fare suonare bene il disco dopo un lungo periodo di preproduzioni nello studio che ho dentro casa mia.»

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Le storie di vita ai margini dei personaggi di Bellavista collidono con l’allegria e la vivacità musicale che contraddistingue il disco. Attraverso quali ascolti sei arrivato alla formula sonora che sta alla base di questo album?

«Oltre De André, ho attinto principalmente dai due Lucio, Dalla e Battisti, ma anche da Paolo Conte e Pino Daniele. Questa è la Scuola italiana, i fondamentali. Artisti più recenti ma comunque importanti per me sono stati Vinicio Capossela e Niccolò Fabi. Spesso mi dicono di avere un timbro vocale simile a quella di Mario Venuti: non che mi dispiaccia il paragone, che può starci soprattutto se si parla del primo disco, ma in Bellavista mi sono impegnato per avere una mia voce personale, più corposa e completa. Forse il paragone è anche dovuto all’ispirazione sonora di matrice brasiliana che abbiamo in comune, perché anche Venuti ha lavorato lì.»

Ho visto che ti sei iscritto al concorso 1M Next per suonare al concerto del Primo Maggio di Roma. Dove vorresti che ti portasse a suonare il tour di Bellavista, se potessi scegliere tra qualsiasi kermesse e festival italiani ed internazionali?

«Più che suonare in un posto in particolare, mi piacerebbe semplicemente girare un po’ di più, cosa non facile se non hai una grossa agenzia di booking alle spalle. È anche un problema legato al mondo della musica indipendente in Italia, spesso autoreferenziale ed accartocciato su sé stesso, come se fosse una riproduzione in miniatura del mondo di plastica di Sanremo. Così come ci sono molti cantautori interessanti, nell’indie ci sono altrettanti artisti con colpi di giocoleria nei testi che permettono di suonare in determinati circuiti e contesti…

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… Però da quello che sto riscontrando in questi giorni, Bellavista è un lavoro che meriterebbe quei palchi, come il Mi Ami a Milano o il Siren Festival che fanno a Vasto, anche solo per la band di musicisti di alto livello che mi sta seguendo negli ultimi concerti. Questo è un disco di passaggio, che mi ha strattonato e “sturato”, lanciandomi ancora più voglia di musica e di nuovi lavori. Quello che deve succedere, succederà!»

 

Stefano D. Ottavio

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