BLUES OLTREMARE, QUANDO L’ARTE “DIALOGA” CON LA MUSICA

Il gruppo musicale e pittorico Oltrelatela propone diversi eventi nel Castello di Santa Severa, a pochi passi da Roma, con la precisa volontà di offrire quel valore aggiunto rispetto al richiamo turistico dell’affascinante struttura storica, al fine di essere un momento di intrattenimento culturale con diversi canali di approccio.

Il gruppo musicale Oltrelatela è composto da quattro persone: Patrizio De Magistris (basso), Marco Recchia (pianoforte), Angelo Nardi (sassofono), Francesco De Magistris (batteria e percussioni). Il loro repertorio presenta brani di facile assimilazione dove la percezione del blues rimane costante. Si alternano melodie di produzione propria con titoli richiamati dalla tradizione musicale più conosciuta e apprezzata, per avvicinare immediatamente il gusto degli avventori. Prima, dopo, durante, l’evento i visitatori potranno confrontarsi con gli artisti e discutere delle opere esposte. Il piano puramente dialettico, la voglia di riconoscersi sul quel di più, sul senso dell’“oltre” che costituisce la vita artistica, rappresenta a pieno titolo un momento saliente di caratterizzazione del gruppo.

Nella loro storia, l’elemento musicale ha iniziato come momento di intrattenimento nei vernissage per diventare subito dopo una componente irrinunciabile nella presentazione delle opere pittoriche. Evento dopo evento, musica e pittura sono stati sempre più alleati per gli Oltrelatela, al punto di trasformare il momento pittorico nella filiazione di quello musicale e viceversa. I quadri presentati dagli stessi pittori sono stimolo per composizioni musicali e, viceversa, da un’ispirazione sonora arriva l’impulso a creare dimensioni visive dall’impatto figurativo molto intenso – proprio perché generato da una doppia origine ispirativa. È su questa duplice fonte di ispirazione che gli artisti di Oltrelatela hanno lanciato la composizione alla loro ispirazione primaria. Con Marco Recchia vogliamo conoscere quella forte alleanza che nasce tra l’arte e la musica.

Quali sono gli aspetti più salienti che possiamo trovare nell’arte e nella musica?

«Questa domanda implica che arte e musica siano due entità separate. Lo sono solo in superficie. Ma a ben guardare non lo sono affatto, sia nel momento di prima intuizione produttiva, momento nel quale la mente costruisce ponti verso qualcosa di ancora indefinibile, sia nel momento estemporaneo in cui sovrapponiamo immagini e suoni, suoni e immagini. Del resto non leghiamo un brano musicale a una esperienza specifica? Oppure viceversa?»

Che ruolo riveste la location delle vostre esibizioni musicali?

«Fondamentale. Non esiste momento di ispirazione senza una sua specifica spazialità. Anche qui, questo avviene sia nel momento ideativo, sia nel momento in cui un luogo ci suggerisce immagini e suoni da proporre e riprodurre.»

La musica non ha confini ed è come se fosse un “dialogo” universale. Quali caratteristiche peculiari possiamo riscontrare nel blues?

«Siamo tutti attraversati dal blues. Noi riteniamo che il blues sia una delle più grandi rivoluzioni della storia dell’umanità. Questo perché ci costringe a fare i conti con noi stessi, ci obbliga a tirare fuori la parte nascosta e, cosa più importante, ci aiuta a non avere paura di questa parte. Anzi, ci incoraggia ad esaltarla. È chiaro come in questo modo si dilatino i confini prima stabiliti dalle arti che erano relegate al decorativo, all’incontro sociale e allo speculativo. Col blues saltano queste categorie. Ed è una realtà divenuta ormai parte integrante della nostra vita. Ha realizzato molto di più il blues che la psicanalisi. Tutto questo senza arroccarci su alte concettualità, il blues è una realtà che fa parte del vissuto di ciascuno di noi.»

La vostra band nasce con la pittura per arrivare a coniugare la musica. Quali le motivazioni di questa unione?

«Ci piace pensare al fatto che il tutto sia stato mosso dal caso. Anche se non è così. In effetti proviamo e riproviamo per arrivare a quello che potremmo chiamare: ‘commento musicale alla specifica tela’. Lo facciamo per ogni nostra opera. E ogni volta aggiungiamo, aggiustiamo, troviamo qualcosa di nuovo da modificare per come abbiamo deciso di arrangiare il brano. Ma senza prenderci troppo sul serio. Tutto è nato durante i nostri vernissage. Noi due, pittori, amanti della musica – Marco Recchia e Patrizio de Magistris – portavamo gli strumenti musicali e suonavamo. Un po’ per farci compagnia, un po’ per creare un diversivo verso chi ci veniva a fare visita. Ebbene, l’iniziativa è cresciuta. Accanto a noi si è aggiunto col sax il critico giornalista Angelo Nardi e il figlio di Patrizio, Francesco de Magistris, batterista e percussionista. L’iniziativa ha preso il sopravvento. Dopo i primi esperimenti sono le persone che intervenivano nelle nostre esposizioni a dirci che quella era la strada giusta da seguire.»

La musica è sempre condivisibile oppure ha bisogno di una particolare espressione artistica?

«Fermi tutti! Attenzione! Qui non si intende pontificare sul nulla. Noi non abbiamo formule o stilemi estetici da porre come manifesto ideologico. Non è nostro intendimento proporre un legame indissolubile tra musica e qualsiasi arte espressione visiva. Sono teorie già affrontate e che hanno fatto la loro storia. Non ci interessa riprodurre l’idea della “musica a programma”, per intenderci.»

Blues, jazz, pop. Quali le differenze di questi generi musicali e come potrebbero essere declinati in specifici contesti artistici?

«Le differenze tra i generi sono qualcosa di talmente auto-evidente che non abbiamo mai capito la necessità di differenziarle in generi. Le esperienze musicali più avanzate che partono dagli anni Settanta ci portano invece a guardare ad un’identità ispirativa originaria che si concentra sul singolo atto espressivo. E non ci preoccupiamo di dire: ma stiamo facendo jazz o leggera? Certo! Esistono le differenze tecniche, ma non vogliamo annoiare nessuno su questo. Ma del resto, quando canticchiamo una canzone, lo facciamo perché è jazz o perché è blues altrimenti leggera? Ma c’è anche il rock! Lo facciamo perché per qualche motivo è quello il nostro momento in cui combiniamo, sovrapponiamo, ricordiamo, mettiamo in parodia. E questi momenti somigliano a quel qualcosa di molto più articolato che noi proponiamo nei nostri happening.»

Attraverso il blues, giocando nominalmente col blu della notte e il blu del mare, si dà al mare quel qualcosa in più del modello vacanziero tipico della stagione balneare. Il mare stesso, come metafora e come antonomasia, se da una parte si pone come sinonimo di infinità, d’altra parte rischia di vedersi limitato alla sua parziale versione balneare: da cui l’espressione inglese “seaside”.

Il senso dell’oltre impresso dal blues vuole aggiungere contenuto, sia alla parte metafisica, infinitiva, sia alla parte strettamente turistica.

Il blu richiamato nel blues riporta invece alla facoltà percipiente del colore pittorico che si coniuga in coerenza con la dimensione marina, ludica, di puro intrattenimento. L’“intrattenimento” inteso in questo contesto vuole dare qualcosa di diverso delle ordinarie feste di piazza estive. La proposta artistica a tutto tondo, le opere pittoriche, la musica, la facoltà di poterne parlare durante gli eventi, consente al turista un momento unico di conciliazione con una richiesta di contenuti che va al di là della semplice festa ludica tipica delle realtà di provincia.

 

Francesco Fravolini

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