ABA, LA FILOSOFIA DI UN’ARTISTA TRA LA VARIETÀ E LA VERITÀ

«Mi ritrovo a farmi molte domande sul futuro, ma anche e soprattutto a fermarmi, la sera nella mia camera d’albergo, a ripetermi che sono una ragazza fortunata.»

Riflessioni ad alta voce, pensieri che assumono forma scritta, le parole di Chiara Gallana, mentre irrompono a notte fonda, nella quiete del silenzio, dove tutto si ammanta di verità e si tracciano i bilanci della giornata, di un pezzo di strada, di tutta la carriera.

Parole significative, quelle di Aba; umori che risalgono dal profondo e suonano vitali come una boccata d’ossigeno…

Quello stesso “Oxygen” che l’artista della provincia di Padova declina in un disco, tra gioie e dolori, sentimenti di stomaco, filosofia dell’essere, ma anche in qualcosa di più leggero e orecchiabile, un bel ritmo da scandire al battito delle mani e del cuore. Sguardi sul quotidiano di una donna determinata, sensibile, forte quando neanche sa di esserlo, passionale, complicata, ma semplice nella ricerca delle emozioni.

«La strada è sempre in salita, ma le soddisfazioni che mi sono tolta in questi ultimi anni sono sicuramente molto maggiori di quelle che avrei potuto immaginare…» continuando il racconto affidato al suo diario. «Testa bassa e pedalare, ma anche sguardo alto e fiero, che ogni giorno è una lotta, ma io sono pur sempre il soldato Aba, come diceva il mio caro Elio.»

Mi piace cominciare questa chiacchierata, chiedendo al “soldato Aba” quanto possa influire nel corso della carriera di un’artista emergente la presenza di un mentore geniale come Elio.

«Sono stata fortunatissima ad avere avuto la possibilità di lavorare con Elio, perché lui, prima di essere un personaggio dello spettacolo, è un musicista. Fin da subito ha saputo “leggermi” artisticamente, scegliendo delle canzoni che risaltavano la mia vocalità e il mio genere di riferimento. Non potevo chiedere di meglio!»

Una tesi piuttosto accreditata sostiene che i talent show siano una formula ormai morta e sepolta; tesi sostenuta dall’epilogo di tutte quelle carriere di concorrenti finiti non proprio sotto i riflettori, per usare un eufemismo. Non credi, invece, che non sia necessariamente compito di un talent televisivo il “post-programma”? Mi spiego meglio: non dovrebbe spettare all’artista tirare fuori gli “attributi” e costruirsi una propria carriera, senza contare sull’“aiuto da casa”?

«È compito del cantante scegliere la strada artistica che lo rappresenti maggiormente, ed è ciò che mi sento di aver fatto, una volta evitato il canale mainstream per la pubblicazione del mio primo album, utilizzando Musicraiser come modalità di finanziamento. Non pertiene all’artista la gestione dell’aspetto manageriale-amministrativo della propria carriera, ma alle label. Il punto è che non sono morti i talent show, quanto piuttosto le case discografiche! Nonostante le potenzialità enormi di programmi televisivi come X Factor e simili, le label continuano da anni a ricadere nel solito errore di produrre sempre la stessa cosa fatta con lo stampino, cercando di replicare ciò che nel passato ha avuto anche solo minimamente successo ed evitando accuratamente qualsiasi tipo di rischio o di investimento concreto. È un fuoco di paglia produrre chi è appena uscito da un talent, con tutto il marketing e la promozione già belli e pronti. Occorre una struttura! C’è un passaggio che manca tra la vita vera di un artista e i talent show, che comunque continuano a fare l’egregio lavoro per il quale sono nati, ovvero mettere in luce chi ha talento.»

Oxygen, il tuo primo album di inediti, ha avuto la gestazione di un figlio, con il crowdfunding come padre e la creazione artistica come madre naturale.

«Una volta “sputato fuori” il disco, volevo esprimere l’estrema soddisfazione e la gioia di aver portato a termine un percorso di autoproduzione molto duro e stancante, così come può essere il parto per una donna. Poi è andato tutto oltre le aspettative: siamo arrivati a raccogliere il 170% dell’obiettivo prefissato col crowdfunding di Musicraiser e l’album sta ancora ricevendo buone critiche.»

Brani come Thinking of you suonano pienamente come un pezzo di Beyoncé e il nome della cantante americana compare un po’ dappertutto sui tuoi social: “Singer, marketing passionate, Beyoncé lover”.

«Innanzitutto grazie per l’accostamento a Beyoncé, non me l’aveva mai detto nessuno! In realtà non abbiamo ripreso da lei nessun tipo di sound o modello compositivo, posto che ne abbia uno in particolare. Lei è la mia artista preferita da ascoltare, una vera e propria ossessione, ma è diverso ciò che ascolto da ciò che canto. Il mio stile di riferimento, quando sono sul palco, è accostabile a Tina Turner e Joss Stone, al funk anni ‘70 e al soul bianco.»

Scandagliando il mondo delle produzioni musicali, perché sembrerebbe non esistere un soul/R&B italiano?

«In realtà nella musica indipendente c’è molto soul. Purtroppo, seppure siamo tutti parecchio prolifici dal punto di vista dei concerti, non abbiamo spazio nella promozione standard delle radio e restiamo underground. Preferisco comunque rimanere radicata nella musica, quella vera senza lustrini, anziché fare la bella statuina in un programma televisivo.»

Mettendo da parte le sonorità black di cui abbiamo parlato finora, da dove arriva il rock di brani come Tornare dal mare o Never done before?

«La varietà di questo album è molto voluta e ricercata. Mi piace dire che in Oxygen ci sia varietà e verità. Oltre il soul, nella mia vita c’è un forte background rock: nel gruppetto che avevo a 14 anni facevo cover di Eagles e Pink Floyd, ed il primo concerto a cui ho assistito nella mia vita è stato quello dei Dream Theater. A tutto ciò si sono sommati gli ascolti della mia post-adolescenza (il soul) e soprattutto l’esperienza di Carlo De Bei, chitarrista di Mango fino alla fine dei suoi giorni, che ha scritto con me questo album.»

Walt Disney diceva che “se puoi sognarlo, puoi farlo”. C’è un palco, di una kermesse o di un locale, che Aba vorrebbe calcare nel prossimo futuro?

«La prima cosa che mi viene in mente con una domanda del genere è il Blue Note di Milano, anche se ovviamente non mi dispiacerebbero neanche quelli di Tokyo e New York! [ride, N.d.R.]. Trovo che sia un locale che rappresenta la musica vera, suonata, quella che voglio realmente fare; poi, se è di nicchia, chi se ne frega. Faccio musica da sempre, perché mi piace cantare!»

 

Gino Morabito

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