A COME AMADEUS

Di Gino Morabito

Riservato, ipocondriaco, diplomato geometra per far contenti i suoi. Davanti a un microfono si trasforma come Clark Kent in Superman. Esordisce da dj insieme a Claudio Cecchetto, ma è con la conduzione del Festivalbar che raggiunge il successo.

Considerato protagonista del preserale, Amadeus è uomo d’oro della Rai: L’eredità, Reazione a catena, Soliti ignoti e Sanremo. Mattatore del piccolo schermo, entra nelle case di milioni di italiani con piglio e vivacità, provando a far star bene chi lo guarda regalando leggerezza.

 

Amadeus porta i gloriosi anni ‘60, ‘70, ‘80 a Verona con due serate evento, in onda su Rai 1 il 2 e il 9 ottobre, che lo vedranno per la prima volta all’Arena in veste di conduttore. Due show live per rivivere tre decenni emozionanti della musica in Italia, punteggiati dai racconti del padrone di casa, che fanno da filo conduttore, in un meraviglioso diario sentimentale articolato anche dai suoi incontri con gli ospiti.

In fondo un timido.

«Ero un bambino un po’ cicciottello, con gli occhiali. Ho cominciato a diciassette anni a fare la radio per combattere la timidezza. Davanti a un microfono spariva, mi trasformavo come Clark Kent in Superman. Ero affascinato dalla tivù fin da piccolo, guardavo Sanremo, Rischiatutto, Canzonissima.»

Per il ravennate Amedeo Umberto Sebastiani tutto parte da Verona.

«Sono arrivato a Verona con la mia famiglia all’età di sei anni – i miei genitori sono siciliani e vivono ancora là – e ci sono rimasto fino a quando non mi sono trasferito a Milano poco più che ventenne. A Verona sono cresciuto e ho frequentato le scuole elementari, le medie e le superiori, diplomandomi geometra per avere un pezzo di carta. La mia avventura è partita da lì.»

Blu Radio Star, in modulazione di frequenza a Borgo Venezia.

«Il mio amore per la radio è cominciato in una piccola emittente locale che ormai non esiste più. Si chiamava Blu Radio Star di Borgo Venezia e si sentiva solo a Borgo Venezia. All’epoca abitavo a Ponte Catena e mi ricordo che, se volevo riuscire ad ascoltare insieme agli amici una registrazione, con la cinquecento mi dovevo fermare nelle zone limitrofe a Borgo Venezia, perché oltre non si sentiva. Quelli di Borgo Trento non credevano che io lavorassi in radio.»

Il primo autografo all’Arena.

«Davanti all’Arena ho firmato il mio primo autografo. C’ero entrato per intervistare i Pooh che facevano un concerto. Le ragazzine fuori urlavano e, quando uscii con il mio baldacchino, mi si fiondarono addosso. Fu in quell’occasione che feci il mio primo autografo: Amedeo Sebastiani che ha intervistato i Pooh.»

Appuntamento all’hotel San Luca.

«Ho conosciuto Vittorio Salvetti (patron del Festivalbar, N.d.R) all’hotel San Luca, dove l’ho aspettato per sei ore in una hall. Poi lui mi portò all’interno dell’Arena e, per liberarsi di me – come ebbe modo di confessarmi in seguito – mi presentò a Claudio Cecchetto. All’epoca facevo le interviste ai cantanti, era il 1984.»

Sua Maestà l’emittenza radiofonica.

«Cecchetto si trovò dinanzi questo ragazzo intraprendente che voleva fare la radio. Mi disse di mandargli un provino a Radio Deejay, anticipandomi però che valutava solo ragazzi di Milano, perché l’ultima volta che aveva preso un collaboratore di fuori, era tanta la nostalgia della sua città che, piuttosto di lavorare, pensava a quando sarebbe tornato a casa. Con una bugia servita all’istante, lo tranquillizzai dicendo di avere casa a Milano. “Benissimo,” mi congedò “domani mattina portami un provino in radio!”.»

Milano, corso Sempione via Canova.

«Avevamo appuntamento alle nove della mattina seguente e alle cinque presi il treno locale fino a Brescia, poi da Brescia l’espresso. Allora era un viaggio vero e proprio andare a Milano. Ma arrivai a Radio Deejay e consegnai il provino. Claudio lo ascoltò, gli piacque, mi prese: “Lunedì mattina inizi alle nove.”. Ricordo che andavo in onda prima di Gerry Scotti. Il fatto è che io non avevo nessuna casa a Milano e si presentò subito il problema di una sistemazione. Trovai una pensione economica vicino alla radio, in corso Sempione, e, quando salutai i miei genitori, sembrava stessi partendo per la guerra. Non potrò mai dimenticare le lacrime di mia madre e di mio padre alla stazione di Verona.»

I genitori gli hanno insegnato la libertà.

«I miei genitori mi hanno insegnato l’educazione e il rispetto, sembra banale ma non lo è. Mi hanno insegnato il concetto di libertà: libero di decidere cosa fare nella mia vita, di decidere come vestirmi, chi frequentare. Ero libero di fare quello che volevo ma con la testa sulle spalle.»

Papà Vittorio.

«Passano gli anni e incontro nuovamente Vittorio Salvetti che mi sceglie per condurre il Festivalbar. Salvetti poi è diventato il mio secondo padre. Ho fatto cinque edizioni e lui mi voleva in tutte le riunioni insegnandomi un po’ la direzione artistica, si consultava con me su chi scegliere… Per me era qualcosa di inimmaginabile, come vivere un sogno. In quei cinque anni presentai ad Ascoli, a Marostica, a Napoli ma non condussi mai all’Arena di Verona. Adesso è la volta buona, tocca a me.»

Arena ‘60 ‘70 ’80: la prima volta di Amadeus alla conduzione sul palco dell’Arena di Verona, per rivivere tre decenni emozionanti della musica in Italia, punteggiati dai racconti del padrone di casa, che fanno da filo conduttore, in un meraviglioso diario sentimentale articolato anche dai suoi incontri con gli ospiti.

«È un po’ come riportare i protagonisti originali in quel luogo che li ha resi celebri. Tutti artisti che, all’apice del loro successo negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, hanno calcato il palco dell’Arena di Verona. Penso agli Europe, a Umberto Tozzi, Raf, Patty Pravo, Loredana Bertè… interpretare quelle canzoni storiche che sono amate ancora oggi, non solo dalla mia generazione ma anche dai ragazzi.»

Hit diventate successi planetari. Canzoni d’autore e brani internazionali con un infallibile potere evocativo, senza tempo e così forte da coinvolgere il pubblico di tutte le generazioni.

«“The final countdown” ha scalato i primi posti di tutte le classifiche del mondo. Alzi la mano chi non ha ballato almeno una volta “I like Chopin” e, quando parte “Figli delle stelle”, a qualunque età, non possiamo non farci trascinare dal ritmo e cantare. “Vamos a la playa”, “Easy lady”, “Cal me”, “Nell’aria”, “Run to me”, “Splendido splendente”, “Ti amo”… sono tutte canzoni che fanno parte del patrimonio della musica italiana e della storia dell’Arena di Verona.»

Non è un’operazione nostalgia, la musica degli anni Settanta la ballano i ragazzi di venti.

«Nelle serate anni Settanta, che andavano di moda in discoteca fino a qualche anno fa, l’ottanta percento era fatto di ragazzi ventenni. Tutto torna. Basti pensare alla partecipazione di Orietta Berti allo scorso Sanremo. Ha portato in gara un classico e poi, con Fedez e Achille Lauro, è entrata in classifica, cosa che non le accadeva da anni. Ho i filmati di ragazzine in delirio per lei.»

“Priorità è che ci siano le condizioni per fare uno show della rinascita”, Ama ter dixit.

«Do a quel palco un valore altissimo e sono consapevole della responsabilità che comporta, soprattutto nelle vesti di direttore artistico. A Sanremo non ci si abitua mai. Lo considero sempre un grande onore quando mi viene chiesto di presentare il Festival, ed è un’esperienza che mi ha cambiato la vita.»

L’evento per antonomasia.

«Ho sempre detto che per me Sanremo non è un programma televisivo, ma un evento: in quanto tale, ha bisogno della platea, della sala stampa, come se fosse un Super Bowl. Se gli togli tutto questo, l’evento si trasforma in una trasmissione televisiva, che è un’altra cosa.»

Al Festival canta l’attualità.

«Le canzoni devono essere attuali. Brani da ascoltare alla radio, su Spotify, che i ragazzi possono scaricare, a prescindere dal nome dell’artista. Perché quello che per noi può essere un perfetto sconosciuto, è il beniamino dei nostri figli.»

Un uomo Rai benvoluto dal pubblico.

«La Rai è casa mia. Mi trovo a mio agio, lavoro bene con i tecnici e con tutti. E il pubblico mi identifica come volto Rai. Mi mostro per come sono, mi piace sorprendere. Non parlo molto della mia vita privata, non amo molto parlare di me.»

La timidezza non gli ha impedito di conquistare sua moglie Giovanna.

«Ho usato un bigliettino per chiederle di bere un caffè, non ho fatto mica il fenomeno invitandola a una festa con lo champagne. Direi che meglio non poteva andare.»

Nel 2002 ha scoperto L’eredità, poi ha ideato la ghigliottina.

«Con grande orgoglio ho portato L’eredità su Rai 1. Del Noce mi disse di cercare un preserale, questo programma mi colpì subito. Il primo mese perdevamo tutte le sere contro Passaparola, pian piano carburò e dopo due anni con Santucci nacque la ghigliottina.»

Leader della sua fascia, Soliti ignoti continua ad ottenere ottimi ascolti, consolidando una piacevole abitudine.

«Il gioco funziona, il clima è amichevole, si è creata una piacevole abitudine. Lo spazio dedicato al parente misterioso doveva durare tre minuti, siamo arrivati a dieci.»

Il coraggio e l’incoscienza di aver lasciato programmi al culmine del successo, per continuare a divertirsi.

«Ho sempre bisogno di cercare cose nuove per divertirmi e far divertire. Arrivato a cinquantanove anni non ho più paura di rischiare e di sbagliare: questo mi rende incosciente, ma certe volte mi aiuta perché non ho paura di andare avanti.»

Il difetto di chi a volte esagera ma è capace di donare leggerezza.

«Sono molto felice, mi sento veramente un ragazzo fortunato perché mi hanno regalato un sogno. Sono al terzo Sanremo, ho una bella famiglia, lamentarsi sarebbe come bestemmiare. Provo a far star bene chi mi guarda regalando leggerezza, questo mi rende felice.»

www.musicaintorno.it

PDFStampa

Related posts