3460608524: LA “GIOIA CREATIVA” DEI NOBRAINO

nobraino1_musicaintorno3460608524, il nuovo lavoro in studio dei Nobraino e uno strumento per avvicinarsi ai loro fan.

Per una band per la quale il contatto con il pubblico è “pane quotidiano”, quale modo migliore per celebrare questa “liaison”?

“3460608524” è quasi un concept album per la sua “omogeneità”…

… è una finestra sulla vita, sui problemi di tutti e di nessuno. Per chi sa ascoltare, può diventare un vero e proprio modo di capire il mondo, forse ottimistico, forse solo realistico.

Nel bene e nel male i Nobraino non hanno paura di dire quello che pensano, ed è per questo che ho amato parlare con loro, dal primo all’ultimo secondo: la sincerità è l’unico mezzo efficace per farsi conoscere ed apprezzare davvero!

Ne è venuta fuori una lunga e interessante chiacchierata con Néstor Fabbri, che – in via del tutto confidenziale – ci ha fatto un’anticipazione esclusiva sul futuro artistico della band…

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“3460608524”: un numero attivo e funzionante, al quale rispondere ai vostri fan. Com’è nata questa idea?

«Era nell’aria già da un bel po’ di tempo: qualche anno fa eravamo in Spagna e c’era un ragazzo con un cartello con su scritto “parlo con chiunque di qualsiasi cosa”, e pensai “bel lavoro, potrebbe essere divertente”. Mi ha fatto molto ridere e questa cosa mi è rimasta in testa. Volevamo anche attivare una linea del genere quando, l’anno scorso, c’era stata una incomprensione su presunte frasi razziste: avevamo pensato di dare un numero a cui chiamare, per cercare di spiegare come stavano le cose alle persone offese, ma poi il nostro manager ce lo impedì. In questi anni si sono sommati anche una serie di altri motivi. Poi, nella pratica, quello che ha avuto il coraggio di portare fino in fondo la questione e di dare questo nome all’album è stato Kruger (Lorenzo).»

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Quanto è importante per voi il contatto diretto con i fan?

«È il nostro pane quotidiano. Siamo sempre in giro tra il pubblico, ed anche quando siamo operativi sul palco, spesso ci lanciamo in delle “fughe”.»

Questo lavoro è, tra i vostri, quello che presenta in assoluto i testi più “seri”. È il culmine di un processo di maturazione?

«(Ride) Potrebbe essere, o semplicemente è il fatto che abbiamo voluto dare una fisionomia più omogenea a questo lavoro. Kruger aveva un serie di testi che ben si integravano tra loro, mentre ce ne erano altri molto carini, che musicalmente magari erano anche superiori, ma non andavano bene per questo discorso: quindi li abbiamo esclusi dalla produzione, che così è più omogenea, sia dal punto di vista testuale, che da quello musicale, e si crea un contrasto tra testi pesanti e una musica più “facile” da ascoltare. Gli altri brani, che sono stati esclusi, usciranno a breve – ti sto dando un’esclusiva! Pubblicheremo un altro disco, che credo uscirà come crowfunding; i brani sono già stati registrati, incisi e sono pronti: sono “scarti” di produzione di “3460608524”, ma non perché musicalmente erano inferiori o lo erano i testi, semplicemente non erano coerenti con questo disco.»

Quando uscirà questo nuovo disco? Entro la fine dell’anno?

«Direi di sì. Dovrebbe uscire a breve, volevamo addirittura farlo uscire contestualmente, ma ci hanno persuaso che si sarebbe creata un po’ di confusione.»

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A proposito della omogeneità di cui prima parlavi: tutte le canzoni affrontano difficoltà esistenziali da superare o superate. Sotto sotto però si nasconde una vena ottimistica, evidente in alcuni versi. Quanto è voluta?

«Non volevamo connotare una visione così manichea dei testi: c’è dentro un po’ di tutto, però sarebbe bene che ognuno trovasse quel che c’è. Può darsi che ci sia, se lo hai visto.»

“Darty fuoco” e “Il guinzaglio” parlano un po’ (anche se in modi diversi) di una persona che tenta di “auto boicottare” la propria felicità…

«“Il guinzaglio” sicuramente: autoboicottarsi e nutrirsi di passioni tristi. È agghiacciante!»

Anche a voi è successo?

«(Ride) Beh sì, lo stiamo facendo; è la nostra attività principale.»

La scorsa estate è uscito “Vertigini”: racconta che, l’unico modo per superare le proprie paure, è affrontarle. Quali sono le vostre?

«Di solito nelle nostre paure ci buttiamo a capofitto e di solito ne consegue che le paure non sono più paure. Io posso dirti le mie chitarristiche: sono mancino, ma suono con la chitarra da destro, da sempre; mille anni fa, quando ho iniziato, pensavo che fosse uguale che la chitarra stesse “di qua o di là”. Pochi anni fa mi era venuta una paura, una paranoia: che, in fondo, la mia mano destra non funzionasse bene. Mi sono buttato a capofitto proprio nello studio della mano destra, e adesso ho una mano super sviluppata.»

A mio giudizio, la canzone più profonda ed emozionante è “Cambiata”: tocca temi molto intimi e profondi, io l’ho interpretata come la ricerca della propria indipendenza, intesa come senso di liberazione dalle paure. Cosa vi ha ispirato?

«Questa è un’altra canzone che ispira nelle persone interpretazioni spesso lontane o diverse da quelle che abbiamo messo nel testo. Però forse è il suo bello, è scritta bene così; è molto suggestiva, però non restringe troppo gli orizzonti. Cosa ci ispirato? La limiteremmo se lo dicessimo.»

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Visitando il vostro sito ufficiale, nella home ho letto una frase molto interessante: “La gioia creativa è più importante del risultato”. Per voi il processo di creazione di una canzone è più importante del risultato finale, cioè la canzone stessa?

«Ci ha ispirati il riesame di un principio chimico, secondo cui il modo di vivere delle persone va verso la gioia creativa, piuttosto che il fissarsi un buon risultato ed il riuscire ad ottenerlo. Diciamo che è più importante il come del perché. E questa cosa noi la abbiamo: il come batte il perché.»

Siete insieme da 20 anni esatti. Cosa è cambiato per voi in tutto questo tempo?

«Abbiamo fatto tanti microscalini, diventando sempre più “professionisti della musica”, partendo da un dilettantismo assoluto. Eravamo amici da sempre e abbiamo iniziato a suonare gli strumenti, ad un certo punto, e a suonare insieme contestualmente. Quindi è cambiato tutto. Però al tempo stesso, non abbiamo saltato delle parti di crescita di carriera, come ad esempio chi partecipa a Sanremo a 18 anni, vince e poi si ritrova a cantare nei pub… Se adesso ci chiamassero a Sanremo, non sarebbe un disastro…»

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Ecco, a proposito di Sanremo… nel 2010 siete stati al dopo-festival. Se vi proponessero di parteciparvi oggi come concorrenti, accettereste?

«Dipende dalla situazione, dal direttore artistico, da quanta “libertà” sarebbero disposti a lasciarci… però di base sì, siamo molto aperti.»

Secondo voi i componenti di una band si devono adattare al cambiamento circostante, oppure dovrebbero fare in modo che sia l’ambiente musicale circostante ad adattarsi a loro?

«Di sicuro l’ambiente circostante ti influenza. Noi, in questa lunga carriera, percorrendo tutti questi piccoli passettini, abbiamo visto tante mode musicali. Ad esempio, io sono diventato chitarrista, perché negli anni ‘90 andavano molto di moda i chitarristi: in qualche modo, ne sono stato influenzato. Poi abbiamo sempre suonato in quartetto: basso, chitarra, batteria e voce, per tantissimi anni. Abbiamo visto il passaggio afro, poi elettronico, con i Subsonica: anche se non vengono considerati elettronica pura, hanno influenzato un sacco di band e tutti iniziavano a fare rock con strumenti elettronici… poi sono arrivate quella dei fiati ed altre ancora. Ma queste cose non ci hanno particolarmente influenzato, le abbiamo viste arrivare come onde e passare. Adesso c’è quella dei rapper, che è la moda del momento. Il nostro ultimo singolo potrebbe essere cantato da un rapper, un po’ ci assomiglia. Quindi sì, un po’ influenza: ma non abbiamo chiamato il rapper, l’abbiamo cantata noi.»

 

Anna Gaia Cavallo

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