IL MIRACOLO DE IL SANTO

il-santo01_musicaintornoQuando dobbiamo confrontarci con un cantautore, proiettarci nella lettura di un nuovo ascolto – il che ci accade spesso – , ci piace affidarci ogni volta a dei riferimenti precisi.

Il confronto è una necessità per il valore del peso che contiamo di riuscire a misurare.

Magarìa è il nostro ultimo esame. Il progetto, firmato Il Santo, al secolo Roberto Santoro, si presenta ambizioso e non manca di comunicarcelo in ciascuna delle 12 tracce.

Brani a cui, non a caso, è assegnato, oltre al consueto titolo, anche un sottotitolo che vuole valere più il corpo che la rivelazione dell’anima stessa di ogni brano. Si può peccare per un eccesso di determinazione? Crediamo lo si faccia più e peggio per indecisione. L’album, quindi, vale già la pena.

La voce è suadente e, sebbene diversa da quella di un celebre madrileno, ci riporta al calore che da bambini percepivamo nella timbrica di Iglesias dall’autoradio della Giulietta di papà. È una sensazione istintiva, molto meno precisa di un ragionamento che non trova similitudini tra i due, ma scopriamo al nostro caso che, nella varietà della proposta de Il Santo, l’universo latino è riportato molto più che in una citazione nella ritmica e nella lingua adottati spesso dalle chitarre.

In effetti, l’album è un vero e proprio passaporto:

il-santo02_musicaintornola geografia è nel DNA dei testi, ricercati e colti – cede solo la semplice Melò –, e degli eleganti arrangiamenti, mai scarni e approssimativi, che si capisce eseguiti da validi musicisti – della scena milanese ed internazionale. Tuttavia, confessiamo il dispiacere in qualche occasione per la perdita di una più indicata essenzialità che avremmo preferito in occasione di quei versi cui sarebbe bastato un solo strumento per renderli perfetti. È il caso di Miracolo a Spinone, nel cui sviluppo smarriamo una parte della magia, dell’incantesimo, propriamente della magarìa della parlata siculo-calabrese, che l’acustico integrale regala perfettamente in apertura, quando è anche centrato il sottotitolo “della meraviglia”.

A proposito di incanto, “I testi dell’album”, ci comunica l’artista, trattano dell’intenzione e della necessità d’interpretare la vita quotidiana come una ‘magarìa’ naturale ed universale, comprensive di un’ansia sia carnale che spirituale, tale da svincolare l’esperienza dalle logiche e dalle sovrastrutture puramente materialistiche”.

Dicevamo di territori: dalle nebbie padane al flamenco andaluso di Regina grand amor, dalla coniugazione delle origini meridionali alla canzone francese, alla malinconia di impronta portoghese in un fado che non lo è. Sembra quasi che l’autore, di adozione lombarda, nella indecisione per un luogo ideale, un genere univoco, finisca per decidersi a sceglierli tutti per offrire l’occasione di un viaggio musicale senza frontiere. Perciò, la considerazione ci concede lo spunto per un’altra riflessione: cosa al mondo è più superfluo di un confine?

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Della traccia che dà il nome all’album, Magarìa, “cammino iniziatico”, ci piace la scelta di comunicare attraverso la lingua delle radici, della Calabria: crediamo nella necessità di essere quello che siamo. Che lo si faccia danzando – “abballati” è del brano l’invito trascinante che, da mediterranei, non possiamo che cogliere –, è motivo in più di piacere.

Siamo distanti dalla pochezza cui ci hanno abituato negli ultimi anni gli stampini delle major. Un altro miracolo in un giardino, pensiamo.

il-santo05_musicaintornoLa conferma ci viene prima da Lamoremio, dove tutto è Uno e anche l’apostrofo è superfluo”, e successivamente da Sai Maria volevo dirti, nel cui impianto chiare afferriamo le atmosfere della nuova canzone francesce (Benjamin Biolay e Keren Ahn). Se nella prima delle due canzoni la Francia ci pare emergere in una chiusura velatamente simbolista – meno ci riconosciamo da isolani nel Passito di Lampedusa (?) –, con la seconda, “dell’incanto”, la traccia che ci soddisfa di più, di cui l’autore spiega essere il quadro dell’amor sodale, degli affetti e delle piccole cose…

… ci convinciamo, se non di avere azzeccato, di essere arrivati nei pressi del vero con la nostra lettura francese a ripensare agli scritti best seller sui piccoli piaceri della vita di Philippe Delerm (padre del cantante Vincent).

Seppure con un ovvio distacco temporale, che si traduce in una marcata differenza stilistica, Il testo di Complimenti ci riporta per senso a W l’Inghilterra di un giovane Baglioni. Il protagonista è lo stesso adulatore, qui forse meno impacciato perché vestito della sensualità dell’Iglesias che avevamo azzardato.

Di Melò (o del dubbio amoroso) Santoro ci ammette il carattere strettamente pop. Il testo, che sconta la leggerezza del brano, non sembra fratello degli altri più maturi e, se un dubbio ne leggiamo, lo riferiamo alla possibilità che regga o meno l’associazione al cinema di Truffaut e Antonioni cui l’autore ammette di ispirarsi. Del duetto, invece, ci piace assai scoprire la limpidezza della voce di Charlotte Ferradini, figlia del più noto Marco: freschezza.

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La breve frenata sopra, che perdoniamo come il neo nel bel viso, è compensata ampiamente dall’intensa ed intima Il mio fado per te. La perfezione ci cattura decisamente negli echi della fisarmonica e ci avvolge nella linea degli archi, il crescendo del canto ci trascina nell’ombra di un rimorso.

L’ottima capacità di narrazione di Santoro, che si serve non di rado di lucide metafore, trova la migliore espressione in Edipo a Milano.

Il brano è introdotto dalla voce narrante di M.L. Fegiz: un racconto di e per l’amico Angelo Carrara, celebre produttore tragicamente scomparso. La scanzonata Storia di Vanni, invece, è un simpatico stacco filosofico nella domanda “la vita che cos’è?”, quasi una filastrocca in chiave folk-dream-garage.

Chiude Joie de vivre “comme dans la dance”: messaggio che, affidato al protagonista immaginario dei versi, ci viene quasi in risposta al precedente quesito. Questa volta è proprio Il Santo a confermarci un legame con la canzone francese, nella fattispecie a Leo Ferré.

Sipario. Il quarto lavoro da studio dell’artista, Premio Lunezia “Future stelle” in bacheca, è culmine e sintesi delle esperienze precedentemente acquisite, risultato – ad un tempo – di suggestioni e sonorità contemporanee e dello sguardo rivolto alla tradizione della canzone d’autore e popolare italiana.

Magarìa non è un lavoro cui è sufficiente un ascolto distratto, va assimilato con calma per coglierne dall’ascolto buon profumo come dall’avvicinarsi ad un bel fiore.

 

 

Giuseppe Sanalitro

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