A CASA TUTTO BENE. IL GIOIELLO

Brunori Sas10_musicaintornoQuando avevamo assaporato il singolo La verità, ce n’eravamo accorti sì: scocco perfetto! A quel punto non ci rimaneva che attendere il 20 gennaio per controllare il bersaglio da vicino, all’uscita dell’album. Ora, al piacere di un ascolto ripetuto da giorni, mentre ci diciamo grati per tutto quel saziato bisogno che abbiamo di salvarci nelle buone canzoni, ne siamo convinti.

A casa tutto bene, il quarto lavoro in studio di Dario Brunori, alias Brunori Sas, è un gioiello, forse la migliore produzione del 2017 appena iniziato. Ma non passi per avventatezza la nostra ultima affermazione, quando vuole significare solo la consapevolezza di un panorama musicale debole, malato di talent e banche discografiche al punto da non farci dubitare di questo podio.

Dopotutto, la crescita di Brunori è impressionante e indiscutibile: la sua invenzione, progredita nel sarcasmo e nei mormorrii di personaggi intimi e quotidiani dei primi lavori, preso il largo col precedente Vol. 3 Il cammino di Santiago in taxi, è arrivata, in più di una domanda, ad una descrizione più ampia, appassionata, impeccabile, del mondo problematico che ci riguarda. Perché l’autore non sta a darci risposte, semmai ci invita a cercarne nella speranza e nel dolore, nel perdono, nel peccato e nella coscienza che, nella fattispecie, rappresentano lo stesso territorio battuto dai migliori cantautori italiani sbocciati nei ‘70.

Brunori Sas02_musicaintornoNon fa eccezione in questa formidabile evoluzione l’aspetto squisitamente musicale: A casa tutto bene è cura maniacale dei suoni, convinti o vaporosi ma sempre calcolati; gli arrangiamenti, liberati certo da uno studio certosino, prendono corpo in composizioni orgogliose e originali, mature, eseguite perfettamente nella registrazione degli strumenti accuratamente selezionati. Un senso di unicità pervade il progetto, non a caso inciso nell’ambiente insolito di una masseria del 1100. Insomma, il nostro rapporto profondo con la buona canzone d’autore che ritorna, si chiama Brunori. E a mancarlo si fa peccato.

Una indecisione strumentale che viene da lontano, primordiale alla maniera della Nona beethovaniana, non può che valere preludio, il cercarsi. Poi, La verità. La canzone è una forza, e la dittatura delle radio si inchina. Subito un successo che sta tutto in quel riconoscerci messi a nudo da un testo autentico, schietto già ai primi versi: Te ne sei accorto sì/Che parti per scalare le montagne/E poi ti fermi al primo ristorante/E non ci pensi più. Un videoclip che vale un ottimo corto, sceneggiato dallo stesso Brunori, spalleggia magnificamente il racconto: verità per prendere confidenza con riflessioni spesso rimandate sulle nostre condizioni: Te ne sei accorto sì/Che tutto questo rischio calcolato/Toglie il sapore pure al cioccolato/… e che il dolore serve/proprio come serve la felicità… che non c’hai più le palle per rischiare.

L’autore ha un sorriso intelligente, impossibile da mancare nonostante la barba. Un ragazzino vivace è dietro gli occhiali la cui età è almeno la metà dell’anagrafica. Non manca, per questo, crediamo, occasione di pescare bene dal mondo infantile.

Non si lascia sfuggire, perciò, il disegno de L’uomo nero, personaggio allegorico dell’oscurità che dagli avvertimenti genitoriali per i piccoli prende forma nei singhiozzi di una società moderna contraddittoria e impreparata al proprio tempo. La musica è un esercizio ritmico perpetuo, una sorta di pensiero tribale in un funky che correndo sui due binari, elettronico e acustico, viene a metterci in guardia: tu che pensavi che dopo l’inverno sarebbe arrivata la primavera/e invece no.

Brunori Sas04_musicaintornoIl cantautore calabrese della intensa Kurt Cobain si guarda bene dal salire su un piedistallo e ce lo comunica quando, nella prima parte di Canzone contro la paura, mette le mani avanti in un “io canto quando posso, come posso” di gucciniana memoria: scrivo canzoni poco intelligenti, buone per andarci la domenica al mare, canzoni poco irriverenti, tanto per cantare, canzoni per chi non ha voglia di pensare o di ascoltare. Ma noi, che abbiamo constatato nell’album la corrispondenza con uno stile ben distinto in una novità interiore, una struttura efficace, finiamo inevitabilmente per identificare questa scrittura con il desiderio invocato nella seconda parte del testo: “canzoni emozionanti, che ti acchiappano alla gola senza tanti complimenti, da cantare a squarciagola, canzoni come sberle in faccia per costringerti a pensare, belle da restarci male…

… canzoni contro la paura, che ti salvano la vita, che ti fanno dire “no, cazzo, non è ancora finita!.

Quando, poi, alcuni vocalizzi in “u” di Brunori ci ricordano l’amore per Dalla, in Lamezia Milano sono invece i fraseggi strumentali a tratteggiarci la fisionomia di un Battiato, che non possiamo che riconoscere rimarcata nell’arrendevole verso L’Italia sventola bandiera bianca. La traccia, nella rilettura del personale tragitto sud-nord, è un occhio che indaga la convivenza tra differenti identità e il percorso che può legarle, ancora la contraddizione tra condizioni opposte e complementari.

Brunori non ci risparmia temi spinosi. Noi ci chiediamo, infatti, a cosa serva ad alcuni girarsi dall’altra parte. L’attacco dondolante e dalliano di Colpo di pistola, che conta la scelta di un organico strumentale (chitarre e glockenspiel tra gli altri) intento a condurci per mano in un clima giocoso, nella delicata narrazione nasconde, come un inferno in ogni primavera, la confessione di una cinica realtà: l’amore malato. Il protagonista è condotto lentamente al dramma del femminicidio. La morte chiude ogni cosa e ne cogliamo, nel disegno dell’artista sul trionfo dei fiati, un senso di condanna meritata per il colpevole.

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Il disco è uno stimolo incessante. Quando ci chiediamo ancora di noi, suoni pizzicati “a goccia” guidano La vita liquida e la nostra immediata trasformazione nel fluido che si piega ad ogni condizione. Ogni cosa si fa, appunto, liquida: il lavoro e il sesso, le convinzioni, le ideologie e le nuove religioni, i valori ed il senso del dovere, una lacrima che aiuta a non vedere. Ma la libertà è a un passo, tra la condizione e il condizionale: potrei evaporare e trasformarmi in nuvola, magari un temporale… e riconsegnarmi al mare. Senza mancare di attraversare prima una identità nelle fiumare calabresi.

Dalla struttura che si sviluppa in un dialogo tra il cantautore e i cori fino al farsi theremin, prendiamo spunto per dirci soddisfatti anche dell’ampio impiego corale che, in generale, viene scelto dal nostro per tutto il progetto. Un gusto mai sfrontato, dalla fisionomia vintage, quasi beatlesiana, che unito all’impiego di mezzi moderni e a strumenti ricercati (mandole settecentesche e chitarre anni ’30 su tutti), ci consegna, tout court, alla seduzione. Anche quando è il dolore a governare.

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Se da un lato è proprio quel racconto pregevole della violenza domestica di Colpo di pistola a riportarci al dramma di Mio zio della cantantessa siciliana Carmen Consoli (premio Amnesty 2010), dall’altro è esattamente il dolore espresso nella disarmante e bellissima Diego ed io ad avvicinare i due artisti.

Un ambiente solitario, di cristallo, ci imprigiona nel canto battistiano e, nel lamento del piano acustico, ci appaga nel piacere contorto di un tormento. L’amore della speranza si fa spazio nel desiderio di perdono liberandosi in veri e propri brividi al ritornello, lasciato in mano alla promessa mantenuta degli archi, ora sciolti, e che, prima, nell’attacco, ci hanno attanagliato nella tensione di note lunghe. Capolavoro per sempre.

A casa tutto bene è una rinnovata scoperta ad ogni ascolto. Così, a metà percorso, finiamo già per dispiacerci di questa sintesi – ovvie ragioni di spazio nelle pagine che ci ospitano ci frenano. Ogni dettaglio merita di essere rivelato.

Un timbro oscuro, per esempio, segna l’attacco di Sabato bestiale. Ma il carattere è dance per una Stayin’ alive impegnata tra l’esigenza intellettuale e il libertinaggio, in un bestiario moderno utile all’annullamento dell’essere: sono pecora e maiale (sono lupo e cinghiale)/e non sarai certo tu/a farmi adesso la morale. L’accostamento alla celebre Domenica bestiale di Concato è scontato quanto la distanza che separa i protagonisti delle storie: i figli di una assonnata Milano d’annata in gita al lago sono diventati quelli dell’urlo liberatorio e superficiale che prende le distanze da barconi d’africani e pensioni: in fondo sai, lo sai anche tu/che siamo figli delle stelle e della tv. Almeno nel weekend.

Brunori Sas07_musicaintornoA discolpa di ogni cosa che non va, Don Abbondio. Stridono le verità elencate sulla nostra coscienza, identiche al gemito degli strumenti che, come in un western, ci mettono spalle al muro, o schiena piegata davanti alle responsabilità mancate nei “a noi che cazzo ce ne frega”. Colpiti. Brunori gioca. Ancora un divertissement sociale.

Dopo Mambo reazionario è la volta della scanzonata Il costume da torero: per grandi e piccini, è la ciliegia sulla torta. Ci piace assai scivolare sui suoni pirotecnici dei fischietti a coulisse, ritrovarci nella gioia delle voci infantili dei nipoti del cantautore, perfette per veicolare la buona novella: pensare che il mondo, dove la realtà è una merda, possa essere salvato in quel costume con un pugno di poesie; che bisogna partire da noi per sperare di migliorare le cose.

Un concetto ancora sul dolore ci dà da pensare in Secondo me: se c’è una cosa che mi fa spaventare/del mondo occidentale è questo imperativo di rimuovere il dolore. Il brano, a rifletterci nella parte dell’interlocutore, ci mostra un protagonista attento nell’insistenza di un interrogativo che, a volerlo traslare nei mondi dei social media, misuriamo lontano anni luce dalla condotta che deprime la nostra società: chissà com’è invece il mondo visto da te.

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La chiusura è quella che ti aspetti: introspettiva. Il protagonista de La vita pensata è ancora lo stesso incontrato nelle altre tracce, alla ricerca di verità e risposte ma che, forse, finalmente riesce a saziare in un dialogo con l’amico interiore: Ma l’ho capito finalmente/Che io del mondo non c’ho capito niente/… Che il rimpianto non serve quasi a niente/È solo un altro modo un po’ infantile/Per sentirmi intelligente. Il profumo delle persone care, di case e luoghi familiari, ci scalda e commuove in un De Gregori che non ti aspetti.

Ma Brunori, nonostante tutti i possibili affiancamenti, si commenta con Brunori. E, alla fine, noi ci sentiamo proprio Dario così presi da quel: Me lo dicevi anche tu/La vita va vissuta/Senza trovarci un senso./Me lo dicevi anche tu/La vita va vissuta/E invece io la penso.

 

 

Giuseppe Sanalitro

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